QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Ottobre 2021

Argomenti

CARTOLINA DI OGGI

SALUTI COL PIROSCAFO POSTALE

 

RICORDI DEL QUARTIERE CANALAZZO

CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO IN RUSSIA

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SALUTI COL PIROSCAFO POSTALE



    La cartolina abbastanza rara tra i collezionisti, risalente ai primissimi anni del Novecento e prodotta dall’editore N.R.M. (forse acronimo di Norman Rockwell Museum produttore di cartoline), ritrae una fanciulla, con lo sguardo un po’ sornione e un sorriso misterioso quasi giocondesco, mezza sdraiata su una barca a vela con uno sfondo di mare dove naviga un piroscafo, quest’ultimo forse riferibile a quello postale che effettivamente faceva qui rotta; la scritta in stile liberty “Saluti da Terranova” e la scritta a penna “e baci affettuosi Angelina si stagliano su una composizione di nove vedutine della città, disposte in sequenza sulla vela e sulla fiancata della stessa barca, che ritraggono il Corso all’altezza di piazza Umberto I, via XX Settembre (già Corso Borgo e oggi Corso S. Aldisio) dall’alto durante una manifestazione popolare nel 1903, ancora un tratto del Corso, la chiesa Madre, ancora via XX Settembre, il comunale “Teatro Garibaldi” di piazza Sant’Agostino (oggi Teatro Eschilo), il palco musicale (l’armonium), da tempo rottamato, della Villa comunale e il busto marmoreo dedicato a Umberto I nella piazza omonima, trasferito nel 1952 all’interno della Villa comunale dove tuttora si trova dimenticato e con i baffi spezzati. Sul retro della cartolina, un francobollo di due centesimi con lo stemma sabaudo e le scritte in diverse lingue “Carte Postale” e “Unione postale universale”; si legge anche il destinatario: “Alla Gentilissima Signorina Lina Briuccia Agnello - Palermo - Piazza Castelnuovo Casa propria”. Le dimensioni della cartolina sono 14 X 9 cm.

RICORDI DEL QUARTIERE CANALAZZO

    Il quartiere “Canalazzu” (ovvero “canalaccio”, peggiorativo di canale), assieme a quelli di “strata ‘u Signuri” e di “Sant’Austinu”, è compreso in uno degli otto quadranti, quello di nord-est, in cui è diviso il centro storico murato di Gela; la denominazione di questo quartiere e della strada che l’attraversa, assegnata in tempi lontani per consuetudine popolare, è probabile che sia nata in relazione al fatto che esisteva un condotto sotterraneo in cui si incanalavano acque bianche e di fogna e che attraversando le mura di cinta sbucava nella sottostante strada “Circonvallazione Nord”, oggi Via Generale Cascino, nell’attuale area dove fino a qualche lustro fa era ubicato un distributore di carburanti; le acque di scolo, prima di disperdersi nel terreno della campagna che degradava verso la pianura, passavano sotto il ponte “de’ manuminagghi” ubicato sulla stessa via; spesso l’acqua cloacale che usciva dal condotto era utilizzata per irrigare gli orti a nord di via Gen. Cascino e tale irrigazione non era la sola dal momento che “…Impedire che le acque luride, provenienti dalla fognatura cittadina e le acque di pioggia delle strade di circonvallazione, ove non esiste fognatura, servano per irrigare gli orti.” (stralcio di una lettera del Sottoprefetto Bonfanti inserita in una “Relazione al Consiglio Comunale sull’epidemia colerica del 1911 in Terranova di Sicilia”). Alla strada “Canalazzu” nel 1946, assieme a tante altre strade di Gela, fu cambiata la denominazione in via Ciro Menotti.

    La maggior parte delle abitazioni di questo quartiere, e non solo di esso, fino agli anni Cinquanta era costituita di case a pianoterra, quasi sempre un monovano con muri in pietra e gesso, che possedevano in alto ai lati dell’ingresso una o due finestre, antico retaggio di una consuetudine medievale; inoltre all’interno era ricavato un ammezzato, “‘u sularu”, utilizzato sia come deposito di paglia, sia come dormitorio quando le famiglie erano numerose. Molto spesso all’interno delle abitazioni, che il più delle volte non possedevano nemmeno la pavimentazione, esisteva una promiscuità con galline, conigli e muli da soma o da traino di carretti; situazione impensabile oggi ma allora normale per molte famiglie le quali, per mancanza di spazio, conducevano una vita che si svolgeva in gran parte della giornata davanti all’uscio e sulla strada che diventava spesso campo di gioco per i bambini, ma anche salotto e soggiorno per le donne le quali sedute in cerchio confabulavano tra loro e attendevano al cucito; sempre sulla strada le donne facevano il bucato, preparavano le conserve di pomodoro, “l’astrattu” e “i’ chiappi  e battevano con le mazze le spighe di grano per liberarne i chicchi dalla pula; nel pomeriggio del mese di maggio recitavano insieme il rosario e cantavano inni di devozione alla Madonna.

    Fino ai primi anni del Novecento nelle case “do’ Canalazzu” ma anche negli altri quartieri della città, la presenza della latrina o gabinetto, per non parlare dell’acqua corrente, era quasi un lusso e, pertanto, per i bisogni fisiologici si utilizzavano dei vasi particolari, “cantri” e “rinali”, che dopo l’uso erano svuotati nel cuore della notte o direttamente sulla strada, che diventava una fogna a cielo aperto, oppure durante la sera all’interno di botti di legno che, disposti su carri, giravano per la città per conto del Comune e il cui conducente (il cosiddetto “’u patruni da’ ‘mmerda, passa”) si faceva preannunciare dal suono di una trombetta. Il gabinetto, quasi sempre di tipo alla turca rudimentale, era ubicato spesso dietro la porta d’ingresso, nascosto da una tenda o dietro un mobile, e coperto da un pezzo di tavola; si può immaginare lo stato d’igiene che allora poteva esserci considerando anche il fatto che ancora le case non erano provviste nemmeno di acqua corrente che per la bisogna in questo quartiere era attinta dalle vicine fontanine “do’ chianu ‘i Sant’Austinu” (oggi Piazza Sant’Agostino) e “do’ chianu do’ Canalazzu” (oggi Largo Sammito), fontanine queste, ma anche tutte le altre della città, eliminate dalle varie amministrazioni comunali a partire dalla fine degli anni Cinquanta assieme ai basolati di pietra ragusana e di lava dell’Etna. 

    ‘U Canalazzu” era abitato in prevalenza da contadini e braccianti e da qualche “massaru” (titolare o fittavolo di una masseria) che possedevano o conducevano in mezzadria piccoli appezzamenti di terreno da cui traevano le sostanze per il loro frugale mantenimento. La vita di questo quartiere molto popoloso, così come tanti altri della città, iniziava già molto prima del sorgere del sole; infatti, già a partire dalle prime ore dell’alba i contadini si avviavano al lavoro dei campi con i loro mezzi e, dopo aver attraversato la “strata do’ Canalazzu”, “‘u Chianu ‘i Sant’Austinu” e “‘a strata ranni”, uscivano dalla città da Porta Vittoria andandosi ad aggiungere alla lunga fila di carretti e quadrupedi che dalla circonvallazione nord, nel quartiere “Carrubbazza”, si dirigeva nella luce crepuscolare del mattino verso la campagna. Per ritornare poi all’avemmaria, dopo una giornata di intenso e faticoso lavoro; durante il tragitto in città, nel silenzio della crepuscolo serotino, risuonavano il rumore delle ruote dei carretti sul basolato, le voci dei contadini che stimolavamo gli animali e i loro canti monotoni e spesso melanconici come cantilene di antiche tradizioni arabe. Uno di questi canti dei carrettieri recitava così:

Tira mureddru miu, tira e camìna

ca’ strata è longa e ‘a casa è luntana.

Co’ scrusciu da’ rota e ‘a catina,

tira, mureddru, ‘nda nostra Chiana.

Tira, cavaddru miu, tira e camìna,

cc’u friddu è forti e l’ossa ni trapàna.

CORPO DI SPEDIZIONE ITALIANO IN RUSSIA

   Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (C.S.I.R.) e l'8ª Armata Italiana in Russia (ARM.I.R.), subentrata allo stesso C.S.I.R., furono inviate sul fronte orientale a partire dal luglio del 1941. La loro partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale, dopo l’impegno militare italiano nei Balcani e in Africa settentrionale, rappresentò uno sforzo notevole per le loro stentate capacità militari con il risultato di ingenti perdite, a parte la bruciante sconfitta.

    Infatti, tra il 5 agosto 1941 e il 30 luglio 1942, si annoverarono nel C.S.I.R. 1.792 tra morti e dispersi con 7.858 tra feriti e congelati. Nei mesi a seguire il bilancio dei caduti impinguò tali numeri fino ad arrivare al marzo del 1943 a 114.520 militari tra morti e dispersi su 230.000 militari italiani, a parte le enormi perdite di materiale bellico. Tale numero elevato di italiani caduti è riferito ai combattimenti sul Don e agli stenti durante la ritirata (feriti, congelati gravi, ammalati, ecc.) e le marce di trasferimento verso i campi di prigionia compresi i successivi trasferimenti in treno, ma anche durante la loro prigionia in quanto i russi non furono in grado di garantire le condizioni minime di sopravvivenza ai militari catturati, qualcosa come mezzo milione tra tedeschi (la maggior parte), romeni, italiani e ungheresi. I prigionieri italiani in Russia furono 85.000, di essi ritornarono in Patria solamente 10.000.

    Quanti gelesi parteciparono alla sciagurata campagna italiana di Russia; dai dati in possesso dello scrivente, allo stato attuale delle ricerche, il numero è di 75 soldati, di cui 32 dispersi e 7 deceduti sul fronte russo, pertanto, quelli che ritornarono vivi sarebbero stati in 36. In merito al conferimento di medaglie e croci di guerra al Valor Militare si sono avute una Medaglia d’Oro per il Ten. degli Alpini Giulio Siragusa, una medaglia d’Argento per il Caporal maggiore dei Bersaglieri Caruso Rosario, due medaglie di Bronzo per Bruscia Ignazio (Soldato del 15° Battaglione. Guastatori di Fanteria) e Occhipinti Antonio (Sottotenente del 120° Rgt. Artiglieria Motorizzato) e 2 Croci per Abela Gaetano (Aviere motorista delle Camicie Nere della Regia Aeronautica Militare italiana) e Catania Francesco (Gruppo Camicie Nere, Battaglione “M”).

    In chiusura ci piace riportare qualche riferimento biografico e il testo della motivazione della Medaglia d’Oro al valor Militare alla Memoria del nostro conterraneo: Siragusa Giulio di Angelo e di Marturano Margherita, nato a Terranova di Sicilia il 1° maggio 1916. Dopo aver conseguita la maturità classica, fu ammesso nel 1937 ad allievo ufficiale di complemento di artiglieria divisionale nella Scuola di Brà. Nominato sottotenente del reggimento, fu destinato nel giugno 1940 al fronte alpino occidentale e successivamente, pochi mesi dopo, partì per l’Albania dove partecipò fino all’aprile del 1941 alle operazioni del Regio Esercito Italiano svoltesi sul fronte greco. Rimpatriato, e promosso tenente di complemento (del 4° Rgt. di Artiglieria Alpina, Gr. “Mondovì”, 10a Btr.), nell’agosto del 1942 partì col reparto per il fronte russo per… non ritornare più! Cadde, infatti, eroicamente in campo a Novo Postojalovka sul fronte russo il 20 gennaio 1943.

    La sua eroica morte non passò inosservata tant’è che dall’allora Regno d’Italia ricevette la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria con la seguente motivazione: Nel corso di un'estenuante ripiegamento, compiuto sotto la costante pressione delle preponderanti forze nemiche, sostenute da potenti mezzi corazzati, impegnato in violento combattimento, portava i pezzi della sua sezione in linea con reparti alpini e si batteva con indomita tenacia. Caduti i serventi, alimentava l'impari lotta col suo valoroso esempio, azionando personalmente un pezzo. Esaurite le munizioni, inutilizzata la sezione, quando ormai tutto crollava attorno a lui, benchè ferito, alpino tra gli alpini, alla testa di un pugno di eroici superstiti, si slanciava audacemente in cruento assalto, riuscendo a contenere l'irruenza nemica. Nell'estremo impeto, colpito mortalmente, cadeva nella posizione tenacemente contesa, perpetuando, col sacrifizio, le tradizioni dell'arma gloriosa del tempo. Fronte russo, Novo Postolajewka 2 gennaio 1943”.

    Intanto qui di seguito, come frutto di una ricerca dello scrivente, si riportano i nomi di settantaquattro fanti gelesi del C.S.I.R., di cui allora 32 dichiarati dispersi, che furono coinvolti nella irresponsabile e disastrosa scelta del regime fascista di partecipare assieme ai tedeschi alla campagna di invasione della Russia.

    1. Abela Gaetano, 2. Alabiso Antonino (disperso sul fronte russo), 3. Alario Giuseppe, 4. Aliotta Pietro, 5. Amato Nunzio (disperso sul fronte russo), 6. Ascia Rocco, 7. Bonelli Emanuele (invalido di guerra), 8. Bruscia Ignazio (Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla memoria), 9. Bue’ Salvatore, 10. Canni’ Rosario (disperso sul fronte russo), 11. Carano Cristoforo, 12. Caruso Fortunato (disperso sul fronte russo), 13. Caruso Rosario (decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare), 14. Cascino Pasquale (invalido di guerra), 15. Catania Francesco di Angelo (decorato con Croce al Merito di Guerra), 16. Cocchiara Nunzio (deceduto in campo di prigionia a Uciostoje), 17. Cocchiaro Damiano di Emanuele, 18. Damante Emanuele, 19. D’Arma Emanuele, 20. Dato Salvatore (deceduto in campo di prigionia), 21. Dato Vincenzo (disperso sul fronte russo), 22. Derigno Francesco (disperso sul fronte russo), 23. Di Caro Emanuele (disperso sul fronte russo), 24. Di Caro Giuseppe, 25. Di Dio Giulio di Rocco (disperso sul fronte russo), 26. Di Dio Paolello Guglielmo, 27. Di Menza Carmelo, 28. Di Stefano Rosario, 29. Domicoli Giuseppe, 30. Gammino Giuseppe, 31. Gerbino Orazio (deceduto in campo di prigionia russo), 32. Giordano Antonino (disperso sul fronte russo), 33. Giordano Crocifisso (disperso sul fronte russo), 34. Gradito Emanuele, 35. Granito Giuseppe (disperso sul fronte russo), 36. Granvillano Carmelo di Emanuele (disperso sul fronte russo), 37. Granvillano Giuseppe, 38. Iacono Giuseppe (disperso sul fronte russo), 39. Incorvaia Sebastiano (deceduto in campo di prigionia), 40. La Spina Giuseppe, 41. La Torre Antonino (disperso sul fronte russo), 42. Lignite Giorgio, 43. Maganuco Baldassare (disperso sul fronte russo), 44. Lombardi Andrea, 45. Maganuco Rocco (disperso sul fronte russo), 46. Marinetti Emanuele (disperso sul fronte russo), 47. Mazzolino Emanuele, 48. Montalto Salvatore, 49. Moro Alfeo (disperso sul fronte russo), 50. Mosca Vincenzo (disperso sul fronte russo), 51. Nicastro Giuseppe (disperso sul fronte russo), 52. Nicastro Luigi, 53. Nicosia Crocifisso (disperso sul fronte russo), 54. Nobile Emanuele, 55. Occhipinti Antonio (decorato con tre Medaglie al Valor Militare), 56. Orlando Carmelo (disperso sul fronte russo), 57. Pace Nicola di Emanuele (disperso sul fronte russo), 58. Paci Nunzio, 59. Passavanti Orazio (disperso sul fronte russo), 60. Pisano Francesco (deceduto sul fronte), 61. Pistritto Vincenzo, 62. Quintiliano Emilio, 63. Rizzo Gaetano, 64. Sabatino Orazio (disperso sul fronte russo), 65. Salsetta Giuseppe (disperso sul fronte russo), 66. Sammito Rocco (disperso sul fronte russo), 67. Todaro Emanuele (disperso sul fronte russo), 68. Tummino Aurelio (disperso sul fronte russo), 69. Vella Filippo (grande invalido di guerra), 70. Vella Saverio (disperso sul fronte russo), 71. Ventura Cristoforo (disperso sul fronte russo), 72. Ventura Rocco (disperso sul fronte russo), 73. Ventura Rocco (mutilato di guerra), 74. Zuppardo Fortunato (disperso sul fronte russo).

    Sarebbe opportuno che l’Amministrazione comunale ricordasse tali nominativi con una lapide da collocare in uno spazio del centro storico murato fruibile dalla cittadinanza, ad esempio ai lati della stele dedicata alle Medaglie d’Oro in piazza Martiri della Libertà.

 

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