DUE LIDI VICINI
GIUSEPPE BLANCO
RIDATECI IL PARCO DELLE RIMEBRANZE
DUE LIDI VICINI
La cartolina,
formato 14 X 9 cm., ritrae la spiaggia negli
anni Trenta con in primo piano due ingressi, a
distanza di qualche metro l’uno dall’altro, che
portano con delle passerelle divergenti ai
casotti e ai due stabilimenti balneari del “Lido
Gela”, a
sinistra, e del “Lido
Elios”, come si
legge appunto sugli archivolti degli gli stessi
ingressi, mentre una persona con cappello a
paglietta si avvia in uno dei due lidi. Come si
può osservare, a parte la spiaggia vuota, ancora
non compaiono i due bracci laterali completi dei
due lidi perché probabilmente le strutture sono
in fase di montaggio, quindi il periodo dovrebbe
riferirsi a prima dell’inizio della stagione
balneare.
I lidi di tavola
erano delle costruzioni in legname che erano
realizzate da privati sulla battigia ad ogni
inizio di stagione balneare e smontati
successivamente al termine di essa; tali
stabilimenti balneari possedevano spesso la
stessa forma e cioè un corpo quadrangolare,
disposto in buona parte in mezzo all’acqua, e
due bracci laterali ambo i lati; tale corpo
quadrangolare, in genere di 18 X 16 metri,
poggiava su un sottostante impalcato costituito
da diverse intelaiature di tavole e morali messe
in costa, fissate ad un rete di palafitte
collocate su file parallele distanti tar loro di
un metro e disposte a croce di Sant’Andrea.
Al centro tra i due
stabilimenti si osserva un bastimento a riposo,
una presenza non usuale in quella parte di
spiaggia, su cui vi sono dei ragazzi che
giocano, mentre quasi attaccata alla passerella
del lido Gela si osserva una delle due
costruzioni cilindriche con all’interno un pozzo
di acqua salmastra, acqua che tramite delle
tubazioni veniva convogliata alla vicina
centrale elettrica per il raffreddamento dei
suoi tre alternatori a corrente continua fin dal
1908 anno in cui fu avviata l’illuminazione
elettrica della città che sostituì (con 53
lampade ad arco voltaico e da più di mille ad
incandescenza) quella precedente prodotta con
fanali a petrolio. L’ubicazione dei due lidi, ad
est del Pontile sbarcatoio, è la stessa dove nel
1958 fu ubicata “La
Conchiglia”. Sul retro della cartolina la famiglia Scarpulla, in data 27 luglio 1934, invia “distinti saluti all’Ill.mo Alfredo Franceschielli, Ispettore Generale del Ministero degli Interni in via Mentana n.2 a Roma”.
GIUSEPPE
BLANCO
Il 22 aprile di
vent’anni anni fa mancava alla vita il caro
amico Prof. Giuseppe Blanco. Un uomo che grazie
al suo impegno letterario nel sociale, ha
rappresentato per diversi lustri un valido
riferimento culturale per la nostra città. La
sua scomparsa, avvenuta nel pieno
dell’esperienza e del vigore intellettuale, ha
rappresentato, non solo per i familiari, una
grave perdita; soprattutto per quanti ebbero
modo di conoscere le sue qualità di scrittore,
saggista, giornalista, e cultore di patrie
memorie.
Originario delle
vicina Niscemi, Giuseppe Blanco compì a Gela gli
studi superiori; dopo la licenza classica
intraprese, all’Università di Catania, lo studio
delle Lingue. Laureatosi a pieni voti, scelse di
insegnare Francese nella scuola; la locale media
primaria "E. Romagnoli" fu l’ultima ad averlo
come docente ed è proprio in questa scuola, dove
svolse per tanti anni anche la funzione di
vicepreside, che lasciò, nei giovani discenti in
particolare, i segni tangibili della sua
esperienza educativa. Notevole e affermata negli
anni fu la sua attività, in particolare nel
campo delle Lettere; più di venti, infatti, sono
le pubblicazioni che ci ha lasciato; dal saggio
su importanti personaggi dello scibile umano
allo scritto di storia patria e sempre con uno
stile di inconfondibile, rigore culturale e con
un modo di scrivere semplice, chiaro e
comprensibile; nei suoi scritti spiccano
equilibrio, moderazione e cultura ponderosa.
Del quotidiano di
Catania "La Sicilia" fu un valente
collaboratore, prima come corrispondente della
pagina provinciale e poi come saggista della
prestigiosa terza pagina; proprio su di essa
ebbe modo di esprimere il meglio del suo lavoro
con articoli originali e di interesse
prevalentemente storico-letterario tanto da
ricevere gli apprezzamenti di autorevoli docenti
accademici dell'Isola. In ambito locale, con il
suo impegno, frutto di una dedizione e di un
affetto alla città che lo accolse come figlio,
ebbe il pregio di contribuire all’elevazione
culturale di questa popolazione spesso dimentica
del possedere un retaggio millenario di civiltà.
Infatti, oltre a collaborare con diversi
giornali ed emittenti locali, fu fondatore e
presidente dell'Archeoclub d`Italia, una
associazione di volontariato per la conoscenza,
salvaguardia e tutela dei beni culturali. Fu
proprio in questa associazione che diede il
meglio della sua energia; numerose furono,
infatti, le attività portate avanti dall'Archeoclub
sempre con spirito battagliero e con
disinteressato amore per i beni culturali.
Dicevamo che Giuseppe
Blanco produsse venti pubblicazioni, ne
ricordiamo alcune più importanti: "Voltaire -
rapporti letterari con Parini e Leopardi",
pubblicazione molto apprezzata, perchè allora
rappresentò una novità nel campo della
letteratura comparata italiana e francese;
"Rossini francese", "Voltaire e Goldoni" e
"Bellini a Parigi" che gli meritano diverse
qualificate recensioni su riviste parigine.
L'ultimo dei lavori, edito dal compianto Ugo
Randazzo, fu "Mario
Gori opera poetica",
un pregiato e ponderoso volume che comprende
notizie biografiche e commenti analitici della
poesia Goriana oltre alle belle liriche di Mario
Gori, piene di sentimento e di potenza
espressiva. Questo libro ebbe successo in campo
nazionale e venne favorevolmente recensito in
molti quotidiani. Alcuni mesi prima che il male
spegnesse inesorabilmente la vita dell’amico
Blanco, gli venne assegnato a Pisa l’ambito
premio letterario "Le Regioni", per la sezione
saggistica, una manifestazione curata dalla
poetessa Renata Giambene Minghetti e organizzata
dal Centro Editoriale Internazionale di Roma. Giuseppe Blanco è certamente da annoverare tra quegli uomini che con il loro impegno hanno concorso e concorrono a tenere alto il nome della nostra città che grata, in segno di doveroso e giusto riconoscimento, lo rende degno di essere ricordato nella più remota posterità.
RIDATECI IL PARCO DELLE RIMEMBRANZE
Il 24 luglio del 1927,
alla presenza del gerarca ragusano Filippo
Pennavaria (uomo di spicco del fascismo
siciliano), di personalità civili, militari e
religiose e con un gran concorso di popolo, in
contrada
Molino a Vento
si svolse una patriottica manifestazione in cui
furono inaugurati il
Parco delle Rimembranze
e, a ridosso della colonna dorica, il monumento
ai caduti nostrani della Grande Guerra.
Gela, con l’erezione di
tale monumento (che non è dedicato al milite
ignoto come erroneamente si crede), volle
ricordare ai posteri l’olocausto della vita dei
suoi figli nella Grande Guerra contro lo
straniero austriaco. Il monumento, opera dello
scultore palermitano Pasquale Civiletti, è
composto da due parti; una piramide-obelisco in
pietra calcarea, alta circa cinque metri, con la
scritta “Agli
artefici della vittoria”
e un fante in bronzo realizzato dalla
Fonderia Laganà
a Napoli. Ad ornamento del monumento ai quattro
angoli si osservano quattro bombe da 240 mm.,
cimeli di guerra donati alla nostra città dalla
Direzione
dell’Artiglieria del Regio
Esercito di
Napoli. Recentemente alla stele sono state
aggiunte altre lapidi tra cui un elenco
nominativo di 600 soldati terranovesi deceduti
durante la Grande Guerra realizzato dallo
scrivente.
Ma quanti furono i nostri
concittadini che morirono nella guerra del
1915-18? Il compianto cultore di patrie memorie
Dott. Francesco Savà, nel suo libro “Gela
Eroica”,
riportò 520 nomi di soldati deceduti, però,
senza distinzione nella Grande Guerra, in
Africa, in Spagna e nell’ultimo conflitto
mondiale. Comunque, in base ad una serie di
ricerche, condotte in particolare nell’Archivio
storico della locale Biblioteca comunale, lo
scrivente in una sua pubblicazione del 2019,
sponsorizzata dalla Raffineria di Gela dell’ENI,
ha ritenuto che il numero di gelesi caduti nella
guerra italo-austriaca possa superare
abbondantemente le 600 unità. Quindi
per quanto
riguarda il totale dei caduti nelle suddette
guerre, il numero indicato nella pubblicazione
del Dott. Savà dovrebbe essere moltiplicato
almeno per 10.
Nel
Parco delle Rimembranze,
tutt’intorno al
monumento, furono piantati degli alberi che
riportavano su targhette in ferro smaltato i
nominativi dei caduti terranovesi della Prima
Guerra Mondiale, ma già nel dopoguerra le stesse
non esistevano più. Non solo, ma quando nel 1981
l’area del Parco fu interessata dagli scavi
archeologici per mettere in luce i resti
dell’acropoli, anche buona parte degli stessi
alberi fu eliminata e tutta la sua area fu
recintata; quando poi quel suggestivo suo
belvedere fu eliminato per consentire altri
scavi, praticamente il Parco delle Rimembranze
fu smantellato e quindi sottratto totalmente
alla pubblica fruizione. E di questa, a modo di
vedere dello scrivente, “indebita sottrazione”
purtroppo le amministrazioni comunali non si
sono mai opposte, forse non se ne sono nemmeno
accorte.
Sarebbe il caso di ritornare a proporre il
recupero di questa area dell’ex Parco delle
Rimembranze e, con le dovute trasformazioni,
portarla all’originaria pubblica fruizione,
anche per rivalutare la stessa are archeologica
ma anche una zona, quella del quartiere Molino a
Vento, che oggi risulta decentrata e con la sola
funzione di posteggio d’auto. E alla base di
questa proposta c’è anche una promessa fatta
dallo scrivente a Pino Samparisi, un caro amico
recentemente scomparso, che abitava in tale
quartiere. Qualche anno fa lo scrivente propose all’Amministrazione comunale di traslocare il monumento ai caduti terranovesi della Grande Guerra a Largo San Biagio, nell’area di fronte il cimitero monumentale che proprio recentemente è stata rimessa a nuovo che, per evitare che diventasse un posteggio d’auto, è stata addobbata con delle fioriere. Comunque, a parere dello scrivente, si ribadisce che sarebbe opportuno ubicare proprio su questa superficie il dimenticato Monumento ai Caduti non fosse altro per far conoscere a queste nuove generazione quello che c’è dietro di storia patria e cultura. |