Cratere di Gela ritrovato e restituito

OPERAZIONE ANDROMEDA

E RIENTRO DEL CRATERE A GELA

C'erano seri pericoli che il cratere rimanesse al museo Salinas di  Palermo per una serie di prese di posizione di alcuni dirigenti e funzionari abituati a fare e disfare come se fossero al servizio di se stessi; addirittura nella presentazione di sabato 18 settembre al Salinas di  Palermo hanno dato ai visitatori un misero cartoncino su cui erano scritti i reperti rientrati e le loro destinazioni: per il cratere di Gela era stato messo un punto interrogativo.

 

 

 

La manifestazione al Salinas di Palermo "Notte preziosa al Salinas" dalle 19,00 alle 24,00 ha avuto un discreto successo con l'unico neo di avere esposto i reperti in una stanza angusta con una illuminazione non adeguata. Comunque, lasciamo perdere, l'importante è che il cratere sia rientrato a Gela e da qui nessuno lo porterà  più via. Ma andiamo alla manifestazione al museo di Gela di venerdì 24 settembre u.s. che ha avuto un mediocre successo di pubblico, anche perchè una manifestazione di mattina lascia il tempo che trova; praticamente se non ci fossero stati presenti i soci dell'Archeoclub sarebbero rimaste molte sedie vuote. Alla manifestazione hanno preso posto sul tavolo della presidenza l'assessore Armao, il sindaco Fasulo, il nuovo soprintendente ai BB.CC.AA. di Caltanissetta Scognamiglio, il direttore del museo Gueli (oggi direttore del Parco Archeologico e Ambientale) e il sottoscritto. Assente il presidente della provincia Federico che era stato invitato, pure assenti gli onorevoli Speziale, Donegani e il presidente del consiglio comunale Fava che non si riesce a capire se siano stati invitati o meno.

A livello di mass-media c'erano presenti tutti, si fa per dire, persino RAI 3 coinvolta non per l'importanza dell'evento ma per la solita raccomandazione; e lo dico perchè il sottoscritto, qualche giorno dopo il riconoscimentio del cratere proveniente da Gela, telefonò alla redazione di RAI 3 il cui interlocutore telefonico dopo il racconto del fatto rispose seraficamente "...e allora?": e allora vaffanculo pensai di rispondergli ma non l'ho fatto, l'ho ringraziato e ho chiuso. Chi sono io che volevo portare qui la RAI per un evento particolare? Sono nessuno! Ma metti il caso che al posto di questo evento del cratere avrei telefonato alla RAI per un fatto di cronaca nera accaduto a Gela, sicuramente si sarebbero interessati, eccome si sarebbero interessati, e precipitati qui per dare la notizia  certamente anche a livello nazionale nel TG1. TG2 e TG3, perchè in definitiva lo sanno i redattori che Gela produce solo fatti di cronaca nera e se uno dice loro di un avvenimento culturale importante rispondono "...e allora? E sissignore,  a Gela siamo tutti porci e mafiosi e che cosa può dare questa città: se non porcate e cronaca nera.

    Spesso mi chiedo ma è importante che la stampa pubblichi  notizie di macchine bruciate? Sinceramente una delusione dedicarsi al bene collettivo di Gela, verrebbe la voglia di farsi i cazzi propri e mandare "affanculo" tutti. Quante volte l'ho detto Dio solo lo sa, eppure è più forte di me, non ci riesco.

    Nell'intervento dell'assessore c'è stato un ringraziamento all'opera svolta dalla Sovrintendenza di Caltanissetta, non so a che cosa si riferisse però, col cratere rientrato questa istituzione nissena non ha niente a che vedere per il semplice fatto che mai la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Caltanissetta con la Panvini ha partecipato alla richiesta di rientro di reperti archeologici a Gela, anzi la stessa Panvini ha contribuito a depauperare il nostro patrimonio museale con il trasferimento a Caltanissetta di 930 cassette con centinaia e centinaia di reperti nel 1999, 2000 e 2001 nonostante che già il museo archeologico di Gela avesse avuto l'autonomia sin dal 1° ottobre 1999 e quindi tali reperti non potevano essere trasferiti perchè necessitavano del parere del Consiglio Regionale dei Beni Culturali e perchè non si è ottemperato al decreto del direttore generale, in quanto schedati nei registri d'inventario al museo di Gela. A tal proposito la querelle non è ancora conclusa perchè chiederemo come Archeoclub ancora con forza il rientro di questi nostri reperti. In chiusura riporto qui di seguito la relazione letta dal sottoscritto durante la manifestazione.

 

MUSEO ARCHEOLOGICO DI GELA

VENERDI’ 24 SETTEMBRE 2010

 

    Nell’apprendere del rientro in Sicilia di diversi reperti del sequestro Andromeda, si prova contentezza e soddisfazione prima come siciliano e gelese e poi come colui che ha contribuito assieme a Giuseppe Brugioni al rientro del cratere laconico; e per questo desidero ringraziare l'On.le assessore Gaetano Armao e il suo staff, in particolare la Dott.ssa Enza Cilia, per aver reso possibile questo importante evento e per essere stato pronto a recepire le istanze di una città, Gela, e di una regione che oggi hanno tanto bisogno di questi eventi culturali per ribaltare forse una nomea negativa.

     Questo evento del rientro del cratere, che io voglio definire come “un miracolo”, è da ricordare! Perché in assoluto è la prima volta che ciò succede, abituati come siamo stati fino a pochi anni addietro, a veder uscire con spregiudicatezza da questo museo centinaia di reperti archeologici, destinati ad altre strutture museali vicine, trasferimenti che hanno depauperato abbondantemente il nostro patrimonio archeologico.

    Ringrazio ancora come rappresentante dell’Archeoclub e come cittadino gelese il Sindaco Avv. Angelo Fasulo, il Presidente della Provincia Dott. Pino Federico e l’Arch. Salvatore Gueli, per aver contribuito sinergicamente al rientro di questa importante opera dell’antichità; allo stesso Gueli esprimo gli auguri per la nuova nomina di direttore del Parco Archeologico Ambientale, recentemente istituito dalla Regione.

     Questo miracolo deve ripetersi ancora per una, dieci, cento, volte; e subito per altri reperti come la coppetta del VII secolo a.C., con l’immagine più antica della Trinacria, reperto che fino agli anni Settanta faceva parte del repertorio di questo museo e da tempo, purtroppo, esposto nelle vetrine del Museo agrigentino. Ma anhe per quei reperti che sono stati bloccati nel Museo di Siracusa, con il cui dirigente si era addivenuto ad un accordo di restituzione.

     Un doveroso e lodevole ringraziamento in questo specifico rientro, va all'Arma dei Carabinieri, in particolar modo al Comando per la Tutela dei Beni Culturali, che svolge fin dal 1969 in tutt’Italia un compito importantissimo contrastando, assieme alle altre Forze dell’Ordine, il traffico illecito del bene culturale e agendo contro tombaroli e collezionisti spregiudicati; ringrazio anche detto Comando, assieme alla Soprintendenza Archeologica di Roma, nell’aver certificato a chi vi parla la provenienza di Gela del cratere.

     La Sicilia possiede un patrimonio archeologico ed artistico di notevole importanza che spesso viene sottovalutato, purtroppo i dati dell'osservatorio regionale turistico non sono confortanti; al di là di isole felici come quelle della Valle dei Templi di Agrigento e del Teatro greco-romano di Taormina, in tutte le altre città dell'Isola c'è un trend negativo di turismo che bisogna arrestare e invertire. La provincia di Caltanissetta dal punto di vista del turismo risulta all’ultimo posto con dati vicini allo zero.

    In Sicilia vi sono 1770 custodi (*) che costano ogni anno 67 milioni di €, a fronte di incassi da biglietti che arrivano a 12 milioni di €, appena un sesto; ad esempio nel 2008 nel Museo Archeologico di Caltanissetta c'è stata una spesa di 557 mila € per 14 custodi, a fronte di 63 € di incasso, con 34 visitatori. Ed ancora nella Zona archeologica di Monte Saraceno a Ravanusa, c'è stata una spesa di 340 mila € per manutenzione e per 10 custodi, a fronte di zero € di incasso. In nostro bene culturale non è sfruttato per come dovrebbe essere, troppe risorse economiche della collettività non hanno ritorni utili.  E a uesto punto, a mio modo di vedere, fa bene l'assessore regionale Armao nell'aver annunciato la pubblicazione di bandi per la privatizzazione di ben 87 musei e siti archeologici.

     In un momento in cui grava un consistente deficit occupazionale ed economico, sarebbe ora che la politica si inventi altri modi di gestire il nostro patrimonio archeologico, monumentale e artistico, ai fini di un rilancio del turismo, e non solo di quello archeologico: una vocazione di cui spesso ci si dimentica di avere.

     I beni recuperati, oltre a rappresentare, ognuno per le proprie caratteristiche, pregevolissime espressioni storico-artistiche, assumono particolare valenza per le future generazioni, quali testimonianza del proprio passato e dell’identità culturale della propria città.

(*) dati riportati da Antonio Faschilla su Repubblica, giovedì, 18 Marzo 2010, con l'articolo dal titolo: "Sicilia più custodi che visitatori”

 

 

     

Giuseppe Brugioni e Nuccio Mulè

DA QUI IN POI TUTTI I PARTICOLARI DELLA FIGURAZIONE DEL VASO, COMPRESA LA VISIONE DEGLI STESSI IN NEGATIVO
       

SCHEDA DEL CRATERE

Il cratere ritrovato

 

    Frutto di un’operazione di sequestro dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Cultura-le in collaborazione con la magistratura italiana ed elvetica e le polizie di Ginevra e Basilea, il cratere laconico a figure nere rientra a Gela dopo un peregrinare di diversi decenni tra trafficanti, asta londinese di Sotheby’s e mercato di Basilea. In origine il cratere faceva parte di una collezione privata gelese che poi, in un periodo imprecisato, fu venduto ad un trafficante per conto di tali Giacomo Medici e Robin Symes (quest’ultimo curatore della vendita della Venere di Morgantina al Getty Museum di Malibù), persone senza scrupoli che tra gli anni ’70 e ’80 erano considerate come punti di riferimento europeo dei ricettatori di reperti archeologici clandestini, tant’è che nel 1981, sicuramente attraverso lo smista-mento nel Porto Franco di Ginevra, si trovò nel mercato svizzero di Basilea. Il cratere, assieme ad altre centinaia di reperti, è stato sequestrato nel caveau di una villa di un commercialista svizzero, tale S. Bodishops di Basilea, che fungeva da spalla al commerciante giapponese Noryioshi Horiuchi, quest’ultimo già entrato in passato nelle vicende dei traffici internazionali di opere d’arte e grande collettore di antichità archeologiche a suo tempo per il museo giapponese Miho a Shigaraki.
    Il catere laconico, che già compariva nel catalogo Christie’s London, fine antiquities - 8 june 1988, nel 1989, durante questo peregrinare, fu studiato da un archeologo olandese Michael Conrad Stibbe il quale ne tracciò i dati che lo contraddistinguono: provenienza da Gela, attribuzione dell’opera al cosiddetto “Pittore della Caccia”, uno degli artisti più eminenti dello stile a figure nere della ceramica laconica, e datazione che, per forma e stile del vaso, stimò nel VI sec. a.C., in particolare tra il 560 e il 555 a.C.
    Opera d’arte greca rarissima, se non unica, di notevole valore artistico e di grande pregio, il cratere di Gela possiede una complessa figurazione ripartita essenzialmente tra il collo e il corpo, separati sulla spalla da una prominente decorazione composta da lingue rosse e nere alternate (due rosse ed una nera) e, subito sotto, da una fascia di spirali con-catenate. Un cratere rimasto quasi intatto, da cui il tempo non è riuscito a sbiadire via del tutto l’arte che il suo creatore aveva voluto esprimere. Decorazioni bicromatiche a pennellate verticali, onde correnti e file di animali che si snodano sia sulla parte superiore che su quella inferiore del vaso.
    La creatività del pittore lasciò spazio ad un’arte orientalizzante, giunta nel settimo seco-lo fino in Laconia (a Sparta), con una scena di predazione di un leone che azzanna un cin-ghiale e esseri a metà tra donna e aquila, come le sirene, ma anche sfingi alate e galli. Eppoi la scena figurata delle danze di comasti, sul collo del vaso, che seguono con movimenti frenetici il suono della lira. Nelle anse a volute predomina la figura della testa di una Gorgone, figura mostruosa sopravvissuta nell’immaginario collettivo attraverso il mito di Medusa.
    Il cratere laconico di Gela, esposto subito dopo il sequestro dai Carabinieri al Colosseo assieme ad alcune centinaia di reperti, è stato riconosciuto nelle foto e dimostrato come proveniente da Gela, da Giuseppe Brugioni e da Nuccio Mulè dell’Archeoclub d’Italia, e, in seguito a ciò, consegnato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali all’assessore regionale Gaetano Armao che ne ha predisposto la collocazione definitiva al Museo Archeologico di Gela; museo che oggi fa parte del Parco Archeologico Ambientale di Gela e dei comuni limitrofi, di recente istituzione, la cui direzione è stata affidata all’Arch. Salvatore Gueli.

 

Esposizione al Colosseo dei 337 reperti sequestrati in Svizzera dai Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Roma e individuazione del cratere laconico proveniente da Gela.

  

 

lato A                                    lato B

Cratere laconico del VII sec. a.C. proveniente da Gela

 

TRA I REPERTI SEQUESTRATI

RECENTEMENTE IN SVIZZERA

UN RARO ED IMPORTANTE CRATERE PROVENIENTE DA GELA

INDIVIDUATO DA NUCCIO MULE' E GIUSEPPE BRUGIONI

    Poteva essere che nell’ultimo sequestro di materiale archeologico, avvenuto in Svizzera lo scorso 15 giugno, non fosse presente un reperto proveniente da Gela? Era scontato che ci doveva essere dal momento che la nostra città è stata (e lo è tuttora) una delle maggiori sedi archeologiche in Italia ad aver subito una colossale rapina di reperti archeologici che sono sparsi in tutto il mondo tra collezioni museali e private.
    L’indicazione precisa di Giuseppe Brugioni, cultore e attento studioso gelese di ceramica greca, ha portato lo scrivente ad interessarsi di tale ritrovamento che è stato effettuato dal Reparto Operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio di Roma con l’operazione “Andromeda” e dato alla stampa nazionale qualche giorno fa con l’esposizione dei reperti sequestrati all’interno del Colosseo.
    E così lo scrivente, grazie al contatto con i Carabinieri del Reparto Territoriale di Gela e con i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale di Palermo e Roma, nonché con la Dott.ssa Rosanna Friggeri della Soprintendenza Archeologica di Roma, è riuscito a far fare una comparazione tra una foto del vaso di una pubblicazione specialistica del Prof. M.C. Stibbe, che riportava notizie del cratere in oggetto proveniente da Gela, e quella scattata tra i reperti sequestrati in Svizzera. Quindi, grazie alla certificazione dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale di Roma, si è avuta piena certez-za sulla provenienza gelese del cratere.
    Ma vediamo di che cosa si tratta, riferendomi a quanto riportato nella lettera-tura specialistica; il vaso è un rarissimo ed importantissimo cratere laconico arcaico a volute del VII sec. a.C. attribuito al “Pittore della Caccia”; le dimen-sioni sono riferibili ad un’altezza di 47 cm e ad un diametro del corpo di 41 cm. La decorazione e la figurazione che si trovano sul corpo e sul collo del cratere sono complesse, ma comunque si riferiscono a figure di sfingi, uccelli e animali predatori con le loro vittime, a parte una danza di comasti (danzatori) sul collo del lato B. Sulle due volute dei manici sono raffigurate delle teste di gorgone.
    Nei vari articoli riportati dai quotidiani nazionali sul ritrovamento dell’operazione “Andromeda” si fa specifico riferimento a questo cratere e ciò dimostra la fondatezza della notevole importanza di tale vaso.
    A questo punto come Archeoclub d’Italia ci rivolgiamo al Sig. Sindaco, alla Presidenza della Provincia, alla Soprintendenza Archeologica di Caltanissetta e alla Direzione del Museo Archeologico di Gela affichè tutti si prodighino, per le rispettive competenze, a contribuire al rientro del cratere a Gela dove sicu-ramente troverà la legittima e definitiva collocazione. I beni recuperati, oltre a rappresentare, ognuno per le proprie caratteristiche, pregevolissime espressioni storico-artistiche, assumono particolare valenza per le future generazioni quali testimonianza del proprio passato e dell’identità culturale della propria città.

COSA SCRIVE LA STAMPA NAZIONALE

Quest’oggi presentiamo, nel prestigioso e spettacolare scenario della piattaforma dell’arena del Colosseo, trecentotrentasette eccezionali reperti archeologici, provenienti da Lazio, Puglia, Sardegna e Magna Grecia, di epoca compresa tra VIII secolo a.C. e IV se-colo d.C., che i Carabinieri del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale hanno rimpatriato da Ginevra (Svizzera), il 25 giugno 2010.

Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
Reparto Operativo
COMUNICATO STAMPA
OPERAZIONE “ANDROMEDA”
ARCHEOLOGIA: I CARABINIERI DEL COMANDO T.P.C. HANNO
RECUPERATO IN SVIZZERA OLTRE 300 STRAORDINARI
REPERTI ARCHEOLOGICI
Quest’oggi presentiamo, nel prestigioso e spettacolare scenario della piattaforma dell’arena del
Colosseo, trecentotrentasette eccezionali reperti archeologici, provenienti da Lazio, Puglia,
Sardegna e Magna Grecia, di epoca compresa tra VIII secolo a.C. e IV secolo d.C., che i Carabinieri del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale hanno rimpatriato da Gine-vra (Svizzera), il 25 giugno 2010.
    Tra i beni spiccano moltissimi oggetti di grandi dimensioni e alcuni rarissimi ed unici nel lo-ro genere: loutrophoros, statue in marmo raffiguranti la dea Venere, crateri a volute apuli e attici, crateri a mascherone canosini, kylix calcidiche, oggetti in bronzo (tra cui padelle, hydriae, statuette ed un tripode), ferri chirurgici, affreschi pompeiani, una navicella e due guerrieri nuragici, il cui valore sul mercato illecito è determinato sulla base della loro grandezza in centimetri (circa diecimila euro a centimetro). Il valore patrimoniale complessivo delle opere supera i quindici milioni di euro. I reperti sono stati sequestrati dalle autorità svizzere, nel corso di indagini iniziate nel 2008 dalla sezione archeologia del Reparto Operativo, su rogatoria internazionale emessa dalla Procura della Repubblica di Roma. L’importante recupero è un nuovo successo nell’azione di contrasto che il Comando TPC svolge da anni per arginare il traffico di reperti archeologici scavati illegalmente in com-prensori italiani. L’indagine, denominata convenzionalmente “Andromeda”, prende spunto dagli approfondimenti del caso Medici. In particolare, i Carabinieri individuarono un noto commerciante londinese, Robin Symes, che tra gli anni ’70 ed ’80 era diventato il punto di riferimento di tantissimi ricettatori del settore. Basti pensare, a titolo di esempio, che è sta-to lui il curatore della vendita della Venere di Morgantina al Getty Museum di Malibù, opera che rientrerà in Italia nel gennaio 2011. La sua carriera, per lungo tempo in continua asce-sa, si fermò allorquando, presso una lussuosa villa alle porte di Orvieto, il suo socio e compagno perse la vita in un incidente. L’impero costruito dal Symes vacillò poiché coinvolto, in Inghilterra, anche in vicende giudiziarie civilistiche, intentate dagli eredi del convivente. Le attività hanno portato a ritenere che il dealer per cercare di salvare la sua libertà personale e patrimoniale, trasferì i suoi interessi commerciali in Svizzera. Qui, la collaborazione con la Magistratura elvetica e con le Polizie cantonali di Ginevra e Basilea ha per-messo di scoprire società di comodo, con sedi anche in paradisi fiscali come il Liechten-stein, create per sfuggire ai controlli. Il proseguimento dell’inchiesta, coordinata dalla Procura della Repubblica di Roma, ha consentito, nel 2008, di emettere ulteriori richieste in-ternazionali di indagini. L’interpolazione dei dati così acquisiti ha portato all’identificazione di un amministratore di società, abitante a Basilea, dedito alla gestione di un vero e proprio traffico di reperti in nome e per conto dei suoi facoltosi clienti tra cui il predetto Symes. All’atto della perquisizione i Carabinieri del TPC non hanno trovato uno studio da commer-cialista, ma una sontuosa villa in una zona residenziale. Le perplessità iniziali sono state presto fugate quando sono stati trovati nel cuore della stessa, all’interno di una stanza blindata, centinaia di faldoni di documentazione. Le certosine ricerche compiute e l’analisi dei dati hanno permesso di individuare, tra la copiosa documentazione, un enorme mole di notizie riguardanti reperti archeologici proveniente dall’Italia. Lo studio di questo carteggio ha inoltre consentito di scoprire che come centro di smistamento era sempre utilizzato il porto franco di Ginevra. A seguito di ulteriori rogatorie, nel mese di dicembre 2008, sono stati perquisiti nove locali, adibiti a magazzini nel predetto porto franco, riconducibili a un importante mercante giapponese, ove sono stati rinvenuti circa 20.000 beni d’arte, prove-nienti da ogni parte del mondo, molti dei quali di chiara provenienza da aree archeologiche italiane. Durante tutto l’anno 2009, sono proseguite, in Svizzera, le attività di catalogazione e contestualizzazione degli oggetti. Sulla base quindi delle evidenze investigative e dei riscontri scientifici dei consulenti tecnici è stata comprovata, inconfutabilmente, la provenienza dei reperti da scavi clandestini in Italia. Così, il dealer nipponico, pur avendo attestato di aver acquistato i beni sequestrati sul libero mercato, a dimostrazione tangibile della sua buona fede e della volontà di collaborare con le autorità italiane ha presentato atto di rinuncia dei reperti. Tutti i capolavori hanno fatto definitivo rientro sul suolo italiano, da dove erano stati ingiustamente trasferiti, tanti anni prima, da disonesti criminali senza scrupoli che, per bieco arricchimento personale, attentarono allo spirito d’identità culturale della Nazione. I beni recuperati, oltre a rappresentare, ognuno per proprie caratteristiche, pregevolissime espressioni storico-artistiche, assumono particolare valenza per le future generazioni quali testimonianza della del proprio passato e dell’identità culturale della Nazione.
Roma, 16 luglio 2010.
Ufficio: Reparto Operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale
Sezione Archeologia. Tel. 06/585631 - 06/58563255.


Torna in Italia un tesoro di reperti

pronti per il mercato illegale Recuperate

 

ROMA - Andromeda, col suo mito, brilla sotto il sole che invade la cavea del Colosseo. La kylix preziosissima che è istoriata con la sua storia paradigmatica della bellezza oltraggiata è al centro dell’eccezionale mostra di reperti archeologici recuperati dai carabinieri del Nucleo Tutela Culturale guidati dal generale Francesco Nistri. Trecentotrentasette opere di altissimo valore riportate in Italia dalla Svizzera, dove erano custodite negli hangar del Porto franco di Ginevra dal signor Norioshi Oriuchi, un commerciante giapponese già entrato in passato nelle vicende dei traffici internazionali di opere d’arte e grande collettore di antichità archeologiche a suo tempo per il museo Miho di Shigaraki, il gioiello costruito da Ming Pei e per il cui allestimento sono stati spesi 750 milioni di dollari. Un recupero e un’indagine che puntano ora a Oriente.

DUE ANNI DI INDAGINI - Operazione Andromeda, due anni di intense attività che prendono le mosse ancora una volta dalla rete Medici e Symes, la scoperta di un impressionante archivio di faldoni e di documentazione in una villa di Basilea in Svizzera detenuti in una stanza blindata, la restituzione all’Italia delle 337 opere di sicura provenienza clandestina concordata alla fine col commerciante giapponese. Lui e la sua spalla, il signor S. Bodishops di Basilea, sono deferiti all’autorità giudiziaria per ricettazione. L’attività coordinata dal Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal Pm Francesco Ciardi è ancora in corso. Nel porto franco di Ginevra il materiale recuperato giaceva insieme ad altre ventImila opere d’arte di varia provenienza. I capolavori ritrovati provengono da scavi clandestini di Lazio, Puglia, Sicilia e Sardegna. Vanno dall’VIII secolo – un bellissimo vaso grigio proto-laziale – all’età imperiale.

CANDELABRI ETRUSCHI - Crateri canosini e apuli, bronzetti nuragici come un bellissimo arciere o una navicella ferri chirurgici, una serie di affreschi (otto) strappati all’area pompeiana, kylix attiche di grandi artisti noti come il pittore di Baltimora, il pittore di Dario, Brigos e il pittore di Pentesilea. E ancora un cratere “laconico” già pubblicato e oggetto di studi negli anni ’90 proveniente dalla Sicilia, candelabri etruschi. L’indagine ha preso le mosse dai movimenti di Robin Symes, il brasseur d’affari artistici londinese già entrato nel processo Getty a Marion True. Lui il curatore della vendita della Venere di Morgantina al Getty Museum di Malibu, opera che rientrerà nel gennaio prossimo dalla California. E’ dai suoi contatti che si è risaliti a questa nuova rete che fa capo al signor Oriuchi e che ha consentito l’eccezionale recupero delle 337 opere d’arte, che ora come è stato ricordato dal sovrintendente archeologico di Roma Giuseppe Proietti e dal sottosegretario ai beni culturali Francesco Giro torneranno nei luoghi di origine per arricchire le nostre raccolte museali.

 ANTICHITA' E INTERCETTAZIONI - «Uno dei più importanti recuperi, sono opere di qualità unusuale» ha ricordato oggi Proietti, prima di avviare una serie di precisazioni polemiche. A raffica infatti sono state esposte, nel corso della presentazione delle opere recuperate, alcune note dolenti del panorama dentro il quale avvengono questi faticosi recuperi. Proietti ha infatti chiesto al governo di mobilitarsi contro un progetto di legge sulla «titolarità del bene di antichità all’atto della scoperta», una legge di revisione della misure del 1909 proposta da un gruppo di parlamentari del Pdl guidati da Gioacchino Alfano. Francesco Giro che subito gli ha garantito appoggio da parte del governo ha speso poi parole dure contro il degrado delle antichità a Roma, citando il caso Villa Borghese ma anche del Verano e annunciando un intervento del Comune. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo da parte sua ha ricordato che operazioni come questa di Andromeda sono possibili grazie alle intercettazioni, un’attività che polemicamente ha definito “essenziale”.

Paolo Brogi

16 luglio 2010

Il Giornale


Le ceramiche attiche sono di Vulci e Cerveteri, vengono dal territorio di Pompei i dischi di mar-mo decorati, dall’Etruria due enormi ziri e il grande vaso nero del settimo secolo a. C. Siciliano è il cratere laconico pubblicato da Stibbert, sardi i bronzetti tanto ambiti dai collezionisti, dalla Lucania vengono i cerchietti d’oro. E poi statue di marmo di Venere, crateri a volute apuli e attici, candelabri etruschi, crateri a mascherone canosini. E ferri chirurgici, affreschi pompeia-ni, rari vasi rosa pugliesi, uno splendido contenitore di vino in argento, ceramiche figurate. Sono 337 i reperti archeologici, originari di Lazio, Pu-glia, Sardegna e Magna Grecia, di epoca compresa fra l’ottavo secolo a.C. e il quarto d.C., valore superiore a 15 milioni di euro, rientrati in Italia dalla Svizzera il 25 giugno e presentati nella cornice unica e ineguagliabile dell’arena e delle arcate del Colosseo. Frutto di un’operazione dei carabinieri della tutela del patrimonio in collaborazione con la magistratura elvetica e le polizie di Ginevra e Basilea. «Una vittoria che nasconde molti pericoli - fa notare il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo - I beni culturali hanno bisogno di una maggiore tutela normativa». «L'operazione Andromeda prende le mosse dagli anni ’90» precisa il gene-rale Giovanni Nistri. Tutto è partito da un approfondimento d’indagini, coordinate dalla procura di Roma, sul trafficante Giacomo Medici e su Robin Symes, tra gli anni ’70 e ’80 punto di riferi-mento dei ricettatori. «Abbiamo trovato una pista che portava a un giapponese, nel 2008 ab-biamo scoperto dei magazzini», racconta Raffaele Mancino, capo del nucleo operativo. Il giappo-nese, in affari con Symes, aveva otto magazzini a Ginevra contenenti 20mila beni di tutto il mondo. In uno erano conservati tutti i pezzi rientrati in Italia, di cui è stata provata la prove-nienza clandestina. A Basilea c’era la documentazione. «Uno dei più importanti recuperi mai ef-fettuati per la qualità delle opere che provengono dai contesti storicizzati del centro e del sud a cui speriamo di poterli restituire», sottolinea il soprintendente Giuseppe Proietti, che lancia un appello affinché non venga riformata la legge che codifica la natura pubblica del bene antichità. «Una proposta di legge e non del governo», precisa il sottosegretario Giro, ribadendo l’importanza della titolarità pubblica dei beni.


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