Il museo archeologico di
Gela fu realizzato nella seconda metà degli anni Cinquanta per conto del
Ministero ai LL.PP., con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno, su
progetto dell’arch. Luigi Pasquarelli. L’edificio fu costruito
dall’impresa I.CO.RI. di Milano sotto la dire-zione dell’arch. Rosario
Corriere; l’inaugurazione avvenne il 21 settembre del 1958 alla
pre-senza del Sottosegretario della P.I. On. prof. Angelo di Rocco, del
Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, di 80 illustri
archeologi italiani e stranieri, di un folto pubblico, nonché del
sindaco avv. Fortunato Vitali, dell’On. avv. Salvatore Aldisio,
dell’Assessore Regionale alla P.I. On. Paolo di Grazia e del vice
presidente della Cassa per il Mezzogiorno On. avv. Rocco Gullo; la
relazione ufficiale fu letta dall’allora Soprintendente alle Antichità
dott. Pietro Griffo.
La nascita del museo pose fine al pluridecennale dirottamento dei
reperti archeologici da Gela in altri musei dell’Isola come Palermo,
Siracusa e Agrigento. Reperti unici e d’inestimabile valore, scoperti a
Gela, si trovano inoltre nei musei di Napoli, Torino, Bologna, Firenze,
Milano, Londra, Oxford, Berlino, New York, Boston, Cambridge, Baltimora,
Tampa, Yale, Rhode Island, Basilea, Stoccarda, Vienna, Amburgo, Zurigo,
ecc.; senza contare tutti quelli trafugati ed esportati clandestinamente
che fanno parte di collezioni private in tutto il mondo.
L’organizzazione del museo risponde ai criteri di massimo rigore
scientifico e tiene conto delle più ricercate esigenze della moderna
museografia; gli oggetti esposti nelle vetrine e gli scavi da cui
provengono sono abbondantemente commentati da didascalie, spesso
minuziose e particolareggiate, e da pannelli collocati sulle pareti, che
danno al museo stesso una figurazione scientifica di prim’ordine. Altri
numerosi oggetti, di maggiori dimensioni, sono sistemati fuori delle
vetrine a completamento del panorama storico e archeologico.
L’esposizione dei reperti archeologici é ripartita in due piani; nel
piano terra, si trovano i re-perti d’epoca protostorica venuti alla luce
nel territorio urbano di Gela, nonché quelli d’epoca greca
dell’Acropoli, della Nave Greca, dell’Emporio di Bosco Littorio e di
Capo Soprano. Inol-tre, sempre a piano terra vi è una cospicua serie di
vasi attici e corinzi della collezione Navar-ra ed una numerosa serie di
reperti delle necropoli arcaiche del Borgo.
Nel piano superiore sono esposti i tre altari fittili scoperti a Bosco
Littorio e i reperti prove-nienti dai santuari extraurbani e dai centri
d’età protostorica, greca e romana dell’entroterra gelese; nello stesso
piano, inoltre, vi sono diverse vetrine contenenti materiali ceramici,
vetri e bronzi del periodo medievale della città.
Nel 1997 le pregiate monete d’argento del "Tesoro di Gela" sono state
restituite dalla So-printendenza di Agrigento al museo e nel 2001,
assieme ad altre di epoche diverse, sono state esposte nel medagliere.
Oltre al materiale esposto nelle vetrine, esiste un’altra grande
quantità conservata nello scantinato riservato esclusivamente agli
specialisti del settore; il museo, inoltre, é fornito di sala
audiovisivi, gabinetto fotografico e di tutto l’occorrente per qualsiasi
restauro.
Nel 2003 la direzione del museo è passata dalla dott.ssa M.C. Lentini
alla dott.ssa Enza Cilia per poi continuare con gli architetti S. Gueli
e E. Turco
Il cratere ritrovato
Frutto di un’operazione di sequestro dei Carabinieri per la Tutela del
Patrimonio Culturale in collaborazione con la magistratura italiana ed
elvetica e le polizie di Ginevra e Basilea, il cratere laconico a figure
nere è rientrato a Gela dopo un peregrinare di diversi decenni tra
trafficanti, asta londinese di Sotheby’s e mercato di Basilea. In
origine il cratere faceva parte di una collezione privata locale che
poi, in un periodo imprecisato, fu venduto a un trafficante per conto di
tali Giacomo Medici e Robin Symes (quest’ultimo curatore della vendita
della Venere di Morgantina al Getty Museum di Malibù), persone senza
scrupoli che tra gli anni ’70 e ’80 erano considerate come punti di
riferimento europeo dei ricettatori di reperti archeologici clandestini,
tant’è che nel 1981, sicuramente attraverso lo smistamento nel Porto
Franco di Ginevra, si trovò nel mercato svizzero di Basilea. Il cratere,
assieme ad altre centinaia di reperti, è stato sequestrato nel caveau di
una villa di un commercialista svizzero, tale S. Bodishops di Basilea,
che fungeva da spalla al commerciante giapponese Noryioshi Horiuchi,
quest’ultimo già entrato in passato nelle vicende dei traffici
internazionali di opere d’arte e grande collettore di antichità
archeologiche a suo tempo per il museo giapponese Miho a Shigaraki.
Il catere laconico, che già compariva nel catalogo Christie’s London,
fine antiquities - 8 june 1988, nel 1989, durante questo peregrinare, fu
studiato da un archeologo olandese Michael Conrad Stibbe il quale ne
tracciò i dati che lo contraddistinguono: provenienza da Gela,
attribuzione dell’opera al cosiddetto “Pittore della Caccia”, uno degli
artisti più eminenti dello stile a figure nere della ceramica laconica,
e datazione che, per forma e stile del vaso, stimò nel VI sec. a.C., in
particolare tra il 560 e il 555 a.C.
Opera d’arte greca rarissima, se non unica, di notevole valore artistico
e di grande pregio, il cratere di Gela possiede una complessa
figurazione ripartita essenzialmente tra il collo e il corpo, separati
sulla spalla da una prominente decorazione composta da lingue rosse e
nere alternate (due nere ed una rossa) e, subito sotto, da una fascia di
onde ricorrenti. Un cratere rimasto quasi intatto, da cui il tempo non è
riuscito a sbiadire via del tutto l’arte che il suo creatore aveva
voluto esprimere. Decorazioni bicromatiche a pennellate verticali, onde
cor-renti e file di animali che si snodano sia sulla parte superiore che
su quella inferiore del vaso.
La creatività del pittore lasciò spazio a un’arte orientalizzante,
giunta nel settimo secolo fino in Laconia (a Sparta), con una scena di
predazione di un leone che azzanna un cinghiale e esseri a metà tra
donna e aquila, come le sirene, ma anche sfingi alate e galli. Eppoi la
scena figurata delle danze di comasti, sul collo del vaso, che seguono
con movimenti frenetici il suono della lira. Nelle anse a volute
predomina la figura della testa di una Gorgone, figura mostruosa
sopravvissuta nell’immaginario collettivo attraverso il mito di Medusa.
Il cratere laconico di Gela, esposto subito dopo il sequestro dai
Carabinieri al Colosseo as-sieme ad alcune centinaia di reperti
(rimpatriati da Ginevra il 25 giugno 2010), è stato ricono-sciuto nelle
foto e dimostrato come proveniente da Gela, da Giuseppe Brugioni e
Nuccio Mulè dell’Archeoclub d’Italia, e, in seguito a ciò, consegnato
dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali all’assessore regionale
Gaetano Armao che ne predispose la collocazione definitiva, dal 24
settembre 2010, al Museo Archeologico di Gela.
Sempre su
questo stesso piano si possono ammirare gli altari di terracotta
ritrovati nel dicembre del 1999
nell'area archeologica di Bosco Littorio e un elmo corinzio del VI-V
sec. a.C. ritrovato nei fondali del mare di Gela da due subacquei, i
Sigg. Francesco Biundo e il figlio Andrea, e donato dagli stessi al
Museo.
Per interessamento dell’Assessore regionale ai BB.CC. e P.I., il
concittadino On. Salvatore Morinello,
il museo archeologico è diventato regionale. Nel 1998, a cura della
dirigente della sezione archeologica della Soprintendenza nonchè ex
direttrice del Museo, la Dott.ssa Rosalba
Panvini, è stato realizzato un corposo catalogo
del Museo con 464 pagine e 512 illustrazioni che rappresenta una pubblicazione
più unica che rara.
Nel 2004 la direzione del Museo Archeologico di Gela è
stata affidata alla Dott.ssa Enza Cilia.
Al primo
piano:
- Gli
altari, l'elmo corinzio e il Monetiere - Sezione
IV - Le anfore;
- Sezione V
- I santuari extra urbani;
- Sezione
VI - Il territorio dalla protostoria all’età greca;
- Sezione VII - Il
territorio dall’età romana a quella medioevale.
Qui di seguito sono riportati i reperti archeologici più importanti e più
conosciuti che si possono ammirare nel percorso espositivo del museo di
Gela.
skyphos
siceliota, a figure rosse, con scena comica, del IV secolo a.C. (vetrina
15);
oggetti
recuperati nello scavo subacqueo del relitto della nave greca arcaica,
tra cui due rarissimi askoi attici a figure rosse del V secolo
a.C. (vetrina 17);
grande
frammento di arula fittile del VI secolo a.C. con scena figurata
(vetrina 22);
- documenti
epigrafici, dal VI al V secolo a.C., di eccezionale importanza
costituiti da iscrizioni votive graffite sotto i piedi dei vasi (vetrina
31);
stamnos
figurato (alt. cm. 13,5, diam. cm.
18) di fabbrica locale del VII secolo a.C. (vetrina 32);
- crateri,
anfore e lekythoi, provenienti dalle necropoli geloe del VI e del V
secolo a.C., rappresentanti della grande ceramica greca con figure nere
su fondo bianco e figure rosse su fondo nero (vetrine 32 e 33);
- grandi
sarcofagi fittili, di cui uno decorato internamente con quattro
colonnine sormontate da capitelli ionici, dalle necropoli gelesi del V
secolo a.C.;
-
collezione Navarra, circa 600 pezzi databili tra il VII ed il VI secolo
a.C. (vetrine A-H), costituita da vasellame protocorinzio, corinzio e
ionico, attico a figure nere e rosse, proveniente da santuari e
necropoli geloe scavate nella prima metà dell’800; sul ripiano
superiore della vetrina "H" sono esposti alcuni reperti della
collezione Nocera, tra essi spicca un bronzetto di atleta (alt. cm. 28)
del IV secolo a.C.
La
collezione Navarra deriva dalla fusione di due raccolte, quella
proveniente da Carlo Navarra Jacona e l’altra da Carlo Navarra Navarra.
Di essa un gruppo di vasi, di cui di seguito si darà la descrizione,
costituisce la parte più importante e più preziosa, in particolare: la
pelike attica a figure rosse raffigurante Teseo e il Minotauro, la
lekythos a fondo bianco con la raffigurazione di Aiace che insegue
Cassandra, e la lekythos attica policroma su fondo bianco, raffigurante
Enea e Anchise.
Pelike
(470-460 a.C.) con figure rosse su fondo nero (altezza cm. 36.9, bocca
cm. 16,5), con Teseo che uccide il Minotauro, attribuita dal Beazley al
Pittore dei Porci; su una parte del vaso é raffigurato Teseo che si
slancia contro il Minotauro, brandendo nella destra la spada; il
Minotauro sanguinante in atto di fuggire volge lo sguardo verso l’eroe
pronto a scagliargli un sasso. Assistono alla scena Minosse con un lungo
scettro e Arianna che col seno scoperto, secondo l’usanza cretese,
incita con la mano l’eroe; sull’altra parte del vaso sono
raffigurati un paidotriba barbato e tre efebi in conversazione.
Teseo, l’eroe
più celebre dell’Attica, secondo la mitologia greca, era figlio di
Egeo e di Etra; tra le tante imprese compiute la più pericolosa fu
quella contro il Minotauro a Creta. Il re cretese Minosse aveva imposto
agli Ateniesi un grave tributo: ogni nove anni dovevano mandare sette
giovanetti e sette fanciulle a Creta per essere divorati dal Minotauro,
il mostro mezzo uomo e mezzo toro, nato dall’unione tra Pasifae,
moglie di Minosse, e un magnifico toro, bello, forte e bianco come la
neve; esso, mandato da Posidone per confermare il diritto al trono di
Minosse, invece di essere sacrificato fu sostituito da un altro toro. Ma
lo stesso dio degli abissi accortosi dell’inganno, per vendicarsi
ispirò Pasifae ad un pazzo amore per quel toro, sì che cominciò a
corrergli dietro per monti e boschi finché lo ridusse al suo desiderio.
Ne nacque il Minotauro che Minosse fece rinchiudere nel labirinto
costruitogli da Dedalo a Cnosso. Intanto già per ben due volte gli
Ateniesi avevano pagato il tributo in vite umane a Minosse e si
approntavano per il terzo; ai giovani, però si unì Teseo che con l’aiuto
della dea Afrodite, partì per l’isola di Creta. La stessa dea
infiammò Arianna, figlia di Minosse, d’amorosa passione verso Teseo e
ciò fu la sua salvezza perché essa, grazie anche all’aiuto di
Dedalo, gli fornì un gomitolo col quale egli poté penetrare nel
labirinto, uccidere il Minotauro e dopo ritrovare la via d’uscita.
Dedalo poi per punizione di aver aiutato Teseo, fu rinchiuso assieme al
figlio Icaro nel labirinto.
Lekythos
(500-480 a.C.) a fondo bianco (altezza cm. 41, bocca cm. 7.5), con la
raffigurazione di Aiace che insegue Cassandra, attribuita dalla Haspels
al Pittore di Edimburgo; terrorizzata con la testa rivolta verso Aiace,
Cassandra apre le braccia cercando con una mano di fermare l’eroe e
con l’altra aggrappandosi al Palladio. Ai piedi di Aiace, il serpente
Erittonio viene in aiuto della donna. A destra del Palladio compare
Athena nell’atto di scagliare una lancia contro Aiace; assiste alla
scena Priamo disperato con la mano destra sul capo.
Lekythos (480-470 a.C.) policroma a fondo bianco (altezza cm. 43, bocca
cm. 8) con la raffigurazione d’Enea e Anchise, attribuita dal Beazley
al Pittore di Brygos: su una parte Enea, che indossa una corta tunica,
guida verso destra gli incerti passi del padre tenendolo per il polso;
la mano sinistra regge la lancia e lo scudo, sulla testa porta un elmo
corinzio sollevato. Anchise indossa un lungo chitone marrone e regge con
la sinistra un bastone.
Coniazione delle monete
Produzione di ceramica a figure nere
su fondo rosso
Produzione di ceramica a
figure rosse su fondo nero
Altri reperti archeologici del
Museo Archeologico di Gela
Pianoterra
piede di
coppa attica del V secolo a.C. con iscrizione votiva ad Antifemo
fondatore di Gela (vetrinetta a destra dell’ingresso);
scodellone protostorico d’argilla rustico con sette corni fittili rituali (vetrina
1); quasi di fronte si osservano delle terrecotte architettoniche, con
grondaie e canali di scolo, di un santuario;
Archeoclub
d'Italia - Sede di Gela - Altri reperti archeologici del
Museo Archeologico di Gela
Pianoterra
antefisse
di rara bellezza a testa di Gorgone e di Sileno
(alt. cm. 23, largh. cm. 11,5)
del V secolo a.C. (vetrine 7-8); per quanto concerne il valore artistico
delle antefisse sileniche non è esagerato affermare che mai scavo
archeologico ha riportato alla luce antefisse più splendide (15).
statuetta
di Kore lapidea del VI secolo a.C. (vetrina 9);
Altri reperti archeologici del
Museo Archeologico di Gela
Pianoterra
testa
equina (a. cm. 29, l. cm 41) del V
secolo a.C., frammento di acroterio decorativo del fastigio di un
piccolo edificio sacro, e grande tegola a forma di cavallo con
cavaliere, capolavori della plastica architettonica geloa;
Lekythos
(500-480 a.C.) a fondo bianco (altezza cm. 41, bocca cm. 7.5), con la
raffigurazione di Aiace che insegue Cassandra, attribuita dalla Haspels
al Pittore di Edimburgo; terrorizzata con la testa rivolta verso Aiace,
Cassandra apre le braccia cercando con una mano di fermare l’eroe e
con l’altra aggrappandosi al Palladio. Ai piedi di Aiace, il serpente
Erittonio viene in aiuto della donna. A destra del Palladio compare
Athena nell’atto di scagliare una lancia contro Aiace; assiste alla
scena Priamo disperato con la mano destra sul capo.
Museo Archeologico di Gela - Arule fittili di fabbrica locale
Arula con Girgone - Arula con Perseo -
Arula con tre divinità
Calcare con decorazione dipinta del
IV sec. a.C. - Lucerna polilichne IV Ssec. a.C. -
Piatto in protomaiolica GELA WAR del XIII-XIV sec.
Sarcofagi fittili a cappuccina del V sec.
a.C. - Statuette fittili con infante
del V sec. a.C. - ...............................
................................................
.................................................................
Altri reperti archeologici del
Museo Archeologico di Gela
Piano superiore
- Mostra
espositiva degli altari (V sec. a.C.) ritrovati nell'area archeologica
di Bosco Littorio: 1) Altare con la Gorgone Medusa che abbraccia i figli
Pegaso e Chrisaore;2) Altare con due scene; in quella superiore è
raffigurata una leonessa che azzanna un toro, nell'altra inferiore la triade
divina di Demetra, Kore ed Ecate Afrodite;3) Altare con la rappresentazione
del ratto di Kephalos da parte di Eos, dea dell'aurora.
- orecchini
aurei
del V-VI sec. d.C. provenienti dalla necropoli di Sofiana;
- oggetti
dei periodi paleo-cristiano e medievale; un crocifisso paleoslavo in
bronzo del X-XI secolo e una serie di piatti dipinti di grande bellezza
e di estrema rarità, con figure di animali e di motivi floreali,
databili alla fine del XIII secolo;
- grande
maschera fittile di Demetra (alt. cm.50,
largh. cm. 46) del VI sec. a.C. con velo sul capo e una doppia fila di
collane con pendagli a testa di bovino (vetrina n.5);
- lucerna
fittile (alt. cm.11, diam. cm. 26) del VII sec. a.C. di fabbrica locale
con alternanza di teste umane e di ariete (vetrina n.5);
- sostegno
fittile (alt. cm. 15, largh. cm. 24) del VI sec. a.C. di demone
accosciato (vetrina n.6);
- reperti
protostorici delle necropoli;
-
(ballatoio) anfore ellenistiche dal VII al III sec. a.C.;
Altri reperti archeologici del
Museo Archeologico di Gela
Piano superiore -
Il
monetiere
Strumento
indispensabile dell’attività commerciale fu la moneta; inventata poco
dopo il 700 a.C. fu da prima d’elettro (una miscela naturale d’oro e
argento che era realizzata da individui ricchi con impresso il loro
sigillo), poi di metallo fuso, argento e oro;
il
monetiere: é un campione di 72 monete d’argento del tesoro di Gela
così suddiviso: Agrigento n.23, Gela n.16, Siracusa n.13, Reggio n.1,
Zancle n.2, Acanto n.2, e Atene n.15.
Lunedì 23 luglio 2001 è una data importante per il Museo di Gela in
quanto è stato riaperto il Monetiere, una collezione monetale
tardo-arcaica unica del suo genere in tutto il mondo con circa 2000
monete che vanno dal V sec. a.C. al periodo sabaudo, passando per i
periodi romano e medievale.
Solo la polis aveva il
potere di emettere moneta e di garantirla con il proprio simbolo. Il
sistema monetario che dall’Età di Pericle in poi ebbe la prevalenza
nel mondo greco fu quello ateniese, basato sulla "dramma", un’unità
di misura pari a 4,35 grammi d’argento.
Le monete e le medaglie di
Gela effigiavano i suoi tiranni, il Minotauro, una spiga di grano ed i cavalieri (la fama della cavalleria geloa era largamente diffusa nella tradizione
degli scrittori antichi). Una delle monete più conosciute oggi é il Tetradramma
di Gela con la protome del
toro "androprosopo",
cioé a testa umana con attributi taurini, personificazione del fiume
Gela ed emblema della monetazione geloa; su tali motivi gli antichi
maestri incisori di Gela esercitarono tra il VI e il V secolo a.C. la
loro capacità di creare capolavori tra i più ammirati della
numismatica siceliota.
Gli attributi della spiga e del grano e del chicco dell’orzo nella
monetazione, posti accanto al simbolo del fiume, chiaramente fanno
rilevare che la città di Gela trovava la sua ragione di vita e di
prosperità nell’industria agricola, e principalmente dall’abbondanza
di tali cereali, dovuti alle provvide acque del Gela, con le quali si
beneficiavano i feraci campi per mezzo delle irrigazioni.
I periodi di libertà (democrazia) sono espressi invece col simbolo
del cavallo sbrigliato mentre i trionfi olimpionici (Gela fu la prima
città siceliota ad essere rappresentata nel Grande Santuario Nazionale
di Olimpia) erano rappresentati con la ruota del carro: prima Pantares
(nel 488 a.C.), cittadino geloo, e dopo (474 a.C.) Polizelo, tiranno di
Gela, vinsero la gara della corsa dei carri rispettivamente in Olimpia
(27) ed a Delfi(28); lo stesso Polizelo, in onore della vittoria, donò
a quest’ultima città greca una quadriga di bronzo, andata perduta,
cui apparteneva il famoso Auriga che si conserva oggi nel Museo di
Delfi; i simboli del pesce e del pellicano rappresentano l’abbondanza
della pesca e della caccia; la colonna dietro i cavalli della biga
raffigura la dovizia dei suoi templi; la figurazione del cavaliere
ignudo, a cavallo di un ariete corrente, rappresenta la ricchezza delle
sue mandrie.
Reperti archeologici fatti pervenire
da un anonimo e consegnati al museo di Gela
Il testo della lettera
dell'anonimo donatore
I reperti donati al Museo di Gela
Museo
Archeologico Regionale di Gela
Comune di Gela
MOSTRA CONVEGNO
20 dicembre 2008,
ore 18,30
Uno scavo in Museo: Paolo Orsi e il baule ritrovato
Relatori
Prof. G. Bejor
Dott.ssa C.
Lambrugo
Prof. Nuccio
Mulè
La mostra rimarrà
aperta dal 20 dicembre 2008 al 20 gennaio 2009
Da “La Sicilia”
di venerdì 24 dicembre 1982
Preziosi
reperti archeologici “scoperti” nel municipio di Gela
Preziosi reperti archeologici
risalenti al 7° ed al 4° secolo a.C. sono stati scoperti, in maniera alquanto
singolare, a Gela. Erano conservati in una vecchia cassa di legno, custodita
nell'archivio del Municipio di Gela. La. scoperta è stata fatta lunedì scorso
dallo storiografo gelose Nuccio Mule, un giovane professore del liceo
scientifico «Elio Vittorini», da qualche anno impegnato in un'appassionata
ricerca di notizie e documenti sulla Gela antica. Mule, autore di due
pubblicazioni (Appunti su Terranova di Sicilia e «Relazione antica d'istoria
terranovese», che è una decifrazione di un manoscritto del Settccento dello
storico locale Benedetto M. Candioto), sta conducendo proprio in questi mesi
ricerche riguardanti aspetti socio-economici, artistici e folkloristici di Gela
a partire dai primi anni dell'Ottocento. Nell'ambito di questa sua attivita
lunedì scorso si è reca to in Municipio, e precisamente nell'archivio comunale.
Qui ha rinvenuto una cassa, originariamente adibita alla custodia di una
mitragliatrice, contenente decine di reperti archeologici. Nuccio Mule,
rendendosi conto dell'importanza della scoperta, ha informato le autorità
comunali, le quali, a loro volta, hanno awisato la sevrintendenza alle antichità
di Agrigento. Al Comune è intervenuto, quindi, personale del locale museo, che
ha sigillato la cassa. Mercoledì mattina alla presenza del vice «sindaco Liardi,
il personale del mu- seo ha provveduto all'inventario del materiale, che subito
dopo è stato trasferito al museo archeologico. Nella cassa sono stati ri-trovati
diversi vasi acromi di fabbricazione locale risalenti al 7° secolo a.C., vasetti
di origine preca con decorazioni di color rosso su fondo nero, risalenti al 4°
secolo a. C., un frammento di vaso sulla cui superficie è raffigurata una
vestale; alcune piccole teste di terracotta; oggetti oer riti religiosi (una
pisside, un un-guentario, eccetera): una base di un piccolo altare con frammenti
di zampe di Ieone; alcune lucerne e diversi pesi; una punta di lancia in bronzo;
frammenti di una mandibola con premolare e molare in buono stato di
conservazione; nonché altri oggetti e frammenti di antica fattura. Secondo
quanto ha potuto accertare lo stesso prof. Mulè. attraverso una prima sommaria
indagine storiograftca, nella primavera del 1899 nella «vanella Cuba» (l’attuale
via Mario Aldisio Sammito e vie adiacenti) nel corso di lavori di pavimentazione
furono portati alla luce circa 500 sarcofaghi contenenti un enorme quantitativo
di oggetti risalenti all’età ellenica. Gli scavi furono coordinati dall'allora
direttore del regio museo archeologico di Siracusa. prof. Paolo Orsi. Tutto il
prezioso materiale venne temporaneamente custodito dal consigliere comunale e
scrittore gelese Mario Aldisio Sammito, il quale, dopo qualche tempo, lo faceva
pervenire al Comune di Terranova. A due anni dal ritrovamento, Paolo Orsi
consigliava le autorità comunali di Terranova a donare il materiale al museo
archeologico di Siracusa. L'amministrazione dell'epoca però non fu d'accordo. E
infatti, cori delibera n. 590 del 31 maggio 1901, avente per oggetto «oggetti
rinvenuti nelle vie del Borgo-Risposte al direttore Orsi», decideva che metà del
reperti ritrovati dovevano rimanere a Terranova come proprietà del Comune, in
base ad un contratto stipulato il 6 agosto del 1900 dalla civica amministrazione
ed il Ministero della Pubblica Istruzione. Il materiale ritrovato lunedì da
Nuccio Mule è soltanto una parte alquanto limitata di quello conservato negli
archivi comunali prima della costruzione dell'attuale Palazzo di città. Ma
probabilmente quello mancante o è andato distrutto oppure (ipotesi più
verosimile) è stato trafugato.
ELIO
CULTRARO
Dal Giornale
di Sicilia di venerdì 14 dicembre 1982
Nell’archivio del
Comune reperti archeologici dimenticati da un
secolo
Una interessante scoperta di
materiale archeologico è stata fatta nei giorni scorsi a Gela. La sede del
rinvenimento ha, invero, dell'insolito. I reperti giudicati dai tecnici del
museo archeologico gelese «molto validi a livello di studio» — sono stati
ritrovati, infatti, nell'archivio comunale, casualmente, da uno studioso. Il
materiale, custodito in una cassa da mitragliatrice, è costituito da vasi,
anforette, frammenti di crateri figurati, da una pisside, da un unguentario,
statuette di terracotta e da una punta di lancia in bronzo, e viene fatto
risalire all'epoca tra il IV ed il V secolo a.C. Il prof. Nuccio Mule, un
apprezzato studioso che ha già alle spalle una pubblicazione intito- lata
«Appunti su Terranova di Sicilia», stava rovistando nel piano superiore
dell'archivio comunale, dove è conveniente recarsi con tanto di maschera da
chirurgo, tanta è la polvere che vi risiede. Mule ha visto questa cassa, l'ha
aperta e con grande sorpresa vi ha trovato dentro i reperti, che hanno a prima
vista un inestimabile valore archeologico. Ha avvertito il capo
dell'amministrazione comunale, che ha chiesto l'intervento dei tecnici del
museo, che a loro volta, avvertita la sovrintendenza alle antichità di
Agrigento, hanno sigillato la cassa, lasciata incustodita nel palazzo comunale.
Il prof. Mule ha fatto una sommaria ricostruzione del come e del perché quel
materiale si trovava in quel posto, dimenticato da tutti. Racconta che durante
una campagna di scavi promossa alla fine dell'800 dall’allora sovrintendente al
museo archeologico di Siracusa, tale Paolo Orsi, venne rinvenuto in varie zone
di Gela (parco delle Rimembranze, Capo Soprano, rione Borgo , ecc.) una gran
quantità di reperti archeologici. Orsi avrebbe voluto portare a Siracusa tutto
il materiale rinvenuto, ma l'amministrazione comunale del tempo, presieduta dal
sindaco comm. Antonino Nocera, con deliberazione proposta dal consiglio comunale
recante il n. 590 del 1901, decise di trattenere per sé la metà del materiale
rinvenuto nel corso degli scavi. E’ probabile che il materiale ritrovato in
questi giorni e cu-stodito proprio nell'archivio comunale possa essere quello
spettato al Comune. Mulè ritiene comunque che molte cose sono andate disperse,
magari durante la ricostruzione dell'edificio comunale ed il recupero di questi
giorni è stato possibile solo perché il materiale era stato custodito nella
cassa. I reperti saranno in questi giorni esaminati da esperti della
sovrintendenza, che disporranno un immediato restauro. Si tratta di materiale
greco di importazione, e in parte proveniente da fabbriche locali. Tra questo un
frammento di arula, un altarino con due zampe a forma di testa di leone.
Rocco
Cerro
Un vaso greco di inestimabile valore, rubato a Gela nel
1973,
esposto prima in un museo tedesco e poi a Tokyo
A questa scoperta è arrivato Nuccio
Mulè, cultore di patrie memorie, mentre stava svolgendo una ricerca per individuare i vasi antichi
provenienti da Gela che si trovano esposti nei musei nazionali ed esteri. La
peculiarità di questa scoperta, però, consiste nel fatto che il vaso in oggetto,
una pelike a figure rosse del V sec. a.C., è stata rubata alla famiglia Aldisio
di Gela nel febbraio del 1973. Fino ad oggi di tale vaso si erano perdute le
tracce, nonostante che in quell’anno il proprietario aveva denunziato il furto.
Tale casuale ritrovamento, pone tutta una serie
di domande; Il museo tedesco di Wurzburg che lo detiene o che lo deteneva,
avendolo acquistato o avendolo fatto esporre incautamente ci fa comprendere come
possa funzionare il mercato clandestino dei reperti antichi dove ai tombaroli
senza scrupoli si aggiungono musei, fondazioni e privati che acquistano
spudoratamente senza porsi nessun problema sulla provenienza. Purtroppo Gela è
stata, e lo è ancora, la principale città d’Italia che è stata massacrata dalla
sottrazione clandestina di reperti archeologici di notevole valore; vasi
protostorici, vasi greci corinzi e attici di tanti tipi, monete greche e quant’altro
trafugati in diverse epoche e venduti a privati e ai maggiori musei d’Europa,
reperti venuti alla luce dalle necropoli arcaiche del Borgo e della Villa
Comunale, dal Cimitero, da Via Palazzi e dalle diverse contrade di Capo Soprano,
da Piazza Calvario, da Montelungo, da Molino a Vento, da Bitalemi oltre che dai
poderi Sola, Lauricella, La Paglia, Camarella, Aldisio-Cartia, Di Bartolo,
Maugeri, Salerno, Leopardi, Rosso-Russo, Catalano, Tascone, Romano-Lo Bartolo,
Jozza, Bentivegna, Bresmes, Riccobene, Moscato, ecc.; ed ancora reperti dai
resti di numerosi villaggi e fattorie d’epoca della campagna e del suburbio di
Gela.
Il vaso in oggetto è una pelike attica a figure
rosse databile al V sec. a.C. alta circa 43 centimetri. Negli anni Cinquanta è
stata studiata e riconosciuta quale opera del “Pittore dei Niobidi” dal famoso
Sir John Beazley (1885-1970), archeologo e professore all’Università di Oxford
che si dedicò allo studio della ceramica greca e che fondò l’archivio omonimo
presso l’Ashmolean Museum, archivio informatizzato nel 1975 e disponibile sul
web sin dal 1995.
Il 16 dicembre del 1957 la famiglia proprietaria
della pelike rubata ricevette un decreto dell’allora Sottosegretario alla
Pubblica Istruzione Maria Jervolino con cui il vaso venne dichiarato “di
interesse artistico e storico particolarmente importante…”. La figurazione del
vaso si riferisce a due scene, sul lato a un guerriero con corazza e scudo tra
due fanciulle e una colonna con capitello dorico, sul lato b due fanciulle in
libagione vicino ad un altare assieme ad un uomo barbato che si appoggia ad un
bastone. Sopra e sotto le scene il vaso è corredato rispettivamente di disegni
di palmette oblique e di meandri intervallate da croci.
Il vaso, prima di essere rubato, ha subito
diversi interventi quali l’incollatura delle anse e la perfetta ricomposizione
dopo una rottura accidentale.
Si spera che il reperto rubato possa rientrare a
Gela e, per arrivare a questo obbiettivo, si avrà cura di informare le
competenti istituzioni del ritrovamento.
Vasi attici di
Gela nel mondo
Mostra permanente di pannelli al Museo
Archeologico di Gela
L’interesse sul reperimento di
luoghi, musei e collezioni private, in cui si trovano i reperti archeologici di
Gela, vasi greci in particolare, trafugati nel corso degli ultimi 150 anni, ha
da sempre coinvolto studiosi e cultori di patrie memorie i quali hanno tentato
con alterne vicende di censire questo prezioso ed enorme patrimonio.
Interessante sotto
questo aspetto è una vecchia pubblicazione, di Paolo Orsi, sugli scavi
archeologici condotti nel nostro territorio nel primo quinquennio del 1900 (Gela, scavi del 1900-1905, Roma 1906)
che, oltre a rappresentare un
vero e proprio diario di scavi con la descrizione dei reperti venuti alla luce,
ci fornisce delle notizie interessanti sul loro trafugamento perpetrato a
partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Così, tra l’altro, si legge
dell’esistenza di diversi possidenti (in particolare Russo, Aldisio, Mallia,
Nocera, Navarra, ecc.) che riuscirono a collezionare una cospicua quantità di
vasi greci, e non solo, che in buona parte vendettero a diversi musei esteri e a
collezionisti privati. Si trovano notizie anche sul console britannico a Palermo
che, venuto a Gela assieme alla moglie, acquisì e trasferì poi,
impunemente, una cospicua quantità di preziosi reperti archeologici in
Inghilterra.
Un destino amaro quello
dei vasi greci di Gela trafugati che purtroppo è continuato a perpetuarsi anche
in tempi recenti, contribuendo a depauperare significativamente il nostro
patrimonio archeologico.
L’idea di realizzare un
repertorio di vasi che in tempi diversi sono stati ritrovati nel territorio di
Gela e che sono stati trasferiti in altre sedi comprese quelle dei musei
di Siracusa, Palermo ed Agrigento, ha avuto un primo contributo durante
una mostra iconografica, organizzata dalla sede locale dell’Archeoclub d’Italia,
realizzata nell’aprile del 1997 nei locali degli ex granai del palazzo ducale in
occasione della riapertura del Museo Archeologico di Gela. In quella occasione
l’Archeoclub presentò, tra l’altro, i risultati di una ricerca con il censimento
di una cinquantina di vasi greci ubicati in diversi musei americani, inglesi e
tedeschi ma anche siciliani come quello di Siracusa.
Un notevole e prezioso
contributo al censimento di questo patrimonio, recentemente lo ha dato il Prof.
Filippo Giudice, docente ordinario di Archeologia Classica presso l’Università
degli Studi di Catania, con la presentazione sul libro
Ta Attika di quasi un migliaio di schede relative ad altrettanti
vasi conservati
sia nei musei esteri
che in quelli siciliani, museo regionale di Gela compreso.
La mostra, realizzata
in collaborazione col Museo Archeologico Regionale di Gela e frutto di una
laboriosa ricerca e di una progettazione grafica effettuate dal Prof. Nuccio
Mulè, in 67 di pannelli presenta oltre un centinaio di vasi greci, in stragrande
maggioranza attici, reperiti soprattutto attraverso Internet con una meticolosa
ricognizione che ha scandagliato centinaia e centinaia di siti web, in
particolare quelli dell’Archivio Beazley
di Oxford e del
Perseus Project della
Tufts University di Boston. Sono stati inoltre consultati, sempre tramite
Internet, diverse decine di
Corpus Vasorum
Antiquorum, prestigiosa pubblicazione internazionale della
Union Academique Internazionale,
da
cui sono stati attinti i dati più significativi che compaiono nelle didascalie
dei vasi.
I pannelli della
mostra, ripartiti tra il pianoterra e il primo piano, per scelta del direttore
del museo Arch. Salvatore Gueli, rimarranno a corredo dell’esposizione museale,
così da contribuire, anche se in modo virtuale e senza confini geografici,
all’impinguamento del patrimonio archeologico del nostro territorio, i cui vasi
sono ambasciatori
di Gela nel mondo.
La segreta speranza è quella di
attirare e tenere sempre viva l’attenzione sul bene culturale da parte
soprattutto dei giovani e di contribuire a valorizzare al massimo questo nostro
museo
occasione l’Archeoclub presentò, tra l’altro, i risultati di una ricerca con il
censimento di una cinquantina di vasi greci ubicati in diversi musei americani,
inglesi e tedeschi ma anche siciliani come quello di Siracusa.
Un notevole e prezioso
contributo al censimento di questo patrimonio, recentemente lo ha dato il Prof.
Filippo Giudice, docente ordinario di Archeologia Classica presso l’Università
degli Studi di Catania, con la presentazione sul libro
Ta Attika di quasi un migliaio di schede relative ad altrettanti
vasi conservati
sia nei musei esteri
che in quelli siciliani, museo regionale di Gela compreso.
La mostra, realizzata
in collaborazione col Museo Archeologico Regionale di Gela e frutto di una
laboriosa ricerca e di una progettazione grafica effettuate dal Prof. Nuccio
Mulè, in 67 di pannelli presenta oltre un centinaio di vasi greci, in stragrande
maggioranza attici, reperiti soprattutto attraverso Internet con una meticolosa
ricognizione che ha scandagliato centinaia e centinaia di siti web, in
particolare quelli dell’Archivio Beazley
di Oxford e del
Perseus Project della
Tufts University di Boston. Sono stati inoltre consultati, sempre tramite
Internet, diverse decine di
Corpus Vasorum
Antiquorum, prestigiosa pubblicazione internazionale della
Union Academique Internazionale,
da
cui sono stati attinti i dati più significativi che compaiono nelle didascalie
dei vasi.
I pannelli della
mostra, ripartiti tra il pianoterra e il primo piano, per scelta del direttore
del museo Arch. Salvatore Gueli, rimarranno a corredo dell’esposizione museale,
così da contribuire, anche se in modo virtuale e senza confini geografici,
all’impinguamento del patrimonio archeologico del nostro territorio, i cui vasi
sono ambasciatori
di Gela nel mondo.
La segreta speranza è
quella di attirare e tenere sempre viva l’attenzione sul bene culturale da parte
soprattutto dei giovani e di contribuire a valorizzare al massimo questo nostro
museo che accoglie numerose e preziose testimonianze della storia di Gela e
della sua civiltà, un tempo primaria nel Mediterraneo.
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