TORRE DI MANFRIA
L'ALTROIERI IERI OGGI
Si era rimasti di stucco
quando poco più di un mese fa ci si accorse che
il cancelletto della Torre di Manfria era stato
rubato da ignoti per i quali sicuramente, dopo
tale atto, la loro vita cambierà di sicuro. A
parte l’ironia, tale ruberia è stata un atto
inqualificabile che ha destato molto scalpore in
città dopo la denunzia della sede locale dell’Archeoclub
d’Italia che, comunque, ha supplito alla
situazione commissionando un nuovo cancello che
è costato, tra fabbro e muratore, la somma di €
300,00; di tale somma un terzo è stata
sponsorizzata dall’amico Alfonso Peritore, gli
altri 200,00 € li anticipati l’Archeoclub in
attesa dell’arrivo dalla Slovenia di un bonifico
bancario, che dopo un mese ancora si sta
aspettando, da parte di un gelese lì
trasferito. Oggi, con la notizia del ripristino
del cancello della torre sui mass-media, si
vuole cogliere l’occasione anche di convincere
l’ente locale affinchè faccia acquisire il
monumento “Torre di Manfria” al pubblico demanio
come bene culturale di pubblica utilità,
diversamente non ci sarà speranza che la torre
si possa salvare anche perché ha bisogno urgente
di un restauro conservativo, cosa che il
proprietario della stessa torre non farà mai. Foro di accesso dal 1° piano al vano del piano terra Il vano del piano terra |
TORRE DI MANFRIA
La Torre di Manfria
(Fine luglio
2008) - Nonostante il degrado in cui è ridotta, la Torre di Manfria ancora oggi
ha una sua “insolita fruizione” quella di comunicare un messaggio. Un importante monumento che si può osservare in contrada Manfria, a quindici chilometri da Gela, è quel che rimane di una torre di avvistamento e difesa denominata “Torre di Manfria”. L’inizio della costruzione è controverso. Secondo alcune fonti, torre risale al1549, durante il vicereame di Juan de Vega, secondo altre, invece al 1583. Comunque sia stato, si sa di certo che dopo essere rimasta incompiuta, fu ripresa nel 1615 e completata ad opera del Viceré di Sicilia Pedro Tellez Giron y Guzman Duca di Ossuna su disegno del famoso architetto fiorentino Camillo Camilliani. Delle duecento e più torri costiere dell’Isola, che formavano un rudimentale sistema di vigilanza strategico-militare per segnalare i pericoli provenienti dal mare, la torre di Manfria, detta anche di Ossana o Ossuna, era una tra le trentasette più im portanti dal punto e dipendeva dalla Deputazione del Regno; i quattro torrari che l’abitavano segnalavano, durante il dì con specchi e fumi e di notte con fuochi (i fani), l’arrivo dei barbareschi alla torre di Falconara, a Ovest, e ad Est al campanile della chiesa di Santa Maria de’ Platea che fungeva anche da torre secondaria di avvistamento e segnalazione. Con un sistema intermedio di postazioni e di torri di segnalazione, le informazioni quindi arrivavano alla torre di Camarana, a Est nei pressi di Santa Croce Camerina, e con gradualità alle altre del circuito isolano fino a raggiungere. nel giro di un’ora, quei porti dove esistevano flotte navali da guerra che immediatamente prendevano il mare per contrastare l’azione offensiva del nemico. Le segnalazioni, inoltre, erano destinate agli abitanti della città e della campagna tramite torri secondarie come quelle dell’Insegna e del convento dei Padri Cappuccini. Oltre ai torrari erano pure pertinenza della città diversi gruppi di guardie a cavallo che percorrevano il litorale fino al fiume Dirillo. La torre di Manfria è a pianta quadrata con basamento fortemente scarpato che misura circa 12,5 metri per lato. In origine era costituita da due piani, il pianoterra che serviva come deposito di acqua, legna, munizioni, spingarde, schioppi, polvere da sparo e palle di cannone e il primo piano che serviva da alloggio ai torrari (caporale, tenente e soldati). Inoltre, il terrazzo, provvisto di parapetti, tettoia e due balconate, sostenute da eleganti mensoloni di arenaria, ospitava due cannoni. L’accesso alla torre avveniva dal primo piano con una scala di legno o una corda retrattili prima che nel 1805 fosse costruita una scala in muratura a due rampe. Nello stesso anno fu anche realizzato il secondo piano. Attualmente la torre, per l’usura del tempo e l’incuria dell’uomo, è mal ridotta e l’intervento riparatore di qualche anno fa è servito a poco. Sarebbe ora che il Comune di Gela intervenisse per salvare la torre procedendo prima all’esproprio, come bene monumentale di interesse collettivo, e poi alla ristrutturazione. Diversamente, per la Torre di Manfria si prospetta una brutta fine. Vogliamo porre ultriormente all'attenzione dei lettori il territorio extraurbano di Manfria (una volta una delle più belle e ridenti contrade di Gela), ma non per l'incredibile sfacelo edilizio residenziale perpetrato ai suoi danni, ne scriviamo solamente in riferimento alla Torre di Manfria ivi esistente. E lo facciamo in questa pagina di giornale per la seconda volta, dopo quasi un anno e mezzo dalla prima, per denunziare ancora una volta all’opinione pubblica il disinteresse delle istituzioni (Comune, Provincia, Regione e Soprintendenza) nei confronti di un importante monumento del 1500 che si sta perdendo. La Torre di Manfria è una struttura a pianta quadrangolare costituita da due piani oltre a quello terreno. L'ultimo piano, che fra qualche anno per le condizioni di grande precarietà in cui si trova non esisterà più, era provvisto di un tetto a capriata e di alcune finestre. Sugli spigoli di sud-est e di nord-ovest si osservano i resti di due balconate sostenute da possenti mensoloni di pietra arenaria in parte consunti. L'accesso alla torre avveniva fino a poco tempo fa dal primo piano mediante una scala posticcia in muratura (del 1805), oggi in parte crollata; nei secoli scorsi, quando la torre esercitava la sua funzione, tale accesso avveniva mediante una scala di legno o corda retraibili. All'interno della torre di regola erano residenti alcuni "torrari", retribuiti dal Comune di Terranova, che provvedevano a segnalare le invasioni barbaresche dal mare ed alla bisogna a difendere la torre con l'uso di archibugi, una bombarda e dei liquidi bollenti che versavano sugli assalitori dalle balconate e dalla caditoia posta sopra l'unico accesso. I torrari provvedevano a realizzare le segnalazioni con la produzione di fumi durante il dì e con l'accensione di fuochi durante la notte in concomitanza dell'avvistamento di navi saracene; i segnali erano percepiti da altre due torri vicine, quella di Camarina. ad est e l'altra di Falconara ad ovest, che a loro volta li trasmettevano al circuito isolano di torri costiere, che erano più di 200, in maniera tale che le popolazioni della costa approntassero in tempo utile le necessarie difese contro l'arrivo dei pirati; allora "mamma, li turchi", era un’espressione tipica di cui ancora rimane il ricordo per la ferocia con cui tali pirati barbareschi trattavano le popolazioni dei luoghi costieri depredati. Una decina di anni fa la Torre di Manfria (la cui proprietà appartiene ancora ai fratelli Jacono), grazie ad un progetto approntato dal Comune, fu illuminata con fari a vapore di sodio che la resero visibile di notte in tutta la sua possente maestosità a decine e decine di chilometri di distanza. L'illuminazione, però, durò solo qualche mese. Infatti, i fari, comprese le pesanti nicchie di pietra che li contenevano, e lo stesso impianto elettrico furono oggetto di una feroce azione vandalica tale da mettere fuori uso definitivamente l’intero impianto. Da allora in poi, tranne un intervento di recupero (peraltro inconsistente) di qualche anno fa, la Torre di Manfria continua ad essere erosa dalle intemperie e rovinata da ulteriori azioni vandaliche senza che nessuno riesca ad intervenire. E così, da più di un cinquantennio, si continua ad assistere impotenti alla degrado di questo importante monumento dell'antichità. |
Foto da drone (25 dic. 2015)