Medaglia d'Oro

 

EMANUELE GUTTADAURO

Volontario nell'Esercito nella guerra di Spagna

 

MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE

Capitano Emanuele Guttadauro, medaglia d’oro al valor militare alla memoria
“Io non so se, nell’accingermi a commemorare il grande scomparso, la mia orazione debba iniziarsi con la preghiera o con il tonante urrà dei combattenti all’indirizzo del suo spirito, che in questo momento aleggia vicino alla vedova ed alle figlie, vicino ad ognuno di noi, che ne conoscemmo ed apprezzammo le doti più eccelse, che Dio abbia potuto elargire ed accomunare in un solo essere.”
Con queste parole il Dott. Francesco Savà, in una sua pubblicazione del 1954, iniziava a scrivere il capitolo riguardante la medaglia d’oro Emanuele Guttadauro. Non nascondo ai lettori di fare mia la sintesi di queste stesse parole nel momento in cui ho ripercorso la vita di questo nostro concittadino che diede la propria vita per una sua convinzione consi-derandola primaria e addirittura al di sopra dell’amore verso i propri cari. Si, perché Ema-nuele Guttadauro lasciò moglie, quattro figlie e un posto di direttore di banca per andare a combattere in Spagna da volontario durante la guerra civile del 1938 che vide in quel paese contrapposti fascisti ed antifascisti ambedue coadiuvati da volontari di altre nazioni, tra cui l’Italia.
Emanuele Guttadauro nacque qui, allora Terranova di Sicilia, il 9 marzo del 1899. Dal giorno della perdita del padre e del fratello, inghiottiti dal mare in un fortunale durante uno dei tanti viaggi della marineria terranovese nei porti nord-africani, la sua vita fu quella di uno studente brillante che si distinse per ingegno all’Istituto Tecnico di Palermo dove nel 1916, a 17 anni, si diplomò ragioniere. Continuò gli studi all’Università Ca’ Foscari di Venezia nella facoltà di Scienze economiche e commerciali.
Nel 1917 partì volontario per il Piave nella guerra nazionale scegliendo la divisa di ber-sagliere. Al compimento del diciottesimo anno di età ebbe il battesimo del fuoco e per ben due volte fu ferito in combattimento contro gli austriaci. Sottotenente di complemento nel 3° Reggimento Bersaglieri fu messo in congedo temporaneo nel 1920, all’età di 20 anni, con il grado di tenente. Ripresi gli studi universitari e dopo aver conseguito la laurea, trovò impiego in diverse banche di Milano e Roma ma anche a Gela dove diresse una filiale della Banca Regionale Siciliana. Fu in questo periodo che decise di sposarsi e mettere su famiglia. Nella seconda metà degli anni Venti si trasferì a Marsala per dirigere una filiale del Banco di Sicilia. Il Dott. Emanuele Guttadauro era anche uno studioso, oltre a scrivere numerosi articoli sul mercato e sull’organizzazione del credito stava preparando un dizionario enciclopedico di uso corrente nelle banche ed istituti di credito italiani.
Durante la guerra di Etiopia del regime fascista fece la domanda di andare volontario a combattere in Africa, ma gli fu rifiutata. Riprovò qualche tempo dopo, nel 1938, riuscendo a partire, però, per la Spagna dove Mussolini appoggiava i militari ribelli che aderivano al “pronunciamento” del generale fascista Francisco Franco. Lasciò così Marsala e con essa il posto di dirigente di banca, ma anche la moglie ancora giovane e le quattro bambine, che non conoscevano la verità, ma solo l’ordine di un richiamo momentaneo da parte dell’Esercito.
In Spagna fu assegnato al 1° Battaglione della divisione “Frecce Azzurre”, con cui si condussero le spedizioni più ardite dell’esercito di Franco. “Era tutto amore e fraternità per i suoi soldati, che lo seguirono nel fuoco più intenso. Nessuna difficoltà esistette per la compagnia Guttadauro durante i giorni di passione e di morte delle battaglie combattute sull’Ebro, nessuna raffica di mitraglia poteva frenare quell’anima intrepida, che sembra abbia scherzato tutta la vita col pugnale e con le bombe a mano.”
In una sua lettera al Dott. Savà inviata dal fronte spagnolo, scriveva “…con me in Spa-gna ci sono persone che non sono venute, come l’uomo della strada potrebbe creder, per l’assillo della fame: professionisti, funzionari che, come me, hanno lasciato l’impiego e ab-bandonata la famiglia, per venire a fare la guerra; se questi sono pazzi, come lo sono io, allora penso che è divina la folata di follia che ci ha sconvolti e, chi non è pazzo, dovrà dire un giorno, sospirando: io non lo fui.”
Tra il 19 e il 21 luglio la 1a Compagnia delle Frecce Azzurre di Guttadauro, promosso intanto a Capitano, assieme ad altri contingenti, dopo una lunga marcia notturna si spostò nella zona montagnosa di Barracas-Rio Palancia a quota 85 dove esisteva un nucleo di combattenti dell’altro fronte che teneva il posto con diverse mitragliatrici che impedivano con il loro fuoco micidiale l’avanzata delle Fecce Azzurre. Dopo diversi tentativi di conquista del posto, in cui la 1a Compagnia perse 192 uomini su 200, Guttadauro ripuntò la sua mitragliatrice verso il nemico in un duello che durò per ben 4 ore. E si fermò solo quando l’arma finì i suoi proiettili. Nel mentre il Guttadauro venne raggiunto da un milite, gelese come lui, tale Di Blasi, il quale portava l’ordine di ritirarsi, ma il capitano senza nemmeno leggerlo ordinò al milite di proteggerlo in modo tale che potesse, a pochi metri di distanza, riportare indietro una cassetta di munizioni per rifornire la sua mitragliatrice. Ci riuscì e subito dopo, strisciando verso l’avamposto di mitragliatrici nemiche, protetto dai colpi dell’arma amica ricaricata dal conterraneo Di Blasi, lo raggiunse mettendolo fuori uso con il lancio di alcune granate e con un corpo a corpo con alcuni superstiti dove però ebbe la peggio, un proiettile gli attraversò il ventre per poi perforargli un braccio. “Un grido formidabile risponde dalla valle: la quota è presa. Guttadauro l’ha preso. Viva la 1a Compagnia.”
Le colonne laterali immediatamente avanzarono per occupare definitivamente l’avamposto preso dall’eroe Guttadauro che fu trasportato dai portaferiti al primo posto di medicazione. Ricoverato successivamente nell’ospedale da Campo fu sottoposto ad un delicato intervento chirurgico ma sul tentativo umano di resurrezione, la morte riuscì vincitrice ed il Capitano Emanuele Guttadauro non si risvegliò mai più. Era la notte del 21 luglio 1938. Nei suoi occhi rimase la figura di una donna e di quattro bambine, Maria, Iolanda, Albarosa e Amalia tutte attorno alla genitrice, alla donna “che gli diede quei gioielli” che non rivide mai più.
La bara di Guttadauro, avvolta nella bandiera tricolore, fu portata al cimitero di Barracas dove venne sepolta con tutti gli onori delle Frecce Azzurre e delle rappresentanze spagnole. La prima palata di terra, la terra di quota 85, da lui conquistata, battè e cadde sinistramente sul tumulo, requiescat in pace disse il sacerdote e gli uomini in sol grido “per l’Italia, per Guttadauro, Evviva” si inginocchiarono e pregarono Santa Maria, Matre di Dios.
Il 6 maggio 1939 al Capitano del 1° Reggimento delle “Frecce Azzurre” Emanuele Gut-tadauro fu conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria con “l’annessovi so-prassoldo di 800 lire annue” alla famiglia dell’eroe.
Nuccio Mulè

 

 

Medaglia commemorativa della Divisione Volontari del Littorio (guerra di Spagna 1936-38)

 

 

 

 

 

 

 

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