QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Settembre
2022
ARGOMENTI
Cartolina di oggi:
Tutti in posa sul Corso Vittorio Emanuele II
DITTA F.LLI MARLETTA-CELLURA
Fabbrica di Liquirizia e Molini per Grano
Stabilimento Balneare e Vendita di acqua potabile
IL MERETRICIO A TERRANOVA DI
SICILIA
Tutti in posa sul Corso Vittorio Emanuele II
La presenza
dell’autore dello scatto incuriosisce molta
gente che si ammassa davanti all’obiettivo con
al centro un giovane in posizione più alta per
mettersi in evidenza; a sinistra si osserva un
venditore ambulante con il suo carrettino,
mentre tra la gente s’intravvedono dei ragazzi e
delle donne con lo scialle in testa; sul bordo
del marciapiede destro si osserva un lampione a
petrolio. Le abitazioni che si vedono a destra
fino a via Marconi (già strada Conservatorio),
facevano parte del Palazzo Presti e, a seguire,
dei palazzi Guttilla, Panebianco, Minardi, Di
Bartolo, Fischetti e Ventura, mentre il palazzo
attiguo a via Catutti ad ovest, che compare a
sinistra nella cartolina, era quello della
famiglia Rosso di San Secondo-Russo-Iozza che fu
demolito verso la fine degli anni Sessanta per
dar posto ad un moderno stabile.
Il Corso Vittorio
Emanuele Il, arteria principale di Terranova di
Sicilia, prima del 1878 era denominata “Strada
del Corso” e ancor prima “Strada Maestra” (o “strata
ranni” in vernacolo), anche se l’originaria
strada principale della città in antico non era
il Corso ma l’attuale via G. Rossini, denominata
allora Rua Grande, con una diversa conformazione
rispetto ad oggi. La strada principale del Corso
con il prolungamento verso ovest di Corso S.
Aldisio e via Palazzi, lunga quasi tre
chilometri, fino ai primi decenni del
Novecento iniziava dal quartiere di Molino a
Vento e arrivava fino alla chiesa di San
Giacomo. Da quel punto in poi, continuava fino
al Cimitero Monumentale, snodandosi in mezzo a
una vasta area della collina coperta da orti,
frutteti e villini. Verso il 1850
l'amministrazione comunale s'indebitò fortemente
per realizzare il selciato delle principali vie
della città, e primariamente del Corso, con
basole di lava del Vesuvio e dell’Etna, dal
momento che le vie dell'abitato erano a fondo
naturale e, a volte, con il centro trasformato
in fogna a cielo aperto.
Il Corso in origine
faceva parte della “Strada Nazionale
Terranova-Piazza”, strada che attraversava il
centro cittadino e, snodandosi lungo il suo
percorso dal Cimitero Monumentale fino a Piazza
Umberto I, tagliava poi a nord sulla strada
Marina (oggi via Giacomo Navarra Bresmes) verso
“Porta Caltagirone”. Alla stessa strada
nazionale poi nel 1928 fu cambiata la
denominazione in “SS
115 Sud Occidentale Sicula”
con la gestione dell’A.A.S.S. (Azienda Autonoma
Statale della Strada), sigla che ancora si legge
su una pietra miliare del Corso rimasta ancora
“miracolosamente” integra, posta sul marciapiede
del Convitto Pignatelli.
La strada statale 115 (dal 1946 gestita
dall’ANAS), che dagli anni Cinquanta in poi non
comprende più il Corso ma la variante di via
Venezia, oggi collega le città di Trapani e
Siracusa passando per Agrigento, Gela e Modica.
Poche persone sanno
che Gela è il punto di arrivo della cosiddetta
E45,
una delle più lunghe strade europee di classe A
in direzione nord-sud con un percorso
complessivo di 5.190 Km che si snoda in 7 paesi
tra Italia, Austria, Germania, Danimarca,
Svezia, Finlandia per arrivare in Norvegia ad
Alta, a 70 Km. da Capo Nord, ben oltre il
Circolo Polare Artico, con un tracciato misto
autostradale, stradale e marittimo. Pensata per
la prima volta come “Strada dell’Asse” da
Mussolini e Hitler, a quanto sembra venne poi
realmente progettata negli anni ’50 per volontà
del deputato democristiano e segretario della
Democrazia Cristiana Benigno Zaccagnini. Negli
anni Settanta fu inserita nella strada europea
E7 per poi essere ribattezzata E45 nel 1975.
Sul retro della
cartolina viaggiata con un francobollo di 5
centesimi raffigurante re Vittorio Emanuele III,
si legge “SOCIETÀ AN. IT. INDUSTRIE GRAFICHE -
TORINO” e “Siena, lì 22/11/1909. Tanti baci dal
tuo aff.mo nipote Nicola Russo” all’indirizzo di
“Al Sig. Cav.e Uff.e Nicolò Russo, Corso
Vittorio Emanuele, Terranova, Sicilia”.
DITTA F.LLI MARLETTA-CELLURA
Fabbrica di Liquirizia e Molini per Grano
Stabilimento Balneare e Vendita di acqua
potabile
A Gela, fin dalla
seconda metà dell’Ottocento, esisteva in
contrada ex Caricatore, a est dell’area delle
attuali Mura Timoleontee, un importante
stabilimento per la lavorazione della liquirizia
e per la molitura del grano; realizzato della
ditta “F.lli
Marletta-Cellura”, lo stabilimento
primariamente produceva succhi di liquirizia e
radice di liquirizia in bacchette e trinciata di
varie qualità. Le macchine di produzione dello
stabilimento inizialmente funzionavano con forza
animale in quanto ancora qui non si disponeva di
motori meccanici a vapore.
Normalmente nella
fabbrica erano occupati 62 operai, di cui 16
maschi adulti e 46 donne, da 10 a 30 anni; la
produzione media annua, per 8 mesi di lavoro,
era di 400-500 quintali di succo e 150 quintali
di radice di liquirizia. Nei momenti di crisi la
produzione e il numero degli operai diminuivano,
addirittura in certi periodi la produzione era
legata alle richieste dei committenti.
I prodotti del
liquirificio particolarmente si smerciavano a
Catania e Palermo, ma anche all’estero con
Marsiglia, Ginevra, ecc. Il succo che era
spedito in casse e la radice in sacchi (da un
documento del “Ministero dell’Agricoltura,
Industria e Commercio - Annali di Statistica -
Roma 1895”). La fabbrica del liquirificio e la
molitura del grano negli anni Quaranta, furono
convertiti in “Oleificio Gela srl” che produsse
forse fino agli anni Sessanta, prima del suo
fallimento. Lo stabilimento così fu messo
all’asta ed acquistato nel 1973 dalla Sezione
Credito Industriale della Filiale di Catania
dell’allora Banco di Sicilia per 19 milioni
delle vecchie lire, istituto di credito con cui
il proprietario del liquirificio aveva acceso un
mutuo nel 1951. Dello stabilimento, che qualche
lustro fa è stato acquistato dalla COSIAM di
Francesco Greco, oggi sono rimasti una ciminiera
e i resti di diversi fatiscenti fabbricati.
Oltre al
liquirificio e alla molitura del grano, la ditta
dei F.lli Marletta-Cellura, nell’ultimo decennio
dell’Ottocento, impiantò sulla spiaggia
prospiciente il centro storico il “Grande
Stabilimento Balneare Gela” che fu inaugurato il
27 giugno del 1889. Come si legge in un
manifesto della stessa ditta, i proprietari
“…animati da profondo sentimento di patriottismo
verso la loro terra natia han voluto ora
impiantare un nuovo ed assai Stabilimento
balneare nella ridente spiaggia di questa città,
sobbarcandosi a cure e spese non lievi, onde
offrire al pubblico un comodo e decente locale
di bagni… Eglino non risparmiarono alcun mezzo
per rendere lo Stabilimento medesimo ben
ripartito, validissimo e fornito di tutte le
comodità indispensabili, non meno che di forme
eleganti comprese le vasche nei camerini addetti
alle donne”.
Addirittura, per
evitare l’affaticamento e il disagio degli
avventori nello scendere e risalire la spiaggia
per raggiungere lo stabilimento balneare, fu
realizzato “un lunghissimo e solido ponte di
circa 300 metri che unisce il paese fino al
livello dello Stabilimento, evitando cosi la
disagevole e diffaticante salita, massimo negli
urenti calori del meriggio…”.
Lo
Stabilimento era aperto tutti i giorni “dallo
spuntare del sole al tramonto, ed ove ne
venissero richiesti, i proprietari, eleveranno
l’orario istesso sino alle ore 10 di sera”.
La ditta dei F.lli
Marletta-Cellura oltre alla suddetta produzione,
fino ai primi del Novecento, poiché disponeva
nel suo terreno di diversi pozzi di acqua dolce,
fu nelle condizioni di vendere acqua potabile in
competizione a quella attinta dai pozzi comunali
che spesso possedeva parametri chimico-fisici
che non rispettavano la norma. A tal proposito,
in un foglio volante con intestazione della
ditta di cui sopra, reperito in un faldone
dell’Archivio Storico comunale, si legge:
“Terranova (Sicilia) 31. Dicembre 1900.
Ill.mo Sig. Colonnello del 74mo Fant.ria.
Siracusa”
“Le deplorevoli
condizioni in cui versa il nostro paese in fatto
d’acqua potabile, costringevano i militari di
questo distaccamento a fornirsi dell’acqua di
Comiso, che molto scarsamente veniva dalla
stazione ferroviaria mediante il non
indifferente pagamento di due e più lire. Alla
conoscenza di ciò, essendo in ottimi rapporti
d’amicizia coll’egregio segnalato Maggiore Cav.
Vincenzo Palasciano, ora Tenente-Colonnello di
stanza ad Avellino che allora comandava il
battaglione dell’84mo fanteria
distaccato a Terranova, per fare piacere allo
stesso, e per levare la penuria in cui versava
la truppa, abbiamo offerto l’acqua del nostro
fondo sito in contrada ex Caricatore, che per
trovarsi in vicinanza d’una collina di sabbia,
è in grado di fornirne moltissima, di
qualità ottima, naturalmente filtrata, e quindi
superiore a tutte le altre del territorio, tutte
inquinate, e rese ancora più guaste dalle
condizioni del suolo”.
“L’analisi
dell’Ospedale militare di Messina prova
l’esattezza del nostro asserto, e da ciò si
deduce, che niuno meglio di noi è in grado di
soddisfare ai bisogni del distaccamento che
necessariamente richiede un trattamento igienico
specie nell’acqua”.
“Andato via il
battaglione del Cav. Palasciano, la fornitura
continuò sempre gratis, e siccome doveva durare
per lunga pezza, si venne ad un contratto,
mediante il quale ci stanziavano la ricompensa
di trenta lire mensili, che in sostanza non è un
gran che, se si considera che l’acqua viene
estratta da pompe a macchina, le quali
proteggono la limpidezza...”.
IL MERETRICIO A TERRANOVA DI SICILIA Il caro amico Gino Alabiso,
giornalista de “La Sicilia” nel dopoguerra e
cultore di patrie memorie, scomparso alla
veneranda età di 98 anni nel 2018, ricordava in
un suo articolo su Gela, dal titolo “Quelle case
chiuse dell’ex Piazza Mercato”, la chiusura dei
cosiddetti “casini” nel settembre del 1958
scrivendo “…Sono passati esattamente 34 anni, ma
gli anziani gelesi, tutte le volte che
attraversano l’ex Piazza Mercato, lanciano con
un pizzico di nostalgia uno sguardo al gruppo di
abitazioni che ivi sorgono e che furono adibite
come “case chiuse” fino al 20 settembre 1958…”.
“…Le “case” di Gela erano frequentatissime, con
tanti salotti riservati (per operai, per
studenti, per professionisti, per clienti di
elevata classe borghese) e facevano un
lusinghiero giro di affari. Lo Stato faceva
pagare delle forti tasse alle proprietarie di
quelle “case” e così assumeva il ruolo di
Stato-magnaccia”. Continuava ancora Alabiso con
“…Ricordo che le “mondane” dell’ex Piazza
Mercato si davano il cambio ogni 15 giorni. La
“matresse” noleggiava delle carrozze su cui le
nuove arrivate facevano sfoggio delle loro
grazie con una lunga passeggiata lungo il Corso
Vittorio Emanuele” (da Gino Alabiso - Viaggio
nella memoria del 2003 - Ed. Promoter del
Corriere di Gela); la scena della “mondana” in
carrozza fu immancabilmente immortalata dal
pittore gelese Salvatore Solito in un suo
acquerello nel 1983. Fino alla chiusura delle
case di tolleranza nel 1958 il giro delle
“donnine” aveva sede soprattutto
nell’albergo-ristorante “Gatto Nero” in piazza
E. Mattei, un palazzo con modanature in stile
liberty ristrutturato qualche decennio fa.
La “tradizione” del
meretricio in Italia, però, continuò
imperterrita a livello privato negli anni a
seguire sia da parte di donne singole, con
relativi “protettori”, sia da parte dei gestori
di diversi alberghi e pensioni che
settimanalmente assicuravano “la coperta” agli
avventori con la presenza ciclica di diverse
meretrici reclutate da organizzazioni, a volte
interregionali, dedite alla prostituzione; in
molte città addirittura nacquero dei quartieri
prevalentemente frequentati da prostitute. Negli
ultimi decenni in Italia l’indecoroso atto della
prostituzione, incrementato in particolare da
organizzazioni criminali provenienti
dall’estero, ha assunto caratteristiche tali da
trasformare spesso tale fenomeno in una vera e
propria coercizione a danno di molte giovani
ragazze.
Adesso, nel
contesto della “professione più antica del
mondo” di una Terranova di Sicilia di fine
Ottocento si vuole dare un breve cenno
soprattutto dal punto di vista sanitario. Per
quanto atteneva alle malattie legate alla
prostituzione, le donne a Terranova erano curate
“senza niente pagare nel Sifilicomio. Gli uomini
affetti da sifilide si facevano curare a
domicilio oppure al dispensario gratuito
dell’ospedale civico”; il Sifilicomio, assieme
all’Ospedale civico e ad altre strutture
pubbliche sanitarie, aveva sede nei locali
dell’ex Convento dei PP. Cappuccini. Si riporta qui di seguito uno stralcio di un opuscolo dal titolo “Ospedale Comunale di Terranova, Reso-Conto dell’Amministrazione tenutasi nell’anno 1879 di Giacomo Russo, Direttore del Civico Ospedale” che così recita: “…Una sezione di ammalati del sesso più debole fu da me impiantata nelle stanze a primo piano accanto l’attuale baliato, divisa e tutt’affatto separata dalla sezione maschile che concentrai nel piano superiore. Avveniva che i curabili estranei s’introducevano nel piano superiore, e nel frattempo, di soppiatto, portavano agli ammalati in cura dei cibi e delle bevande nocive”. “…L’antico cortile posteriore del pio locale, oltrecchè ridotto orrido per incuria, si prestava a dei transiti clandestini di passanti indiscreti che si facevan lecito, dell’antico orto Cappuccini, immettersi in comunicazione col Sifilicomio. Da lì sconci deplorevoli ed inconvenienti…”.Nel Comune di Gela, sempre a fine Ottocento, esisteva una sola casa di tolleranza con la presenza media di dodici prostitute. In chiusura si riporta uno secondo stralcio tratto stavolta da un “Regolamento sulla Prostituzione del Ministro Segretario di Stato per gli affari dell’Interno” del 1888 in cui all’art.1 si legge: “I Funzionari e gli agenti… provvedono: 1° a vigilare i luoghi di prostituzione nell’interesse dell’ordine pubblico e della igiene; 2° a facilitare la riabilitazione delle prostitute.” Inoltre, all’art.7 si legge: “E’ vietato aprire case di prostituzione in prossimità scuole ed edifizi destinati al culto, alla istruzione ed educazione, a caserme, ad asili d’infanzia o ad altri luoghi di riunione di gioventù”. All’art.18 si legge: “Di regola… o in casi di urgenza, gli ufficiali ed agenti di P.S., che accedono a case di prostituzione per ragioni di servizio dovranno, sotto minaccia di pene disciplinari, essere almeno in due, e in uniforme…”.
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