GIOVANNI RENDA
IN MEMORIA DI GIOVANNI RENDA
Conobbi Giovanni una quindicina di anni fa in
occasione di un favore che gli andai a chiedere
nel suo studio: si trattava di farmi prestare
una fotografia di suo padre il maestro Francesco
Renda valente direttore e compositore musicale e
docente del liceo musicale di Gela, per una mia
pubblicazione di patrie memorie sulla banda
civica. L'impressione che mi fece fu subito
quella di avere a che fare con un galantuomo di
stampo antico. Si forse proprio di stampo antico
per i modi di trattare che aveva con le persone,
per il portamento austero ma che nello stesso
tempo faceva trasparire un carattere buono,
rispettoso che subito ti metteva a tuo agio.
Certamente la suddetta
associazione amici della musica fu quella che
più ricevette le sue migliori energie perchè
l'amico Giovanni in essa vedeva non solo un
motivo di elevazione dello spirito ma anche
un'eredità culturale lasciatagli dal padre per
la nostra città. Giovanni Renda è stato anche un
cultore di patrie memorie; diversi sono stati,
infatti, su giornali locali ed in particolare su
quello del Rotary, gli articoli riferiti alla
storia ed ai beni culturali di Gela. Di uno
degli ultimi articoli che produsse ci diede il
piacere di pubblicarlo in un opuscolo realizzato
in occasione della giornata dei beni culturali
dall'Archeoclub nel dicembre scorso; tale
articolo, "La
distruzione di Omphake",
era un estratto di un suo lavoro inedito dal
titolo "Da
Lindos a Gela";
lavoro, di cui non ebbi tempo di chiedergli
notizie e che personalmente, con molta
probabilità, reputerei interessante per la
storia antica di Gela, quella proprio agli
albori, che è meno conosciuta.
Agli inizi degli anni
Ottanta, Giovanni Renda realizzò pure un lavoro
originale: la traduzione in dialetto gelese del
"Promèteo
legato", tratto
dalla famosa trilogia tragica di Eschilo, che
ovviamente intitolò "Prumeteu
'ncatinatu".
Questo lavoro di traduzione in gelese, che
sicuramente si può considerare come espressione
di letterratura dialettale, a mio modo di vedere
è un contributo importantissimo al recupero
della lingua popolare gelese, ma anche un
esempio da annoverare nella etnolinguistica, in
particolare, alle relazioni tra le strutture
linguistiche e i vari tipi di cultura umana. Ma
io vorrei farvi partecipe di questa mia
convizione sul lavoro di Giovanni Renda,
leggendo alcuni passi del suddetto "Prumeteu
'ncatinatu", in
particolare quelli riferiti al Titano già
incatenato che si rivolge alle Oceanine, figlie
della divinità Oceano:"àma
ppi diri a virità iu, all'umanità, cci detti
tanti cosi: per esempiu, cci detti 'na cosa
ranni: cci detti a spranza di 'na vita cchiù
bbedda e n'atra cosa, ci detti 'U FOCU! e cc'o
focu, l'umanità s'incivilìu l'omu sarbaggiu 'ssimigghiau
a ddiu si 'mparau tant'arti, tanti misteri, si
cci rapìu la menti e lu pinzeri di serbu ch'era
divintau patruni, libbiru, forti e senza
suggizzionià”.
Dopo queste considerazioni
andare a pensare, quindi, che Giovanni Renda non
ci sia più è motivo di profondo sconforto.
Pertanto, mi voglio convincere che egli questa
sera sia semplicemente assente. A volte è
difficile accettare che una persona dopo tanto
lavoro, dopo tanto impegno diuturno nella realtà
delle cose, dopo tanti rapporti con le persone,
possa sparire definitivamente.
Come potete ben capire
stasera io non ho voluto fare un necrologio
dell'amico scomparso, ho voluto solamente
rendere una semplice testimonianza, come
giustamente mi ha detto di dare il presidente
Lizzio nell'invitarmi a questa commemorazione.
Sono convinto che il
miglior tributo che si possa dare ad una persona
scomparsa è quello che Giovanni stasera sta
vivendo nelle nostre parole e nei nostri
pensieri e continuerà a vivere, ed è forse la
cosa più bella, domani ancora nel ricordo degli
amici.
Desidererei concludere
adesso questa mia breve testimonianza leggendo,
sempre con il permesso dei gentili amici qui
presenti, un piccolissimo brano del carme lirico
Dei Sepolcri,
forse l'opera più significativa del Foscolo, che
vorrei dedicare all'amico estinto: "Ma
perchè pria del tempo a sè il mortale invidierà
l'illusion che spento pur lo sofferma al limitar
di Dite? Non vive ei forse anche sotterra,
quando gli sarà muta l'armonia del giorno, se
può destarla con soavi cure nella mente de'
suoi? Celeste è questa corrispondenza d'amorosi
sensi, celeste dote è negli umani;e spesso per
lei si vive con l'amico estintoe l'estinto con
noi, . . .”
E finisco con una
brevissimo passo, sempre della suddetta opera,
uno dei più belli e dei più conosciuto del
Foscolo:
"àSol chi non lascia eredità d'affetti poca
gioia ha dell'urna;"
E Giovanni Renda,
permettetemi di dirlo, di eredità d'affetti ce
ne ha lasciata molta. |