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La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Settembre 2022
ARGOMENTI

Cartolina di oggi:  Tutti in posa sul Corso Vittorio Emanuele II

DITTA F.LLI MARLETTA-CELLURA

Fabbrica di Liquirizia e Molini per Grano

Stabilimento Balneare e Vendita di acqua potabile

IL MERETRICIO A TERRANOVA DI SICILIA

Tutti in posa sul Corso Vittorio Emanuele II

       Datata 22 novembre 1909 la cartolina ritrae uno scorcio del Corso nei pressi di piazza Sant’Agostino a Gela; questa cartolina, per quanto è dato sapere, è l’unica ad avere la didascalia che precisa l’intitolazione del Corso a Vittorio Emanuele II, denominazione data dall’Amministrazione comunale nel 1878 dopo la scomparsa del re.

    La presenza dell’autore dello scatto incuriosisce molta gente che si ammassa davanti all’obiettivo con al centro un giovane in posizione più alta per mettersi in evidenza; a sinistra si osserva un venditore ambulante con il suo carrettino, mentre tra la gente s’intravvedono dei ragazzi e delle donne con lo scialle in testa; sul bordo del marciapiede destro si osserva un lampione a petrolio. Le abitazioni che si vedono a destra fino a via Marconi (già strada Conservatorio), facevano parte del Palazzo Presti e, a seguire, dei palazzi Guttilla, Panebianco, Minardi, Di Bartolo, Fischetti e Ventura, mentre il palazzo attiguo a via Catutti ad ovest, che compare a sinistra nella cartolina, era quello della famiglia Rosso di San Secondo-Russo-Iozza che fu demolito verso la fine degli anni Sessanta per dar posto ad un moderno stabile.

    Il Corso Vit­torio Emanuele Il, arteria principale di Terranova di Sicilia, prima del 1878 era denominata “Strada del Corso” e ancor prima “Strada Maestra” (o “strata ranni” in vernacolo), anche se l’originaria strada principale della città in antico non era il Corso ma l’attuale via G. Rossini, denominata allora Rua Grande, con una diversa conformazione rispetto ad oggi. La strada principale del Corso con il prolungamento verso ovest di Corso S. Aldisio e via Palazzi, lunga quasi tre chilome­tri, fino ai primi decenni del Nove­cento iniziava dal quartiere di Molino a Vento e arrivava fino alla chiesa di San Giacomo. Da quel punto in poi, conti­nuava fino al Cimite­ro Monumentale, snodandosi in mez­zo a una vasta area della collina co­perta da orti, frutteti e villini. Verso il 1850 l'amministrazione comunale s'indebitò fortemente per realizzare il selciato delle principali vie della cit­tà, e primariamente del Corso, con basole di lava del Vesuvio e dell’Etna, dal momento che le vie dell'abitato erano a fondo natu­rale e, a volte, con il centro tra­sformato in fogna a cielo aperto.

    Il Corso in origine faceva parte della “Strada Nazionale Terranova-Piazza”, strada che attraversava il centro cittadino e, snodandosi lungo il suo percorso dal Cimitero Monumentale fino a Piazza Umberto I, tagliava poi a nord sulla strada Marina (oggi via Giacomo Navarra Bresmes) verso “Porta Caltagirone”. Alla stessa strada nazionale poi nel 1928 fu cambiata la denominazione in “SS 115 Sud Occidentale Sicula” con la gestione dell’A.A.S.S. (Azienda Autonoma Statale della Strada), sigla che ancora si legge su una pietra miliare del Corso rimasta ancora “miracolosamente” integra, posta sul marciapiede del Convitto Pignatelli. La strada statale 115 (dal 1946 gestita dall’ANAS), che dagli anni Cinquanta in poi non comprende più il Corso ma la variante di via Venezia, oggi collega le città di Trapani e Siracusa passando per Agrigento, Gela e Modica.

    Poche persone sanno che Gela è il punto di arrivo della cosiddetta E45, una delle più lunghe strade europee di classe A in direzione nord-sud con un percorso complessivo di 5.190 Km che si snoda in 7 paesi tra Italia, Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Finlandia per arrivare in Norvegia ad Alta, a 70 Km. da Capo Nord, ben oltre il Circolo Polare Artico, con un tracciato misto autostradale, stradale e marittimo. Pensata per la prima volta come “Strada dell’Asse” da Mussolini e Hitler, a quanto sembra venne poi realmente progettata negli anni ’50 per volontà del deputato democristiano e segretario della Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini. Negli anni Settanta fu inserita nella strada europea E7 per poi essere ribattezzata E45 nel 1975.

    Sul retro della cartolina viaggiata con un francobollo di 5 centesimi raffigurante re Vittorio Emanuele III, si legge “SOCIETÀ AN. IT. INDUSTRIE GRAFICHE - TORINO” e “Siena, lì 22/11/1909. Tanti baci dal tuo aff.mo nipote Nicola Russo” all’indirizzo di “Al Sig. Cav.e Uff.e Nicolò Russo, Corso Vittorio Emanuele, Terranova, Sicilia”.

DITTA F.LLI MARLETTA-CELLURA

Fabbrica di Liquirizia e Molini per Grano

Stabilimento Balneare e Vendita di acqua potabile

    A Gela, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, esisteva in contrada ex Caricatore, a est dell’area delle attuali Mura Timoleontee, un importante stabilimento per la lavorazione della liquirizia e per la molitura del grano; realizzato della ditta “F.lli Marletta-Cellura”, lo stabilimento primariamente produceva succhi di liquirizia e radice di liquirizia in bacchette e trinciata di varie qualità. Le macchine di produzione dello stabilimento inizialmente funzionavano con forza animale in quanto ancora qui non si disponeva di motori meccanici a vapore.

    Normalmente nella fabbrica erano occupati 62 operai, di cui 16 maschi adulti e 46 donne, da 10 a 30 anni; la produzione media annua, per 8 mesi di lavoro, era di 400-500 quintali di succo e 150 quintali di radice di liquirizia. Nei momenti di crisi la produzione e il numero degli operai diminuivano, addirittura in certi periodi la produzione era legata alle richieste dei committenti.

    I prodotti del liquirificio particolarmente si smerciavano a Catania e Palermo, ma anche all’estero con Marsiglia, Ginevra, ecc. Il succo che era spedito in casse e la radice in sacchi (da un documento del “Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio - Annali di Statistica - Roma 1895”). La fabbrica del liquirificio e la molitura del grano negli anni Quaranta, furono convertiti in “Oleificio Gela srl” che produsse forse fino agli anni Sessanta, prima del suo fallimento. Lo stabilimento così fu messo all’asta ed acquistato nel 1973 dalla Sezione Credito Industriale della Filiale di Catania dell’allora Banco di Sicilia per 19 milioni delle vecchie lire, istituto di credito con cui il proprietario del liquirificio aveva acceso un mutuo nel 1951. Dello stabilimento, che qualche lustro fa è stato acquistato dalla COSIAM di Francesco Greco, oggi sono rimasti una ciminiera e i resti di diversi fatiscenti fabbricati.  

    Oltre al liquirificio e alla molitura del grano, la ditta dei F.lli Marletta-Cellura, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, impiantò sulla spiaggia prospiciente il centro storico il “Grande Stabilimento Balneare Gela” che fu inaugurato il 27 giugno del 1889. Come si legge in un manifesto della stessa ditta, i proprietari “…animati da profondo sentimento di patriottismo verso la loro terra natia han voluto ora impiantare un nuovo ed assai Stabilimento balneare nella ridente spiaggia di questa città, sobbarcandosi a cure e spese non lievi, onde offrire al pubblico un comodo e decente locale di bagni… Eglino non risparmiarono alcun mezzo per rendere lo Stabilimento medesimo ben ripartito, validissimo e fornito di tutte le comodità indispensabili, non meno che di forme eleganti comprese le vasche nei camerini addetti alle donne”.

    Addirittura, per evitare l’affaticamento e il disagio degli avventori nello scendere e risalire la spiaggia per raggiungere lo stabilimento balneare, fu realizzato “un lunghissimo e solido ponte di circa 300 metri che unisce il paese fino al livello dello Stabilimento, evitando cosi la disagevole e diffaticante salita, massimo negli urenti calori del meriggio…”.  Lo Stabilimento era aperto tutti i giorni “dallo spuntare del sole al tramonto, ed ove ne venissero richiesti, i proprietari, eleveranno l’orario istesso sino alle ore 10 di sera”.  

    La ditta dei F.lli Marletta-Cellura oltre alla suddetta produzione, fino ai primi del Novecento, poiché disponeva nel suo terreno di diversi pozzi di acqua dolce, fu nelle condizioni di vendere acqua potabile in competizione a quella attinta dai pozzi comunali che spesso possedeva parametri chimico-fisici che non rispettavano la norma. A tal proposito, in un foglio volante con intestazione della ditta di cui sopra, reperito in un faldone dell’Archivio Storico comunale, si legge:  

“Terranova (Sicilia) 31. Dicembre 1900.

Ill.mo Sig. Colonnello del 74mo Fant.ria.

Siracusa”

    “Le deplorevoli condizioni in cui versa il nostro paese in fatto d’acqua potabile, costringevano i militari di questo distaccamento a fornirsi dell’acqua di Comiso, che molto scarsamente veniva dalla stazione ferroviaria mediante il non indifferente pagamento di due e più lire. Alla conoscenza di ciò, essendo in ottimi rapporti d’amicizia coll’egregio segnalato Maggiore Cav. Vincenzo Palasciano, ora Tenente-Colonnello di stanza ad Avellino che allora comandava il battaglione dell’84mo fanteria distaccato a Terranova, per fare piacere allo stesso, e per levare la penuria in cui versava la truppa, abbiamo offerto l’acqua del nostro fondo sito in contrada ex Caricatore, che per trovarsi in vicinanza d’una collina di sabbia,  è in grado di fornirne moltissima, di qualità ottima, naturalmente filtrata, e quindi superiore a tutte le altre del territorio, tutte inquinate, e rese ancora più guaste dalle condizioni del suolo”.

    “L’analisi dell’Ospedale militare di Messina prova l’esattezza del nostro asserto, e da ciò si deduce, che niuno meglio di noi è in grado di soddisfare ai bisogni del distaccamento che necessariamente richiede un trattamento igienico specie nell’acqua”.

    “Andato via il battaglione del Cav. Palasciano, la fornitura continuò sempre gratis, e siccome doveva durare per lunga pezza, si venne ad un contratto, mediante il quale ci stanziavano la ricompensa di trenta lire mensili, che in sostanza non è un gran che, se si considera che l’acqua viene estratta da pompe a macchina, le quali proteggono la limpidezza...”.

IL MERETRICIO A TERRANOVA DI SICILIA

Il caro amico Gino Alabiso, giornalista de “La Sicilia” nel dopoguerra e cultore di patrie memorie, scomparso alla veneranda età di 98 anni nel 2018, ricordava in un suo articolo su Gela, dal titolo “Quelle case chiuse dell’ex Piazza Mercato”, la chiusura dei cosiddetti “casini” nel settembre del 1958 scrivendo “…Sono passati esattamente 34 anni, ma gli anziani gelesi, tutte le volte che attraversano l’ex Piazza Mercato, lanciano con un pizzico di nostalgia uno sguardo al gruppo di abitazioni che ivi sorgono e che furono adibite come “case chiuse” fino al 20 settembre 1958…”. “…Le “case” di Gela erano frequentatissime, con tanti salotti riservati (per operai, per studenti, per professionisti, per clienti di elevata classe borghese) e facevano un lusinghiero giro di affari. Lo Stato faceva pagare delle forti tasse alle proprietarie di quelle “case” e così assumeva il ruolo di Stato-magnaccia”. Continuava ancora Alabiso con “…Ricordo che le “mondane” dell’ex Piazza Mercato si davano il cambio ogni 15 giorni. La “matresse” noleggiava delle carrozze su cui le nuove arrivate facevano sfoggio delle loro grazie con una lunga passeggiata lungo il Corso Vittorio Emanuele” (da Gino Alabiso - Viaggio nella memoria del 2003 - Ed. Promoter del Corriere di Gela); la scena della “mondana” in carrozza fu immancabilmente immortalata dal pittore gelese Salvatore Solito in un suo acquerello nel 1983. Fino alla chiusura delle case di tolleranza nel 1958 il giro delle “donnine” aveva sede soprattutto nell’albergo-ristorante “Gatto Nero” in piazza E. Mattei, un palazzo con modanature in stile liberty ristrutturato qualche decennio fa.

    La “tradizione” del meretricio in Italia, però, continuò imperterrita a livello privato negli anni a seguire sia da parte di donne singole, con relativi “protettori”, sia da parte dei gestori di diversi alberghi e pensioni che settimanalmente assicuravano “la coperta” agli avventori con la presenza ciclica di diverse meretrici reclutate da organizzazioni, a volte interregionali, dedite alla prostituzione; in molte città addirittura nacquero dei quartieri prevalentemente frequentati da prostitute. Negli ultimi decenni in Italia l’indecoroso atto della prostituzione, incrementato in particolare da organizzazioni criminali provenienti dall’estero, ha assunto caratteristiche tali da trasformare spesso tale fenomeno in una vera e propria coercizione a danno di molte giovani ragazze.

    Adesso, nel contesto della “professione più antica del mondo” di una Terranova di Sicilia di fine Ottocento si vuole dare un breve cenno soprattutto dal punto di vista sanitario. Per quanto atteneva alle malattie legate alla prostituzione, le donne a Terranova erano curate “senza niente pagare nel Sifilicomio. Gli uomini affetti da sifilide si facevano curare a domicilio oppure al dispensario gratuito dell’ospedale civico”; il Sifilicomio, assieme all’Ospedale civico e ad altre strutture pubbliche sanitarie, aveva sede nei locali dell’ex Convento dei PP. Cappuccini.

    Si riporta qui di seguito uno stralcio di un opuscolo dal titolo “Ospedale Comunale di Terranova, Reso-Conto dell’Amministrazione tenutasi nell’anno 1879 di Giacomo Russo, Direttore del Civico Ospedale” che così recita: “…Una sezione di ammalati del sesso più debole fu da me impiantata nelle stanze a primo piano accanto l’attuale baliato, divisa e tutt’affatto separata dalla sezione maschile che concentrai nel piano superiore. Avveniva che i curabili estranei s’introducevano nel piano superiore, e nel frattempo, di soppiatto, portavano agli ammalati in cura dei cibi e delle bevande nocive”. “…L’antico cortile posteriore del pio locale, oltrecchè ridotto orrido per incuria, si prestava a dei transiti clandestini di passanti indiscreti che si facevan lecito, dell’antico orto Cappuccini, immettersi in comunicazione col Sifilicomio. Da lì sconci deplorevoli ed inconvenienti…”.Nel Comune di Gela, sempre a fine Ottocento, esisteva una sola casa di tolleranza con la presenza media di dodici prostitute.

   In chiusura si riporta uno secondo stralcio tratto stavolta da un “Regolamento sulla Prostituzione del Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’Interno” del 1888 in cui all’art.1 si legge: “I Funzionari e gli agenti… provvedono: 1° a vigilare i luoghi di prostituzione nell’interesse dell’ordine pubblico e della igiene; 2° a facilitare la riabilitazione delle prostitute.” Inoltre, all’art.7 si legge: “E’ vietato aprire case di prostituzione in prossimità scuole ed edifizi destinati al culto, alla istruzione ed educazione, a caserme, ad asili d’infanzia o ad altri luoghi di riunione di gioventù”. All’art.18 si legge: “Di regola… o in casi di urgenza, gli ufficiali ed agenti di P.S., che accedono a case di prostituzione per ragioni di servizio dovranno, sotto minaccia di pene disciplinari, essere almeno in due, e in uniforme…”.

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