Dalla protostoria
alla fondazione di Gela greca
Le tracce
più antiche di vita fino ad oggi scoperte nel territorio di Gela e nel
suo circondario risalgono alla fine del Neolitico, cioé intorno al IV
millennio prima della nascita di Cristo. Le popolazioni protostoriche
del territorio di Gela attestate in un primo tempo nelle immediate
vicinanze del mare, con l’insediarsi dei Greci furono spinte
nell’entroterra, a Nord verso le montagne dove costituirono dei
capisaldi rupestri.
Intorno al
689 a.C. un gruppo di coloni greci, provenienti dalle isole di Rodi e
Creta, guidati rispettivamente da Antifemo ed
Entimo,
sbarcarono con le loro navi nei pressi del fiume Gela; qui fondarono una
città che denominarono prima Lindioi e poi, dopo vari decenni, Gela dal
nome del fiume omonimo
Nel 580
a.C., una colonia di Geloi capeggiata da Pistilo e Aistonoo fondò la
subcolonia di Akràgas, corrispondente all’odierna Agrigento, che dopo
dieci anni si rese autonoma.
Inoltre, si
sa comunque che, durante tale epoca, la prima forma di governo fu quella
dorica costituita da un governo oligarchico durò fino al 505 a.C., anno
in cui fu rovesciato da Cleandro Patareo il quale assunse il titolo di
Tiranno ("Signore della città"), il primo della storia di
Gela. La dominazione di Cleandro durò circa sette anni, fino al 498
a.C. anno in cui fu assassinato da un geloo di nome Sabello,
nell’intento di dare alla città la libertà perduta.
A Cleandro
succedette il fratello Ippocrate, il quale, dopo aver consolidato il
proprio potere, si prefisse di portare a termine il grandioso disegno
concepito dalla collettività geloa, cioé quello della fondazione di un
grande Stato con Gela metropoli.
Ippocrate morì nel 491 a.C. dopo aver regnato sette anni; sotto il suo
governo Gela raggiunse splendore e potenza, fu ricca e fiorente sopra
ogni altra città dell’Isola, da tutti ammirata e temuta. Ad Ippocrate
subentrarono nel regno di Gela i figli Euclide e Cleandro che ebbero, in
quanto minori, la tutela e la protezione di Gelone che a nome loro tenne
la reggenza del governo per due anni fino a quando, traendo pretesto da
discordie e dissensi della popolazione, ne assunse direttamente la
tirannide con un colpo di stato, usurpando così il legittimo potere.
Nel 485 a.C. Gelone, spiando il momento opportuno per muovere guerra a
Siracusa la quale dopo aver subito un breve assedio gli aprì le porte,
acclamandolo come paciere. Assunto così il governo provvisorio di
Siracusa, Gelone lasciò Gela nelle mani del fratello Gerone dopo averla
spogliata dei suoi migliori cittadini e con tutti i lori averi; di Gela
non si occupò mai più. A Gelone succedette a Siracusa il fratello Gerone,
allora tiranno di Gela, la cui signoria passò nelle mani dell’altro
fratello Polizelo. Gela ospitò uomini illustri e nobili ingegni nel
campo delle Lettere e delle Arti; sicuramente uno di questi personaggi
fu il grande tragediografo greco di Eleusi Eschilo, che trascorse a Gela
gli ultimi anni della sua vita.
All’ingresso
del Museo è stata posta una lapide, il cui testo originale in
greco, con relativa traduzione in italiano, è stato curato dai Proff. Nuccio Mulè e
Sebastiano Cucchiara, che si trovava sulla tomba, mai
ritrovata, di Eschilo:
A
ESCHILO
(Eleusi
525 – Gela 456 a.C.)
Nel
2525° anno della nascita
AISCULON
EUFORIWNOS AQHNAION
TODE KEUQEI
MNHMA
KATAFQIMENON PUROFOROIO
GELAS
ALKHN
DEUDOKIMON MARAQWNION
ALSOS AN EIPOI
KAI
BAQUCAITHEIS MHDOS
EPISTAMENOS
Eschilo,
figlio di Euforione, ateniese, morto a Gela produttrice di grano,
/
questo
monumento ricopre: il bosco di Maratona potrebbe raccontare /
il
suo glorioso valore e il Medo dalle lunghe chiome, che lo conosce.
Gela
dicembre 2000 -
Comune
di Gela - Rotary Club
Nella
seconda metà del V secolo a.C. Gela si liberò dalla tirannide di
Polizelo e si resse con governo democratico di cui non si conoscono né
gli ordinamenti politici né quelli economici.
Nel 405
a.C. l’esercito cartaginese, al comando d’Imilcone, reduce dalla
vittoria su Agrigento, espugnò e distrusse Gela. La città subì
notevoli danni nonostante l’aiuto di Dionigi di Siracusa che concluse
in seguito un patto di non belligeranza con gli stessi Cartaginesi.
Nella
seconda metà del IV secolo a.C. la signoria di Siracusa passò nelle
mani di Timoleonte, uomo politico e generale corinzio, che liberò quasi
completamente la Sicilia dalla tirannide e dallo straniero.
Il periodo
di prosperità, però, fu interrotto in seguito alle azioni di Agatocle
tiranno di Siracusa, che riprese la lotta contro i Cartaginesi.
Tempo dopo
Iceta (tiranno di Leontini e nuovo padrone di Siracusa) e Phintia
(tiranno di Agrigento) entrarono in discordia tra loro e a pagarne le
conseguenze, oltre a Iceta che fu sconfitto, furono i Geloi che nel 282
a.C. si videro incendiata e rasa al suolo la città e poi obbligati dal
vincitore Phintia, ironia del destino, a trasferirsi alla foce del fiume
Imera (l’odierno Salso), dove fu edificata la città di Phintiade,
l’attuale Licata. Quel poco che rimase di Gela, qualche anno dopo, fu
saccheggiato e completamente distrutto dai Mamertini, avventurieri
mercenari campani, forse alleati dello stesso vincitore Phintia.
Dopo la distruzione di Gela nel
282 a.C. ad opera di Phintia e dei Mamertini, sulle sue
rovine incombe "una lunga notte di silenzio" che dura
più di un millennio. La venuta dei Romani in Sicilia,
databile al 264 a.C., fu richiesta dai Mamertini per
rompere l’assedio a Messina nei loro confronti ad opera
dei Cartaginesi e dei Siracusani. Con la prima guerra
punica (264-241 a.C.) Roma, non solo assestava un colpo
decisivo alla potenza cartaginese, ma praticamente
s’impossessava della Sicilia, la quale fu dichiarata
"provincia" (ovvero terra vinta). Intorno alla metà del
V sec. d.C. la Sicilia subì diverse incursioni dei
Vandali, i quali, dopo essersi attestati nella costa
occidentale e quindi probabilmente anche nei Campi Geloi,
nel 468 d.C. riuscirono ad impadronirsi di tutta l’Isola
che tennero fino al 476. Nel 491, la Sicilia fu
conquistata dai Goti al comando di Teodorico. Tra il V e
il VI secolo d.C., si ha una certa rivitalizzazione di
tutta la pianura, pur senza arrivare ancora ad
insediamenti urbani, con la ricomparsa di piccoli
approdi e centri abitati come quello di Manfria;
inoltre, la presenza nel retroterra gelese, ma anche
nella sua collina, di fattorie e modesti villaggi
agricoli su qualche dosso sopraelevato o su qualche
bassa collina emergente tra le paludi o le boscaglie,
potrebbe riferirsi alla "massa quae dicitur Gelas" (da
un’epistola di Gregorio Magno) appartenente alla Plaga
Calvisianis riportata dall’Itinerarium Antonini . Tra il
535 e il 878 d.C., anni d’inizio e fine della
dominazione dell’Impero Romano d’Oriente nell’Isola, nel
territorio di Gela vissero popolazioni bizantine e la
chiesetta di S. Biagio, all’interno del Cimitero
monumentale, probabilmente ne è una dimostrazione. Alla
dominazione di Bisanzio seguirono poi quella Araba e, a
partire dal 1061, quella Normanna per poi passare a
quella Sveva. La dominazione araba del territorio di
Gela si può collocare a cavallo dei secoli IX e XI, in
particolare, gli Arabi sbarcarono in Sicilia il 17
giugno dell’827 essendo stati richiamati da Eufemio, un
rinnegato bizantino in disaccordo con Costantinopoli; il
perno della loro presenza nel territorio di Gela divenne
Butera perchè da questa città fortificata si assicurava
il controllo e il dominio della piana; nel 1099 i
Normanni, però, la espugnarono partendo proprio da Gela,
loro caposaldo. Cadeva così uno degli ultimi baluardi
della dominazione araba nell’Isola anche se essa non fu
subito soppiantata perchè era di livello superiore ed
anche perchè era capillarmente diffusa. Gli ultimi
decenni della dominazione araba in Sicilia furono
insanguinati da guerre intestine di stessi musulmani che
si erano divisi in tre fazioni; il che favorì, nell’arco
di trent’anni (1060-1091), la presa dei Normanni
dell’Isola con Ruggero chiamati da Thumma per meglio
difendersi dai suoi avversari. Con la conquista normanna
si avviò un processo di trasformazione dell’assetto
territoriale e di ridistribuzione della popolazione sul
territorio che continuò per tutto il XII secolo e su cui
Federico II intervenne, dandogli connotati che poi si
manterranno, nei loro aspetti essenziali, fino all’avvio
del processo di colonizzazione tardo-cinquecentesca e
secentesca.
Da Gela a Terranova
Fu durante
la dominazione sveva della dinastia tedesca dei Hohenstaufen che
Federico II (succeduto nel Regno di Sicilia a Costanza d’Altavilla ed
Enrico IV), perseguendo una politica sia di potenziamento economico
dell’agricoltura sia di realizzazione di opere militari in zone
economiche scoperte, fece edificare nel 1233, nella zona orientale di
Gela, un castello (un castrum federicianum) a cui diede il nome
di Heraclea.
Attorno a tale castello così dovette nascere la
città su uno schema probabilmente uguale a quello greco anche se alcuni
recenti studi richiamano un impianto medievale. Non si sa a partire da
quando, Heraclea incominciò a
coesistere con Terranova.
Terranova, presidiata e difesa da fortificazioni, dotata di lì a poco di
un approdo (il Reale Caricatoio) per il commercio di derrate e di merci,
dopo pochi decenni divenne il secondo centro più popoloso di tutta la
Sicilia orientale, preceduta solo da Messina e seguita a grande distanza
da città come Catania, Caltagirone e Siracusa.
Dopo la
morte di Federico II, avvenuta nel 1250, gli succedette nel Regno di
Sicilia il figlio Corrado IV che a soli ventisette anni moriva lasciando
la reggenza del Regno a Manfredi poichè il figlio Corradino erede al
trono aveva solamente due anni. Da quel periodo in poi Terranova seguì
le sorti di tante altre città dell’Isola; si ricorda, in particolare,
la sua partecipazione al Vespro nel 1282, una rivoluzione sanguinosa e
rabbiosa di popolo contro l’oppressione feroce e odiosa di Carlo D’Angiò
a cui il papa francese Clemente IV aveva offerto in feudo il Regno di
Sicilia.
L’Isola,
in seguito, per scongiurare il pericolo di un ritorno degli Angioini,
offerse la corona a Pietro III, re d’Aragona, a cui succedette
Federico III, ultimo grande re di Sicilia. Dopo Federico III la storia
dell’Isola si oscura paurosamente fino a perdere la sua indipendenza,
passando prima sotto il dominio aragonese e dopo sotto quello spagnolo
che durò per ben tre secoli (dal 1412 al 1713) gravando sull’Isola
con un duro regime fondato sui privilegi e il fiscalismo.
Nel 1369
Terranova fu data in feudo da Federico III prima a Manfredi di
Chiaromonte, settimo conte di Modica, e poi in feudo e baronia a Pietro
de Planellis; ma, il 15 marzo del 1396 Re Martino con diploma la
reintegrò al regio demanio; con lo stesso diploma quel sovrano, in
riguardo alla devozione e ai servizi resi in tempo di guerra dai
Terranovesi, concesse loro e donò i ricavati delle gabelle dell’erbaggeria
al fine di poter riparare le mura della città per premunirla dalle
rovinose incursioni turche e barbaresche. Nel 1401 lo stesso Re, con
altro diploma, abolendo qualsiasi precedente concessione, dichiarò
demaniale tutto il territorio di Terranova e confermò la moratoria dei
debiti per otto anni a chiunque intendesse trasferirsi a
Terranova-Heraclea. Nel corso del secolo, tuttavia la popolazione non
aumentò, nonostante le iniziative dei sovrani, sia per la presenza
endemica della malaria nella pianura, sia per le pestilenze che si
verificarono (1455 e 1465).
Agli inizi
del XVI secolo Terranova, dopo diversi trasferimenti passò alla
famiglia Tagliavia Aragona e poi ancora (con il matrimonio di Giovanna,
figlia di Diego Tagliavia, con Ettore Pignatelli) ai duchi
di Monteleone.
Terranova con altre terre
feudali (Buscemi, Montalbano e Morreale), in seguito
alla sollevazione del 7 marzo 1516 contro il vicerè Moncada, si ribellò
ai propri signori.
Negli
ultimi decenni del 1500 le mura della città furono restaurate per
prevenire l'assalto dei barbareschi e per riutilizzare quella parte ad
ovest abbandonata. Intanto, la Sicilia, sconvolta dalle guerre di
successione, divenne prima possesso sabaudo sotto Vittorio Amedeo II e
poi austriaco nel 1734 con Carlo di Borbone che successivamente nel 1816
formò con Napoli un grande regno (Il Regno delle Due Sicilie), il più
grande per estensione e popolazione che esistesse in Italia; con Carlo
di Borbone si inaugurò in Sicilia l’ultima dinastia regnante fino
all’Unità d’Italia; i suoi successori, però, furono ben lontani
dalla sua azione riformatrice di sollevare le condizioni del regno,
pertanto, più volte i Siciliani insorsero in armi rivendicando
indipendenza e libertà (1820, 1837, 1848 e 1860), anche se la reazione
borbonica fu sempre dura e spietata. Nel 1787
Terranova ebbe la possibilità di affrancarsi dal vassallaggio, inviando
una notevole somma in denaro al "Banco del Real Patrimonio".
Un decennio dopo la città fu funestata dal Ribello, un eclatante
fatto di sangue avvenuto il 3 febbraio del 1799; in quel giorno un folto
gruppo di rivoltosi al grido di "fuoco ai Giacobini", uccise,
bruciando poi i corpi nella piazza principale, diversi avversari del
governo. Tre mesi dopo, però, i capi della rivolta furono identificati,
presi e condannati all’impiccagione.
Con decreto
11 ottobre 1817, emanato dal Parlamento Siciliano, il distretto di
Terranova (assieme a quello di Piazza Armerina) fu elevato a
Sottintendenza, poi trasformata in Sottoprefettura, e compresa nella
giurisdizione di Caltanissetta, divenuta quest’ultima provincia e capo
distretto già dal 1812. La Sottoprefettura di Terranova (città
capoluogo dei comuni mandamentali di Riesi, Mazzarino, Butera e Niscemi)
successivamente sarebbe stata abolita, assieme alle altre, nel 1928
dall’ordinamento amministrativo italiano.
Durante la
dominazione dei Borboni in Sicilia, Terranova partecipò ai moti
risorgimentali e all’epopea garibaldina con un considerevole
contributo di vite umane; nel 1848, in particolare, da questa città
partirono, forse caso unico in tutta l’Isola, centinaia di volontari
per combattere il nemico borbone fino a Messina: i loro nomi sono
ricordati da una lapide posta all’ingresso del Municipio che così
recita:
AI
PATRIOTI TERRANOVESI
ALIOTTA BARONE GAETANO
CANNILLA RAFFAELE
F.LLI CAMERATA SCOVAZZO NAVARRA BIVONA
GIACOMO
NAVARRA GIACOMO
NAVARRA GIUSEPPE
PARTECIPI DELLA
RIVOLUZIONE PER LIBERARE LA
TRINACRIA
E
AI GARIBALDINI
TERRANOVESI
CANNILLA LUIGI
DE LEITO GIUSEPPE PAINO FELICE
ROMANO CARMELO
TIGNINO VINCENZO
ED ALTRI
AL SEGUITO DEL DUCE
DEI MILLE PER L'UNITA' D'ITALIA
NOMI SACRI ALLA
LIBERTA' FIGLI DI GELA
CITTA' ANTICA E
GLORIOSA
UOMINI FORTI E
MAGNANIMI
CHE LA PATRIA HANNO
ANTEPOSTO
AI DOVERI DI PADRE
DI SPOSO E DI FIGLIO AI PIU' CARI AFFETTI
DI FAMIGLIA
AL BENE PIU'
PREZIOSO
LA VITA
QUESTA LAPIDE IL
CONSIGLIO COMUNALE POSE
AFFINCHE' I LORO
NOMI
GIUNGANO ALLA PIU'
TARDA E REMOTA POSTERITA'
Dopo
l’unificazione d’Italia, il 12 settembre del 1862 a Terranova fu
aggiunta la denominazione "di Sicilia" (quindi, Terranova di
Sicilia) per differenziarla da altre città della Penisola con uguale
denominazione.
Nel 1893
Terranova partecipò attivamente ai Fasci Siciliani dando un notevole
contributo al movimento proletario, in particolare grazie ad uno dei
suoi capi, Mario Aldisio Sammito.
Nel 1921 il
fascismo, assicuratosi il controllo della piazza e sbaragliato il
movimento operaio, fu costretto a porsi il problema della conquista
dello Stato che si verificò nell’ottobre del 1922 con la "Marcia
su Roma"; Mussolini così, una volta assunta la guida del governo,
attuò una politica autoritaria incompatibile con i principi liberali; a
Gela non si ricordano fatti di rilievo nel periodo fascista, se non la
venuta del Duce nell’agosto del 1937.
Nel dicembre del 1927, su istanza del Podestà Antonio Vacirca,
la denominazione di Terranova fu cambiata recuperando l’antico nome di
Gela, a ricordo della gloriosa e importante città dell’antichità
classica.
Da Terranova a Gela
La guerra
mondiale del 1939-45 ebbe la città di Gela teatro di avvenimenti in
certo modo decisivi per la riconquista della libertà; fu nel luglio del
1943, infatti, che truppe americane vi sbarcarono, occupandone dopo
aspri combattimenti la rada e l’abitato prima e l’entroterra dopo.
Superato il primo sbandamento, l’Asse passò al contrattacco, e per
poco i Tedeschi a Gela non riuscirono a ricacciare in mare gli Alleati
grazie all’impiego in massa dei carri armati Tigre. L’intervento
della Marina e dell’Aviazione anglo-americane salvò le sorti di
quella prima fase della battaglia di Sicilia.
Serie di 5
cartoline edite da N. Mulè nel 50° anniversario dello sbarco
degli Anglo-Americani in Sicilia
I soldati
caduti nella campagna di Sicilia furono 14.190, così suddivisi: 4.678
italiani, 4.325 tedeschi e 5.187 alleati.
Sulle circa 800 Medaglie
d’Oro al Valor Militare d’Italia date agli eroi di tutte le guerre,
122 furono assegnate a combattenti siciliani; tra essi i gelesi Giovanni
Guccioni (Sottotenente del 76° Reggimento Fanteria, morto a Seltz il 21
ottobre del 1915), Emanuele Guttadauro (Capitano del 1° Reggimento
Fanteria "Frecce Azzurre", morto a Barracas-Rio Palencia nel
luglio del 1938), Giulio Siracusa (Tenente del 4° Artiglieria Alpina,
morto a Nowo Postojalonka, fronte russo, il 20 gennaio del 1943).
Gela così
fu la prima città d’Europa ad essere liberata. Da qui e da altre zone
dell’Isola prese inizio la grande offensiva che doveva portare gli
Alleati alla conquista integrale della Sicilia, con le conseguenze a
tutti note.
Dal dopoguerra all’inizio degli anni Cinquanta, la città subì un
processo di rinnovamento ed una trasformazione sociale ed economica,
grazie all’azione promotrice di Salvatore Aldisio
(1890-1964), uno dei più autorevoli figli che la storia plurisecolare
di Gela ha avuto. A lui, durante la sua funzione di Ministro in diversi
dicasteri e di Alto Commissario per la Sicilia, oltre al completamento
della Diga Disueri, si devono peraltro le più importanti opere
pubbliche quali il municipio, il porto rifugio, la chiesa di S. Giacomo,
il Villaggio Aldisio, l’acquedotto, l’Ospedale civile, il lungomare,
ecc.
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