QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Ottobre 2023
ARGOMENTI
A
partire dal mese di gennaio si è iniziato a
scrivere sulla storia di Gela, dalla sua
fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E
ciò con il contributo iconografico del pittore
Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da
Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese
della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si
scrive la nona puntata dal titolo
"Distruzione definitiva di Gela". |
9 - Distruzione definitiva di Gela
Restituire al Santuario di Gela
l’icona bizantina di Maria Ss. d’Alemanna
Cartolina di oggi
Orto Fontanelle
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DISTRUZIONE DEFINITIVA DI GELA
Il 282 a.C.
rappresenta una data esiziale per i popoli del
Mar Mediterraneo e del mondo greco siceliota
poiché cessa l’esistenza dell’”immanisque”
Gela, dopo
quattro secoli di civiltà e grandezza assieme
alla fama di molti suoi illustri figli.
Ippocrate: con lui Gela iniziò una fase
espansionistica alla conquista di tutta la
Sicilia sud-orientale per costruire un grande
stato con Gela capitale, sotto il suo governo,
la città diventò la più fiorente e potente tra
le colonie greche in Sicilia; Gelone: “Signore
di Gela” e uomo di grande talento politico,
vincitore nel 480 a.C. della battaglia di Imera
tra sicelioti e cartaginesi; Eschilo: trageda
ateniese che passò qui gli ultimi anni della sua
feconda vita; Pausania: filosofo e medico;
Archestrato: celebre erudito nell’oratoria e
nell’arte poetica;
Timagora: famoso
sofista; Apollodoro: importante poeta della
“Nuova Commedia”. A questi si aggiunge anche
Euclide, il più grande matematico
dell’antichità, probabilmente anche lui di
origini geloe.
La scena,
rappresentata da Occhipinti con un equilibrato
valore prospettico e compositivo, si riferisce
alla fase finale della vita della città, rasa al
suolo dal tiranno agrigentino Phintia, mentre
tra i ruderi si vede la popolazione geloa che,
al comando dei guerrieri vincitori, è
trasferita, secondo le antiche usanze riservate
ai popoli sconfitti, alla foce dell’odierno
fiume Salso, per la fondazione della città di
Phintiade, l’odierna Licata.
Il tiranno Phintia è
ritratto su una quadriga con un lungo chitone
bianco, con lo scettro emblema del potere e con
la fascia rossa sulla testa quale simbolo di
regalità, mentre l’auriga sembra tirare le
redini per rallentare la corsa dei cavalli. I
colori, magistralmente dosati sulla scena
principale, fanno risaltare straordinariamente i
personaggi e i quattro cavalli della quadriga
sul cui bordo è visibile il disegno del meandro,
elemento comune decorativo nell’arte greca.
L’”immanisque”
città, cioè la grandissima Gela nominata da
Virgilio nel terzo libro dell’Eneide, così
scompare dalla scena della civiltà greca del
Mediterraneo, sulle sue rovine ormai incombe una
lunga notte di silenzio che durerà più di un
millennio fino alla sua rinascita medievale con
la denominazione di Heraclea-Terranova.
Final destruction of Gela
Phintias is
portrayed on a chariot clothed in a long white
tunic, holding a scepter as emblem of power, and
wearing a red band on his head as a symbol of
royalty, while the charioteer seems to pull on
the reins to slow the horse race. The colors,
masterfully dosed on the main stage, make the
characters and the four horses stand out
strikingly. The image of the meander, common
ornamental element in Greek art, decorates the
edge of the quadriga.
The
immanisque city, that is the great Gela
appointed by Virgil in the third book of the
Aeneid, disappears from the scene of the Greek
civilization of the Mediterranean. On its ruins,
a long night of silence that will last more than
a millennium until its medieval revival under
the name of Heraclea-Terranova.
Restituire al Santuario di Gela l’icona bizantina di Maria Ss. d’Alemanna
Molte
persone si sono poste spesso delle domande e
chiesto chiarimenti sul culto religioso
praticato da tempo immemorabile nel Santuario di
Maria Ss. d’Alemanna Patrona di Gela, edificio
di culto ritenuto sacro dalla popolazione.
Pertanto, sulla base di diverse documentazioni,
si è arrivati a stabilire che a Gela questo
luogo di culto fu istituito a partire dal 1200
in tardo medioevo, quasi in parallelo con fa
fondazione federiciana di Gela (allora Heraclea),
ed edificato sullo stesso sito di un precedente
santuario di epoca greca del
VII-VI secc. a.C. dedicato
a Demetra e Kore.
Questo luogo di culto, per chi non ne fosse a
conoscenza, ha anche il privilegio di mantenere
ancora intatta una botola dove nel 1476 fu
dissotterrata, casualmente da un contadino che
arava la terra, l’icona bizantina di Maria Ss.
d’Alemanna salvata precedentemente dalla
furia iconoclasta dell’islam.
E anche se negli
anni Trenta il quadro con l’immagine della
Patrona sia stato trasferito definitivamente in
chiesa Madre, i fedeli sanno che “la Madonna è
rimasta” nel posto dove fu ritrovata la sua
immagine dipinta, tant’è che si sta prendendo
l’uso, probabilmente per ritornare ad
un’antichissima tradizione, di prelevare
dall’interno della sopra citata botola un po’ di
terriccio e metterlo in un sacchetto per
portarselo a casa per una spiritualità sacra di
protezione in ogni necessità.
Il Santuario dopo
tutta una serie di vicissitudini, che a patire
dal XIII secolo lo hanno visto alternativamente
diroccato e ricostruito per ben cinque volte,
grazie all’impegno di un comitato cittadino, nel
1985 dalla Diocesi di Piazza Armerina è stato
riaperto al culto ed alla fruizione popolare. L’illecita detenzione e la non restituzione del quadro della Madonna d’Alemanna, continuano purtroppo fino ad oggi con il silenzio di chi dovrebbe decidere per la giusta e reclamata restituzione, non fosse altro per il dovuto rispetto religioso di un’antica tradizione identitaria che vedeva il quadro della Vergine in pianta stabile al Santuario. Nel capitolo LVI dell’opera di Giuseppe Pitrè del 1888 sulle tradizioni popolari in Sicilia, dal titolo “La festa di S. Maria d’Alemanna in Terranova Sicula” a cura di Aurelio Rigoli, si legge: “…s’innalza solitaria, tra vasti e ubertosi campi d’intorno, un’elegante chiesuola, sacra alla B.V. Maria d’Alemanna, detta comunemente Manna. Si venera quivi, da remotissimo tempo, una pregevole immagine dell’Augusta Madre di Dio del medesimo titolo, alla quale, siccome Patrona della Città, si celebra ogni anno la festa il dì 8 settembre con rito solenne…”. Ed ancora “…Questa Madonna, già intesa Saccaredda, cioè acquaiola, perchè apportatrice di piogge, viene condotta in città tre volte l’anno: in Gennaio alla chiesa del Carmine per la festa del Crocifisso, e nella parrocchia in Maggio e in Settembre, festa della Natività di Maria…”.
.
Quindi lì da
secoli, come ci riferisce anche lo storico
locale Salvatore Damaggio Navarra nella sua
pubblicazione “Maria d’Alemanna in Terranova”
del 1915, trasportata dai contadini nella
“macchinetta” (un supporto di legno dorato del
1792) era trasferita in città in corteo solenne
tre volte l’anno, presenti il Governatore e i
Magistrati in eleganti carrozze, seguita dal
popolo dei fedeli; in particolare, in gennaio
alla chiesa del Carmine, in occasione
dell’annuale ricorrenza dello scampato pericolo
dal terremoto dell’11 gennaio del 1693. Allora,
come riportano le cronache storiche, le scosse
telluriche furono così violente che distrussero
molte città dell’Isola causando molte vittime
specialmente nella sua parte orientale.
Terranova e i suoi abitanti non ebbero nessun
danno e ciò, tradizione popolare vuole, grazie
alla protezione della Vergine a cui la
popolazione terranovese in uno slancio corale di
fede si rivolse in preghiera. Ancora il popolo
ricorda i famosi versi coniati in quella
drammatica occasione:
“ALL’UNNICI ‘I JNNARU A VINTUN’URA
SI VITTI E NUN SI VITTI TERRANOVA;
SE UNN’ERA PI’ MARIA, NOSTRA SIGNURA,
PETRI SU’ PETRI FURRA TERRANOVA”
Le altre due volte
l’icona bizantina della Madonna era trasferita
in chiesa Madre rispettivamente nel mese di
maggio con una solenne esposizione, e
nell’ultima domenica di agosto per dar corso ai
festeggiamenti patronali del successivo otto di
settembre che sono stati sempre grandiosi e
religiosamente sentiti. Nel mese di maggio la
festa durava l’intero mese, ed i devoti, molti a
piedi scalzi per un voto espresso alla Madonna,
si recavano al santuario recitando il rosario e,
ad ogni gloriapatri, la giaculatoria:
“BEDDRA 'N TERRA, BEDDRA 'N CELU,
BEDDRA SITI 'N PARADISU;
BEDDRU ASSAI È ‘U VOSTRU VISU.
PI SSU FIGGHIU VOSTRU 'N BRAZZA,
CUNCIRÌTIMI 'NA GRAZIA!
CUNCIRITIMÌLLA A MIA,
CHI VI DICU 'A VIMMARIA”.
Ma non sono stati
solamente il Pitrè e il Damaggio a scrivere del
culto della Madonna d’Alemanna, anche prima e
dopo di tali autori esistono dei riferimenti
come quelli
del “Notar Pietro de
Fronda” d'Adernò (Adrano),
di Rocco Pirri nel 1644, di Antonio Mongitore
nel 1721, di Vito Amico nel 1760, di Gioacchino
Di Marzo nel 1855, del reverendo Luigi Aliotta
nel 1954 e dello scrivente nel 2020.
ORTO
FONTANELLE
La cartolina di oggi
ritrae una zona di un quartiere che si trova a
sud del Municipio, luogo che, chissà da quanto
tempo, è denominato “Orto Fontanelle”; tale
denominazione molto probabilmente fu coniata in
relazione a diverse vene d’acqua sotterranee che
prima del loro imbrigliamento, nei secoli scorsi
sgorgavano in superficie. Addirittura da una di
queste sorgenti si ha notizia in un manoscritto
secentesco che uscisse acqua “miracolosa” per la
cura degli occhi.
La zona, ancora allo
stato naturale e con un declivio verso il
lungomare, nella prima metà degli anni Cinquanta
fu sistemata con la realizzazione di un ripiano
sulla cui superficie si ricavarono una villetta
di una modesta superficie, una strada a sud che
porta alla confinante via Vasile prospiciente il
lungomare, una piccola chiesa, un asilo (nel
1956, dedicato all’allora Vescovo della Diocesi
di Piazza Armerina Mons. Antonino Catarella) e
un
Oratorio femminile, tutte strutture accudite
dalle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice. Al
centro della piccola villa fu ubicata una vasca
d’acqua con al centro un putto di bronzo che,
però, diversi decenni fa è stato asportato e
trafugato.
Intorno al 1950, in
un periodo d’intensa attività turistico-balneare,
sulla zona a sud-ovest della villetta, dal Sig.
Gioacchino Turco fu costruita una struttura
ricettiva denominata Albergo Mediterraneo.
Successivamente, con la crisi del turismo gelese
sopravvenuta all’inizio degli anni Sessanta dopo
la costruzione del Petrolchimico, l’albergo dopo
alterni periodi chiuse i battenti e a Gela non
fu il solo a cessare la propria attività. Tale
situazione costrinse diversi decenni fa la
moglie del proprietario alla vendita
dell’immobile che fu acquistato dal Cav.
Totuccio Granvillano il quale fece mettere in
atto una completa ristrutturazione dell’albergo
che, però, per diversi motivi ancora non è stata
terminata.
Sul retro della cartolina senza francobollo forse perché asportato, si legge in diverse lingue: “Asilo Infantile e Panorama”; ed ancora, sulla parte inferiore del bordo: “4 ed. Magazzini U.T.I.L. - Gela Riproduzione vietata” e “Fototipia Berretta - Terni”. La cartolina, indirizzata alla Sig.na Tomaselli Carmelina a Caltanissetta, riporta la scritta “Auguri per il compleanno. Saluti e Baci da Tutti noi Piave. Via M. Rapisardi 4/6 Gela”. |