QUOTIDIANO "LA SICILIA"
INSERTO "DISTRETTO GELESE"
Novembre
2020
GELA LUGLIO 1943, LA DIVISIONE FANTASMA
Nel corso degli ultimi anni c’è stato un
via vai di cifre che ha visto studiosi e cultori
di storia patria divisi nel fornire i relativi
numeri. Per dirimere la questione e quindi
fornire il numero esatto delle perdite di
allora, esiste nell’archivio dello Stato
Maggiore dell’Esercito a Roma un fascicolo dal
titolo “Comando
delle FF.AA. della Sicilia” in cui alla voce
“Perdite”
si tratta del contrattacco della Divisione
Livorno nel luglio del 1943 a Gela e che porta
la firma del Generale d’Armata Comandante
Alfredo Guzzoni. Lo scrivente, durante una
ricerca ne è venuto a conoscenza e qui riporta
fedelmente i tratti più essenziali dello stesso
fascicolo e quindi in particolare le cifre delle
perdite, pari quasi al 64%, che allora
interessarono il contingente dei fanti della
Livorno, perdite che peraltro gli valsero la
denominazione di “divisione
fantasma”.
“…I valorosi fanti della Livorno per il loro
eroico contegno in ogni circostanza e per la
virile forza d’animo con cui seppero tener testa
ad un nemico più numeroso, meglio armato e
sorretto da un ingente massa di aerei che
dominava il cielo dell’Isola, sono stati
all’altezza delle loro nobili tradizioni di
valore e di sacrificio ed hanno scritto pagine
di insuperato ed insuperabile valore.”
“…Nel totale le perdite complessive
subite dalla “Livorno” ammontano:
-
a 214 ufficiali su 505;
-
a 7.000 fra sottufficiali e truppa su 11.400,
servizi compresi.
Fra Gela e Bivio Gigliotto si sono
perduti:
-
il Colonnello Mona Comandante del 33° Fanteria
ferito e prigioniero;
-
il Maggiore di fanteria Elena ed il pari grado
di artiglieria Artigiani caduti eroicamente;
-
il Ten. Col. Del 33° fanteria Alessi ed i Ten.
Col. Leonardi e De Gregori del 34° fanteria
feriti e prigionieri…”.
“…Le tre gloriose bandiere del 33°, del 34°, del
28° artiglieria impersonarono il valore dei
fanti e degli artiglieri italiani e sono perciò
pienamente meritevoli della medaglia d’oro al
v.m.”.
“…Per il suo eroico comportamento la Livorno è
stata elogiata dal Comando italiano e da quello
germanico; è stata citata nel bollettino
italiano del 19 luglio; è stata ricordata infine
dagli stessi inglesi, sia alla radio, sia a
mezzo stampa (Times)”.
Nei 38 giorni dell’operazione Husky in
Sicilia, senza contare il numero delle vittime
civili, si ebbero 54.627 morti di cui 40.840
soldati italiani, 8.908 soldati tedeschi, e
4.299 soldati Alleati; nel novero del computo
finale delle perdite bisognerebbe aggiungere
anche i morti delle nazioni che affiancarono gli
anglo-americani nella liberazione dell’Isola, in
particolare quelli dei 490 soldati del Canada
che sono stati sepolti nel cimitero canadese di
Agira. Nuccio Mulè
AREA ARCHEOLOGICA ABBANDONATA DI
PIAZZA CALVARIO
Non è che sia tanto
facile fare il conto del numero
delle aeree archeologiche,
grandi e piccole che siano, che
si trovano nel territorio di
Gela e nelle sue vicinanze,
comprese quelle che si trovano
all’interno del centro storico
di Gela da tempo coperte da
interi quartieri di abitazione
come ad esempio le aree del
Borgo, di Villa Garibaldi e del
“Locu Baruni”. Comunque sia, di
tali aree, il cui numero senza
esagerazione arriva ad una
trentina, solamente tre, bene o
male, risultano fruibili; le
rimanenti si trovano
indolentemente nel più completo
abbandono.
Proviamo adesso a stilare
un elenco delle aree
archeologiche più importanti e
cominciamo da quelle vicino Gela
con le contrade
Desusino, Suor Marchesa,
Milingiana, Priorato, Muculufa,
Fontana Calda, Piano della
Fiera, Consi, Santa Croce, Fiume
di Mallo, ecc., a seguire
Bubbonia, Disueri, Monte Maio,
Monte Canalotti, Alzacudella,
Sofiana, Petrusa, Piano Camera,
Ponte Olivo, Grotticelle, Casa
Mastro, Castelluccio e
infine nella stessa Gela dove
troviamo
Manfria (con le contrade
I Lotti, Monumenti, e Insinga),
Acropoli di Molino a Vento,
Fortificazioni greche di
Caposoprano, Bagni Greci, via
Romagnoli, Bosco Littorio,
Bitalemi, Settefarini, Apa, via
Meli, Ex Stazione Ferroviaria,
Piazza Calvario,
Alemanna al Villaggio
Aldisio,
via Genova,
via Di Bartolo e molte altre
aeree del centro storico dove
gli affioramenti archeologici
stoltamente sono stati ricoperti
definitivamente. Per non
scrivere delle altre numerose
aree archeologiche di epoca
romana sulla Piana del Gela non
censite e sconosciute, spesso
appannaggio dei clandestini.
Eclatante e
impressionante è il caso
dell’area archeologica di Monte
Bubbonia, in territorio di
Mazzarino, dove, in un’ area
cimiteriale di epoca greca, i
tombaroli hanno fatto tutto
quello che hanno voluto
determinando un danno
incommensurabile al patrimonio
storico ed economico del nostro
territorio. E se ciò, ed altro
di peggio, accade non è sempre
responsabilità delle
Soprintendenze alle quali spesso
i finanziamenti regionali per
proteggere le aree archeologiche
arrivano col contagocce o non
arrivano per niente. Purtroppo,
i Comuni interessati (in
particolare Gela, Butera,
Niscemi e Mazzarino), ma
soprattutto il governo
regionale, non hanno messo
ancora a fuoco le reali
potenzialità dei giacimenti
culturali della nostra zona in
termini di sviluppo turistico,
economico ed occupazionale né
tantomeno vi sono i presupposti
per attuarlo.
Delle tante aree
archeologiche citate parliamo
adesso di Piazza Calvario,
ubicata in pieno centro storico
gelese, forse una delle più
sconosciute.
Nell’area
del cortile degli
ex granai del Palazzo Ducale,
nel quartiere Calvario, nel 1991
durante i lavori di scavo per la
realizzazione di un parcheggio
pubblico sono affiorate
consistenti vestigia d’antiche
strutture risalenti ad epoche
diverse; dopo il blocco dei
lavori da parte della
Soprintendenza, gli archeologi
hanno effettuato diverse trincee
mettendo allo scoperto una serie
di reperti ascrivibili ai
periodi medievale e greco
classico e arcaico; allora gli
scavi furono diretti da Katia
Ingoglia, oggi docente
dell’Università di Messina,
Sandro Amata e Stella Patitucci,
quest’ultima dell’Università di
Camerino.
La zona del Calvario era
già conosciuta come area sacra
per precedenti scavi effettuati
nei primi del Novecento da Paolo
Orsi, allora direttore del regio
Museo di Siracusa e, più di
mezzo secolo fa, dagli
archeologi Proff. Orlandini e
Adamesteanu, scavi da cui
vennero alla luce vestigia di
sacelli, decorazioni fittili e
terrecotte architettoniche; in
particolare furono evidenziati
materiali e strutture di epoca
greca e medievale, alcune
cisterne ed un muro largo 2 e
lungo 25 metri; in particolare
verso Nord furono individuate
delle strutture di epoca greca
riferibili ai periodi arcaico e
classico con due muri di un
edificio con zoccoli in pietrame
misto a ciottoli di fiume, un
pithos, molti frammenti di
ceramica, diversi frammenti di
antefisse sileniche e gorgoniche,
nonché un vestigio di strada
costruita con ciottoli di fiume,
larga 2 mt. e orientata in senso
Nord-Sud.
Altri scavi prossimi a
venire (chissà quando)
probabilmente porteranno alla
luce strutture e materiali
significativi che daranno agli
archeologi la possibilità di
ricostruire la storia di questo
luogo.
Intanto l’area da diversi
decenni è stata totalmente
abbandonata, sia per quanto
riguarda la continuazione degli
scavi archeologici sia per la
relativa pulizia; le erbacce,
infatti, hanno preso il
sopravvento ricoprendo tutta
l’area del cortile. E la cosa
paradossale è che oggi in questo
luogo non abbiamo né un’area
archeologica fruibile né un
parcheggio pubblico.
Infine, per quanto
riguarda il cantone pericolante
dell’antica torre dell’attiguo
castrum federiciano del XIII
sec. in piazza Calvario,
veramente c’è da diventare verdi
di rabbia nel momento in cui
esiste un transennamento dal
2008 (ai tempi delle demolizione
del “Muro della Vergogna”) che,
su denuncia di alcuni cittadini
del luogo tramite i mass media,
è stato recentemente ampliato
per motivi di sicurezza senza
che lo stesso cantone abbia
subito un benchè minimo
restauro. Per quanto tempo
rimarrà in questo stato
vergognoso? Se dovessimo
paragonarlo all’impianto di
protezione fatto a Porta Marina
nel 2005, quindici anni fa,
potremmo pensare che a piazza
Calvario ne passeranno di anni,
dal momento che ad oggi già ne
sono passati già quasi tredici.
Forse esiste la
possibilità che tali
transennamenti di protezione di
Porta Marina e di piazza
Calvario passino nella categoria
dei beni archeologici (sic)?!!
Nuccio Mulè
LA CARTOLINA DI
OGGI
I due
signorotti col “cacciottu”
in testa,
immortalati
nella cartolina
d'epoca di primo
Novecento qui
presentata,
stanno
percorrendo la
“Strada
Nazionale” (oggi
via Colombo) al
di fuori delle
mura di cinta in
una fredda e
soleggiata
mattinata
d'inverno, forse
per una salutare
passeggiata a
mare, e già
hanno superato
la prima curva a
gomito che segna
l'inizio del
quartiere
“Maggiore
Toselli”, un
tempo
denominato, ma
anche oggi dagli
anziani, “‘u
chianu de’
surfaredda”.
Notare in
piccolo sullo
sfondo al centro
della foto la
ciminiera dei “Liquirificio
Marletta” in
contrada Capo
Soprano sopra il
Caricatore, in
attività fino al
1940.
A
sinistra sulla
spiaggia si
vedono alcune
vele delle
barche della
flotta
commerciale
terranovese, a
quell'epoca
ricca e operosa.
Cinque
erano le porte
che, fino ai
primi decenni
dell'Ottocento,
permettevano
l'accesso alla
nostra città. Di
regola venivano
aperte all'alba
e chiuse
all'“Avemaria”,
tranne quella
secondaria a sud
delle mura, “u
purtusu” ovvero
il pertugio del
quartiere “Spirone”
(in alto a
destra sulla
cartolina), che
serviva per il
rientro dei
pescatori
terranovesi e
per le ronde
militari in
tempo di pirati.
A partire
dalla seconda
metà del
Settecento,
cessati i
pericoli delle
invasioni
barbaresche, in
determinati
punti delle mura
della città
cominciarono ad
aprirsi delle
brecce per
articolare
meglio il
traffico
veicolare
costituito
allora da
diverse migliaia
di carretti e
quadrupedi. Le
prime brecce
realizzate sulle
mura medievali
furono quelle
dei quartieri di
San Giovanni e
San Francesco.
In quest'ultimo
quartiere la
breccia fu
aperta a lato
del convento dei
Padri
Conventuali,
diroccato negli
anni Cinquanta
per dar posto
all'attuale
Municipio, e da
essa si fece
continuare fino
a mare per
allungare la
Strada Nazionale
Marina, oggi via
Cristoforo
Colombo, sul
tracciato di una
sinuosa trazzera
antica che
portava alla
rada di
Terranova dove
esistevano
alcuni opifici e
diverse
industrie
artigianali come
quelle dei “canalara”
(di cui sullo
sfondo della
cartolina si
vede il fumo dei
loro forni per
cuocere
l’argilla), dei
“calafati” e
degli “scupara”:
di tali
industrie
rimaneva solo
una ciminiera
con la scritta
“DUCE”, contigua
allora
all’albergo
Mediterraneo,
che fu demolita
impunemente nel
1995.
Nuccio Mulè
COMMEMORAZIONE
DEL SENATORE
GELESE COMM.
VINCENZO D’ANNA
Dei
personaggi
gelesi che nel
tempo si sono
distinti per il
prestigio del
loro titolo e
del loro
operato, oggi
qui annoveriamo
e scriviamo di
un conterraneo
che è stato
dimenticato
totalmente. Si
tratta del
Senatore,
dell’allora
Regno d’Italia,
Comm. Vincenzo
D’Anna.
Vincenzo
D’Anna, di
Giuseppe e di
Catalano Rosalia
nacque a Gela,
allora
Terranova, il 1°
ottobre del
1831; nulla si
conosce della
sua fanciullezza
né dei suoi
studi prima di
conseguire la
laurea in
ingegneria,
però, si sa che
entrò ancora
giovane nella
carriera degli
uffici pubblici
raggiungendo il
grado di
Direttore
Generale nel
Ministero dei
Lavori Pubblici
e Presidente di
Sezione nel
Consiglio di
Stato.
Nell’aprile del
1886 il Comm.
Vincenzo D’Anna,
dopo
quarant’anni di
assenza ritornò
per una
rimpatriata a
Terranova di
Sicilia; il
Sindaco, conte
Nicola
Panebianco, per
l’occasione
organizzò dei
festeggiamenti
per l’illustre
concittadino
oltre a un
banchetto con le
personalità
della città nel
locale del “Liceo
Convitto
Principessa
Pignatelli alle
ore sette
pomeridiane del
24 aprile 1886…”.
“Conosciuto
e stimato in
patria per
carattere
indipendente e
leale…”,
Vincenzo D'Anna
nel novembre
1892 venne
elevato alla
dignità
senatoria,
grazie
all’apprezzamento
della “Maestà
del Re come
cittadino
liberale e
coscienzioso,
dotato di grande
perizia nei vari
rami delle
pubbliche
amministrazioni,
una indefessa
operosità e una
profonda
devozione alla
cosa pubblica…”.
Chiamato alla
presidenza della
II sezione del
Consiglio di
Stato, la sua
grande
conoscenza della
legislazione e
della pratica
dei lavori
pubblici, lo
pose in grado di
rendere i più
importanti
servizi.
Sposato
con tale Maria
Maddalena
Bonfigli, da cui
ebbe otto figli,
il Comm.
Vincenzo D’Anna
morì a Roma il
27 giugno 1902.
Commemorazione
al Senato
Durante
la
commemorazione
della sua
scomparsa
nell’aula del
Senato, l’allora
Presidente
Giuseppe Saracco
così si
espresse: “Signori
senatori! Ho il
dolore di
annunziare al
Senato la
perdita di un
ottimo collega,
il Comm. D'Anna
Vincenzo
avvenuta ieri
nelle ore
pomeridiane, in
Roma. …Colpito
da morbo
crudele, egli
non mancò
tuttavia, finchè
gli durarono le
forze, di
attendere ai
suoi doveri,
malgrado le dure
sofferenze, il
bravo collega si
trascinava a
stento in
quest'aula per
assistere alle
sedute del
Senato. Ma
l'ultima ora del
buono e valoroso
collega si
annunziava
visibilmente, e
Vincenzo D'Anna
mori serenamente
fra il compianto
dei congiunti, o
di quanti ebbero
maggiormente
opportunità di
apprezzarne le
qualità di mente
o di cuore. Lo
Stato perde in
lui uno dei più
intelligenti e
laboriosi
funzionari e noi
sentiamo a
nostra volta di
aver perduto in
Vincenzo D'Anna
uno dei più
distinti ed
operosi compagni
che sono
l'ornamento di
questo nostro
Senato. Ond'io,
a nome di voi
tutti, mi
compiaccio di
deporre sul
feretro del
valoroso collega
l'augurio, che
Dio conceda a
quell'anima cosi
travagliata in
vita la pace ed
il riposo eterno
del giusto.”
Al Presidente
Saracco
seguirono gli
interventi, qui
di seguito
riportati, del
senatore
Giuseppe Saredo,
Presidente del
Consiglio di
Stato, e del
Ministro
dell’Interno
Senatore
Giovanni
Giolitti, lo
stesso che
diverse volte fu
presidente del
Consiglio dei
Ministri nel
periodo storico
che è oggi
definito come
"età
giolittiana".
Senatore
Giuseppe Saredo:
“Mi
sia consentito
di aggiungere
una parola alla
eloquente
commemorazione
del nostro
Presidente già
fatta del
perduto collega.
Venuto al
Consiglio di
Stato dopo lunga
ed onorata
carriera egli vi
ha portato una
grande perizia
nei vari rami
delle pubbliche
amministrazioni,
una indefessa
operosità, una
profonda
devozione alla
cosa pubblica.
Chiamato alla
presidenza della
II sezione del
Consiglio di
Stato, la sua
grande
conoscenza della
legislazione e
della pratica
dei lavori
pubblici, lo
pose in grado di
rendere allo
Stato i più
segnalati
servizi. A nome
del Consiglio di
Stato ringrazio
il nostro
illustre
Presidente dei
meritati elogi
che ha tributato
alla memoria del
compianto
collega, elogi
che giungeranno
come non lieve
conforto alla
desolata
famiglia.”
Senatore
Giovanni
Giolitti: “A
nome del Governo
mi associo ai
sentimenti di
rimpianto
espressi dal
presidente del
Senato e dal
senatore Saredo,
presidente del
Consiglio di
Stato. Io che
ebbi l'onore di
essere per molti
anni collega del
rimpianto
senatore D'Anna
come membro del
Consiglio di
Stato, ho avuto
occasione di
conoscere quanto
valesse
quell'uomo e per
ingegno e per
carattere e per
operosità, ed in
lui io ho
ammirato non
solamente il
funzionario, ma
anche l'egregio
padre di
famiglia, l'uomo
che deve tutto a
se stesso,
perché egli
dalla fortuna
nulla aveva
avuto e la
posizione
altissima che si
procurò nel
Consiglio di
Stato e nel
Senato è dovuta
esclusivamente
all'operosità
sua e alla stima
che tutti i suoi
colleghi avevano
per il suo
ingegno e
carattere.
Commemorazione
alla Camera
Oltre
alla Camera del
Senato, nello
stesso giorno
anche in quella
dei Deputati fu
commemorato il
Comm. D’anna. Di
tale
commemorazione
qui di seguito
si riporta uno
stralcio.
Giuseppe
Biancheri,
Presidente della
Camera: “Comunico
alla Camera che
dalla Presidenza
del Senato del
Regno mi è
pervenuta la
seguente
lettera: “Compio
il doloroso
ufficio di
annunziare
all'Eccellenza
Vostra la morte
dell'onorevole
senatore D'Anna
commendatore
Vincenzo,
avvenuta ieri,
27, in questa
città. Le
significo in
pari tempo che
il trasporto
della salma avrà
luogo domattina,
29, alle ore 9 e
mezzo, partendo
dall'abitazione
del defunto,
Corso Vittorio
Emanuele n. 209.”
Prese la
parola Il
deputato
Saracco: “La
Camera non può
non apprendere
con dolore la
perdita del
commendatore
D'Anna, che fu
per diverse
Legislature
nostro collega,
che occupò posti
eminenti nelle
pubbliche
Amministrazioni
e rese eminenti
servizi al
Paese. Sono
certo che la
Camera si
associerà a me
nell'esprimere
sincere
condoglianze
alla famiglia
dell'estinto.
{Bene!)”.
Seguì il
deputato Ignazio
Testasecca: “Faccio
plauso alle
nobili parole
che l'onorevole
presidente ha
pronunziato per
commemorare il
compianto
senatore D'Anna,
il quale, nato
in Terranova di
Sicilia,
apparteneva alla
provincia di
Caltanissetta,
che ho l'onore
di
rappresentare.
Mi associo con
tutto il cuore
alle parole
dette
dall'onorevole
presidente e
prego la Camera
di mandare le
condoglianze
alla famiglia,
anche a nome
della provincia
di
Caltanissetta.”.
Subito
dopo gli
interventi
furono scelti i
componenti la
Commissione che
fu incaricata di
rappresentare,
assieme alla
Presidenza, la
Camera
all'accompagnamento
funebre
dell’indomani
alle 9,30.
Il Comm.
Vincenzo D’Anna
secondo alcune
cronache
storiche locali
non confermate,
durante la
carica di
Direttore Capo
dei Lavori
Pubblici, nella
seconda metà
dell’Ottocento
si operò per la
costruzione a
Terranova del
Ponte ripieno
del Borgo sul
Vallone
Pasqualello, a
nord della Villa
comunale, del
tratto che
tuttora
congiunge via
Matteotti a via
Cappuccini.
Incarichi e
onorificenze del
Comm. Vincenzo
D’Anna
Funzionario
amministrativo e
Magistrato,
ricoprì le
cariche di
Direttore Capo
dei Lavori
Pubblici nel
Consiglio dei
Ragionieri del
Regno (1877),
Direttore
Generale di
Ponti e Strade
del Ministero
dei Lavori
Pubblici (1879),
Consigliere di
Stato (27
settembre 1882),
Consigliere
della Corte di
Cassazione di
Palermo (1882,
1884),
Presidente di
sezione del
Consiglio di
Stato (30
dicembre 1892),
Membro della
Commissione di
vigilanza al
Debito Pubblico.
Il Comm.
Vincenzo D’Anna,
Deputato nella
XXI Legislatura
e Senatore nella
XVI Legislatura,
ebbe le seguenti
onorificenze:
Cavaliere
dell'Ordine dei
SS. Maurizio e
Lazzaro (2
giugno 1872);
Ufficiale
dell'Ordine dei
SS. Maurizio e
Lazzaro (30
gennaio 1881);
Commendatore
dell'Ordine dei
SS. Maurizio e
Lazzaro (31
marzo 1890);
Ufficiale
dell'Ordine
della Corona
d'Italia (5
gennaio 1873);
Commendatore
dell'Ordine
della Corona
d'Italia; Grande
ufficiale
dell'Ordine
della Corona
d'Italia (27
giugno 1895).
|