QUOTIDIANO "LA SICILIA"

INSERTO "DISTRETTO GELESE"

Novembre 2020

GELA LUGLIO 1943, LA DIVISIONE FANTASMA

     Il 10, 11 e il 12 luglio del 1943 gli americani, dopo essere sbarcati a Gela travolgendo la difesa costiera, ebbero filo da torcere nell’avanzata verso la pianura e ciò grazie ai fanti del 33° e 34° Reggimento della Divisione Livorno, oltre e in parte ai tedeschi dell’“H. Goering”, che si opposero accanitamente e che nella più decisa controffensiva della campagna siciliana li portò a procedere “a testa bassa come gli era stato ordinato ” fino alla periferia di Gela costringendo il Gen. Patton, comandante della 7a Armata USA, a dare l’ordine di reimbarco dei soldati americani della colonna Dime. Fatto che successivamente non accadde perché entrarono in gioco le artiglierie degli incrociatori e dei cacciatorpediniere americani che decimarono le forze dell’Asse costringendolealla ritirata. Quanto costò a livello di vite umane il contrattacco della Divisione Livorno?

    Nel corso degli ultimi anni c’è stato un via vai di cifre che ha visto studiosi e cultori di storia patria divisi nel fornire i relativi numeri. Per dirimere la questione e quindi fornire il numero esatto delle perdite di allora, esiste nell’archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito a Roma un fascicolo dal titolo “Comando delle FF.AA. della Sicilia” in cui alla voce “Perdite” si tratta del contrattacco della Divisione Livorno nel luglio del 1943 a Gela e che porta la firma del Generale d’Armata Comandante Alfredo Guzzoni. Lo scrivente, durante una ricerca ne è venuto a conoscenza e qui riporta fedelmente i tratti più essenziali dello stesso fascicolo e quindi in particolare le cifre delle perdite, pari quasi al 64%, che allora interessarono il contingente dei fanti della Livorno, perdite che peraltro gli valsero la denominazione di “divisione fantasma”.

    “…I valorosi fanti della Livorno per il loro eroico contegno in ogni circostanza e per la virile forza d’animo con cui seppero tener testa ad un nemico più numeroso, meglio armato e sorretto da un ingente massa di aerei che dominava il cielo dell’Isola, sono stati all’altezza delle loro nobili tradizioni di valore e di sacrificio ed hanno scritto pagine di insuperato ed insuperabile valore.”

   “…Nel totale le perdite complessive subite dalla “Livorno” ammontano:

-       a 214 ufficiali su 505;

-       a 7.000 fra sottufficiali e truppa su 11.400, servizi compresi.

    Fra Gela e Bivio Gigliotto si sono perduti:

-       il Colonnello Mona Comandante del 33° Fanteria ferito e prigioniero;

-       il Maggiore di fanteria Elena ed il pari grado di artiglieria Artigiani caduti eroicamente;

-       il Ten. Col. Del 33° fanteria Alessi ed i Ten. Col. Leonardi e De Gregori del 34° fanteria feriti e prigionieri…”.

“…Le tre gloriose bandiere del 33°, del 34°, del 28° artiglieria impersonarono il valore dei

fanti e degli artiglieri italiani e sono perciò pienamente meritevoli della medaglia d’oro al  v.m.”.

   “…Per il suo eroico comportamento la Livorno è stata elogiata dal Comando italiano e da quello germanico; è stata citata nel bollettino italiano del 19 luglio; è stata ricordata infine dagli stessi inglesi, sia alla radio, sia a mezzo stampa (Times)”.

    Nei 38 giorni dell’operazione Husky in Sicilia, senza contare il numero delle vittime civili, si ebbero 54.627 morti di cui 40.840 soldati italiani, 8.908 soldati tedeschi, e 4.299 soldati Alleati; nel novero del computo finale delle perdite bisognerebbe aggiungere anche i morti delle nazioni che affiancarono gli anglo-americani nella liberazione dell’Isola, in particolare quelli dei 490 soldati del Canada che sono stati sepolti nel cimitero canadese di Agira.

                  Nuccio Mulè

 




AREA ARCHEOLOGICA ABBANDONATA DI PIAZZA CALVARIO

 

    Non è che sia tanto facile fare il conto del numero delle aeree archeologiche, grandi e piccole che siano, che si trovano nel territorio di Gela e nelle sue vicinanze, comprese quelle che si trovano all’interno del centro storico di Gela da tempo coperte da interi quartieri di abitazione come ad esempio le aree del Borgo, di Villa Garibaldi e del “Locu Baruni”. Comunque sia, di tali aree, il cui numero senza esagerazione arriva ad una trentina, solamente tre, bene o male, risultano fruibili; le rimanenti si trovano indolentemente nel più completo abbandono.

    Proviamo adesso a stilare un elenco delle aree archeologiche più importanti e cominciamo da quelle vicino Gela con le contrade Desusino, Suor Marchesa, Milingiana, Priorato, Muculufa, Fontana Calda, Piano della Fiera, Consi, Santa Croce, Fiume di Mallo, ecc., a seguire  Bubbonia, Disueri, Monte Maio, Monte Canalotti, Alzacudella, Sofiana, Petrusa, Piano Camera, Ponte Olivo, Grotticelle, Casa Mastro, Castelluccio e infine nella stessa Gela dove troviamo Manfria (con le contrade I Lotti, Monumenti, e Insinga), Acropoli di Molino a Vento, Fortificazioni greche di Caposoprano, Bagni Greci, via Romagnoli, Bosco Littorio, Bitalemi, Settefarini, Apa, via Meli, Ex Stazione Ferroviaria, Piazza Calvario, Alemanna al Villaggio Aldisio, via Genova, via Di Bartolo e molte altre aeree del centro storico dove gli affioramenti archeologici stoltamente sono stati ricoperti definitivamente. Per non scrivere delle altre numerose aree archeologiche di epoca romana sulla Piana del Gela non censite e sconosciute, spesso appannaggio dei clandestini.

    Eclatante e impressionante è il caso dell’area archeologica di Monte Bubbonia, in territorio di Mazzarino, dove, in un’ area cimiteriale di epoca greca, i tombaroli hanno fatto tutto quello che hanno voluto determinando un danno incommensurabile al patrimonio storico ed economico del nostro territorio. E se ciò, ed altro di peggio, accade non è sempre responsabilità delle Soprintendenze alle quali spesso i finanziamenti regionali per proteggere le aree archeologiche arrivano col contagocce o non arrivano per niente. Purtroppo, i Comuni interessati (in particolare Gela, Butera, Niscemi e Mazzarino), ma soprattutto il governo regionale, non hanno messo ancora a fuoco le reali potenzialità dei giacimenti culturali della nostra zona in termini di sviluppo turistico, economico ed occupazionale né tantomeno vi sono i presupposti per attuarlo.

    Delle tante aree archeologiche citate parliamo adesso di Piazza Calvario, ubicata in pieno centro storico gelese, forse una delle più sconosciute.

   Nellarea del cortile degli ex granai del Palazzo Ducale, nel quartiere Calvario, nel 1991 durante i lavori di scavo per la realizzazione di un parcheggio pubblico sono affiorate consistenti vestigia dantiche strutture risalenti ad epoche diverse; dopo il blocco dei lavori da parte della Soprintendenza, gli archeologi hanno effettuato diverse trincee mettendo allo scoperto una serie di reperti ascrivibili ai periodi medievale e greco classico e arcaico; allora gli scavi furono diretti da Katia Ingoglia, oggi docente dell’Università di Messina, Sandro Amata e Stella Patitucci, quest’ultima dell’Università di Camerino.

    La zona del Calvario era già conosciuta come area sacra per precedenti scavi effettuati nei primi del Novecento da Paolo Orsi, allora direttore del regio Museo di Siracusa e, più di mezzo secolo fa, dagli archeologi Proff. Orlandini e Adamesteanu, scavi da cui vennero alla luce vestigia di sacelli, decorazioni fittili e terrecotte architettoniche; in particolare furono evidenziati materiali e strutture di epoca greca e medievale, alcune cisterne ed un muro largo 2 e lungo 25 metri; in particolare verso Nord furono individuate delle strutture di epoca greca riferibili ai periodi arcaico e classico con due muri di un edificio con zoccoli in pietrame misto a ciottoli di fiume, un pithos, molti frammenti di ceramica, diversi frammenti di antefisse sileniche e gorgoniche, nonché un vestigio di strada costruita con ciottoli di fiume, larga 2 mt. e orientata in senso Nord-Sud.

    Altri scavi prossimi a venire (chissà quando) probabilmente porteranno alla luce strutture e materiali significativi che daranno agli archeologi la possibilità di ricostruire la storia di questo luogo.

    Intanto l’area da diversi decenni è stata totalmente abbandonata, sia per quanto riguarda la continuazione degli scavi archeologici sia per la relativa pulizia; le erbacce, infatti, hanno preso il sopravvento ricoprendo tutta l’area del cortile. E la cosa paradossale è che oggi in questo luogo non abbiamo né un’area archeologica fruibile né un parcheggio pubblico.

    Infine, per quanto riguarda il cantone pericolante dell’antica torre dell’attiguo castrum federiciano del XIII sec. in piazza Calvario, veramente c’è da diventare verdi di rabbia nel momento in cui esiste un transennamento dal 2008 (ai tempi delle demolizione del “Muro della Vergogna”) che, su denuncia di alcuni cittadini del luogo tramite i mass media, è stato recentemente ampliato per motivi di sicurezza senza che lo stesso cantone abbia subito un benchè minimo restauro. Per quanto tempo rimarrà in questo stato vergognoso? Se dovessimo paragonarlo all’impianto di protezione fatto a Porta Marina nel 2005, quindici anni fa, potremmo pensare che a piazza Calvario ne passeranno di anni, dal momento che ad oggi già ne sono passati già quasi tredici.

    Forse esiste la possibilità che tali transennamenti di protezione di Porta Marina e di piazza Calvario passino nella categoria dei beni archeologici (sic)?!!

                                                                                               Nuccio Mulè




LA CARTOLINA DI OGGI

 

    I due signorotti col “cacciottu” in testa, immortalati nella cartolina d'epoca di primo Novecento qui presentata, stanno percorrendo la “Strada Nazionale” (oggi via Colombo) al di fuori delle mura di cinta in una fredda e soleggiata mattinata d'inverno, forse per una salutare passeggiata a mare, e già hanno superato la prima curva a gomito che segna l'inizio del quartiere “Maggiore Toselli”, un tempo denominato, ma anche oggi dagli anziani, “‘u chianu de’ surfaredda”. Notare in piccolo sullo sfondo al centro della foto la ciminiera dei “Liquirificio Marletta” in contrada Capo Soprano sopra il Caricatore, in attività fino al 1940.  A sinistra sulla spiaggia si vedono alcune vele delle barche della flotta commerciale terranovese, a quel­l'epoca ricca e operosa.

    Cinque erano le porte che, fino ai primi decenni dell'Ottocento, permettevano l'accesso alla nostra città. Di regola venivano aperte all'alba e chiuse all'“Avemaria”, tranne quella secondaria a sud delle mura, “u purtusu” ovvero il pertugio del quartiere “Spirone” (in alto a destra sulla cartolina), che serviva per il rientro dei pescatori terranovesi e per le ronde militari in tempo di pirati.  A partire dalla seconda metà del Settecento, cessati i pericoli delle invasioni barbaresche, in determinati punti delle mura della città cominciarono ad aprirsi delle brecce per articolare meglio il traffico veicolare costituito allora da diverse migliaia di carretti e quadrupedi. Le prime brecce realizzate sulle mura medievali furono quelle dei quartieri di San Giovanni e San Francesco. In quest'ultimo quartiere la breccia fu aperta a lato del convento dei Padri Conventuali, diroccato negli anni Cinquanta per dar posto all'attuale Municipio, e da essa si fece continuare fino a mare per allungare la Strada Nazionale Marina, oggi via Cristoforo Colombo, sul tracciato di una sinuosa trazzera antica che portava alla rada di Terranova dove esistevano alcuni opifici e diverse industrie artigianali come quelle dei “canalara” (di cui sullo sfondo della cartolina si vede il fumo dei loro forni per cuocere l’argilla), dei “calafati” e degli “scupara”: di tali industrie rimaneva solo una ciminiera con la scritta “DUCE”, contigua allora all’albergo Mediterraneo, che fu demolita impunemente nel 1995. Nuccio Mulè

COMMEMORAZIONE DEL SENATORE GELESE COMM. VINCENZO D’ANNA

 

    Dei personaggi gelesi che nel tempo si sono distinti per il prestigio del loro titolo e del loro operato, oggi qui annoveriamo e scriviamo di un conterraneo che è stato dimenticato totalmente. Si tratta del Senatore, dell’allora Regno d’Italia, Comm. Vincenzo D’Anna.

    Vincenzo D’Anna, di Giuseppe e di Catalano Rosalia nacque a Gela, allora Terranova, il 1° ottobre del 1831; nulla si conosce della sua fanciullezza né dei suoi studi prima di conseguire la laurea in ingegneria, però, si sa che entrò ancora giovane nella carriera degli uffici pubblici raggiungendo il grado di Direttore Generale nel Ministero dei Lavori Pubblici e Presidente di Sezione nel Consiglio di Stato.

    Nell’aprile del 1886 il Comm. Vincenzo D’Anna, dopo quarant’anni di assenza ritornò per una rimpatriata a Terranova di Sicilia; il Sindaco, conte Nicola Panebianco, per l’occasione organizzò dei festeggiamenti per l’illustre concittadino oltre a un banchetto con le personalità della città nel locale del “Liceo Convitto Principessa Pignatelli alle ore sette pomeridiane del 24 aprile 1886…”.   

    Conosciuto e stimato in patria per carattere indipendente e leale…”, Vincenzo D'Anna nel novembre 1892 venne elevato alla dignità senatoria, grazie all’apprezzamento della “Maestà del Re come cittadino liberale e coscienzioso, dotato di grande perizia nei vari rami delle pubbliche amministrazioni, una indefessa operosità e una profonda devozione alla cosa pubblica…”. Chiamato alla presidenza della II sezione del Consiglio di Stato, la sua grande conoscenza della legislazione e della pratica dei lavori pubblici, lo pose in grado di rendere i più importanti servizi.

    Sposato con tale Maria Maddalena Bonfigli, da cui ebbe otto figli, il Comm. Vincenzo D’Anna morì a Roma il 27 giugno 1902.

Commemorazione al Senato

    Durante la commemorazione della sua scomparsa nell’aula del Senato, l’allora Presidente Giuseppe Saracco così si espresse: “Signori senatori! Ho il dolore di annunziare al Senato la perdita di un ottimo collega, il Comm. D'Anna Vincenzo avvenuta ieri nelle ore pomeridiane, in Roma. Colpito da morbo crudele, egli non mancò tuttavia, finchè gli durarono le forze, di attendere ai suoi doveri, malgrado le dure sofferenze, il bravo collega si trascinava a stento in quest'aula per assistere alle sedute del Senato. Ma l'ultima ora del buono e valoroso collega si annunziava visibilmente, e Vincenzo D'Anna mori serenamente fra il compianto dei congiunti, o di quanti ebbero maggiormente opportunità di apprezzarne le qualità di mente o di cuore. Lo Stato perde in lui uno dei più intelligenti e laboriosi funzionari e noi sentiamo a nostra volta di aver perduto in Vincenzo D'Anna uno dei più distinti ed operosi compagni che sono l'ornamento di questo nostro Senato. Ond'io, a nome di voi tutti, mi compiaccio di deporre sul feretro del valoroso collega l'augurio, che Dio conceda a quell'anima cosi travagliata in vita la pace ed il riposo eterno del giusto.”

    Al Presidente Saracco seguirono gli interventi, qui di seguito riportati, del senatore Giuseppe Saredo, Presidente del Consiglio di Stato, e del Ministro dell’Interno Senatore Giovanni Giolitti, lo stesso che diverse volte fu presidente del Consiglio dei Ministri nel periodo storico che è oggi definito come "età giolittiana".

    Senatore Giuseppe Saredo: “Mi sia consentito di aggiungere una parola alla eloquente commemorazione del nostro Presidente già fatta del perduto collega. Venuto al Consiglio di Stato dopo lunga ed onorata carriera egli vi ha portato una grande perizia nei vari rami delle pubbliche amministrazioni, una indefessa operosità, una profonda devozione alla cosa pubblica. Chiamato alla presidenza della II sezione del Consiglio di Stato, la sua grande conoscenza della legislazione e della pratica dei lavori pubblici, lo pose in grado di rendere allo Stato i più segnalati servizi. A nome del Consiglio di Stato ringrazio il nostro illustre Presidente dei meritati elogi che ha tributato alla memoria del compianto collega, elogi che giungeranno come non lieve conforto alla desolata famiglia.

    Senatore Giovanni Giolitti: “A nome del Governo mi associo ai sentimenti di rimpianto espressi dal presidente del Senato e dal senatore Saredo, presidente del Consiglio di Stato. Io che ebbi l'onore di essere per molti anni collega del rimpianto senatore D'Anna come membro del Consiglio di Stato, ho avuto occasione di conoscere quanto valesse quell'uomo e per ingegno e per carattere e per operosità, ed in lui io ho ammirato non solamente il funzionario, ma anche l'egregio padre di famiglia, l'uomo che deve tutto a se stesso, perché egli dalla fortuna nulla aveva avuto e la posizione altissima che si procurò nel Consiglio di Stato e nel Senato è dovuta esclusivamente all'operosità sua e alla stima che tutti i suoi colleghi avevano per il suo ingegno e carattere.

Commemorazione alla Camera

    Oltre alla Camera del Senato, nello stesso giorno anche in quella dei Deputati fu commemorato il Comm. D’anna. Di tale commemorazione qui di seguito si riporta uno stralcio.

    Giuseppe Biancheri, Presidente della Camera: “Comunico alla Camera che dalla Presidenza del Senato del Regno mi è pervenuta la seguente lettera: “Compio il doloroso ufficio di annunziare all'Eccellenza Vostra la morte dell'onorevole senatore D'Anna commendatore Vincenzo, avvenuta ieri, 27, in questa città. Le significo in pari tempo che il trasporto della salma avrà luogo domattina, 29, alle ore 9 e mezzo, partendo dall'abitazione del defunto, Corso Vittorio Emanuele n. 209.

    Prese la parola Il deputato Saracco: “La Camera non può non apprendere con dolore la perdita del commendatore D'Anna, che fu per diverse Legislature nostro collega, che occupò posti eminenti nelle pubbliche Amministrazioni e rese eminenti servizi al Paese. Sono certo che la Camera si associerà a me nell'esprimere sincere condoglianze alla famiglia dell'estinto. {Bene!)”.

    Seguì il deputato Ignazio Testasecca: “Faccio plauso alle nobili parole che l'onorevole presidente ha pronunziato per commemorare il compianto senatore D'Anna, il quale, nato in Terranova di Sicilia, apparteneva alla provincia di Caltanissetta, che ho l'onore di rappresentare. Mi associo con tutto il cuore alle parole dette dall'onorevole presidente e prego la Camera di mandare le condoglianze alla famiglia, anche a nome della provincia di Caltanissetta.”.

    Subito dopo gli interventi furono scelti i componenti la Commissione che fu incaricata di rappresentare, assieme alla Presidenza, la Camera all'accompagnamento funebre dell’indomani alle 9,30.

    Il Comm. Vincenzo D’Anna secondo alcune cronache storiche locali non confermate, durante la carica di Direttore Capo dei Lavori Pubblici, nella seconda metà dell’Ottocento si operò per la costruzione a Terranova del Ponte ripieno del Borgo sul Vallone Pasqualello, a nord della Villa comunale, del tratto che tuttora congiunge via Matteotti a via Cappuccini.

Incarichi e onorificenze del Comm. Vincenzo D’Anna

    Funzionario amministrativo e Magistrato, ricoprì le cariche di Direttore Capo dei Lavori Pubblici nel Consiglio dei Ragionieri del Regno (1877), Direttore Generale di Ponti e Strade del Ministero dei Lavori Pubblici (1879), Consigliere di Stato (27 settembre 1882), Consigliere della Corte di Cassazione di Palermo (1882, 1884), Presidente di sezione del Consiglio di Stato (30 dicembre 1892), Membro della Commissione di vigilanza al Debito Pubblico.

    Il Comm. Vincenzo D’Anna, Deputato nella XXI Legislatura e Senatore nella XVI Legislatura, ebbe le seguenti onorificenze: Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (2 giugno 1872); Ufficiale dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (30 gennaio 1881); Commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (31 marzo 1890); Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia (5 gennaio 1873); Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia; Grande ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia (27 giugno 1895).Nuccio Mulè

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