QUOTIDIANO
APPALTO
PER LA VENDITA DEL GHIACCIO E DELLA NEVE
NEGLI
ANNI VENTI A GELA
Viaggiando tra le
scartoffie dell’ormai quasi ingestibile archivio
casalingo si è ritrovato un contratto d’appalto
del 1920 tra il Comune di Terranova di Sicilia e
tale Pane Emanuele, che poi era nonno materno
dello scrivente, allora proprietario del “Caffè
Italia” ubicato all’angolo del palazzo
prospiciente la palma sul Corso, nel cuore del
centro storico. Però, la stesura di questo
testo, relativo ad un appalto proprio del nonno,
non avrebbe motivo di essere se non fosse per la
peculiarità dell’argomento trattato. Che si va
subito a descrivere dopo averne inserito il
titolo: “Appalto
per la vendita del ghiaccio e della neve”.
Tralasciando quanto
si può trovare di prassi in un appalto e prima
di trattare l’argomento in oggetto riporto
alcuni dati dello stesso: “L’anno
millenovecentoventi il giorno trentuno del mese
di gennaio in una delle sale del palazzo di
città di Terranova di Sicilia, innanzi me
Vincenzo Aliotta Iacona Segretario del Comune di
Terranova, in presenza degli infrascritti
testimoni, aventi le qualità volute dalla legge,
si sono personalmente costituiti: da una parte
il Sig. Cavaliere Farmacista Salvatore Solito fu
Prof. Giuseppe, Sindaco del Comune suddetto e
dall’altra parte Pane Emanuele fu Giacomo,
industrioso, nato, domiciliato e residente in
questo capoluogo…”. Dal contratto adesso
enucleiamo alcune delle caratteristiche più
salienti: l’appalto per la vendita della neve e
del ghiaccio aveva la durata di un anno e tali
prodotti essendo destinati all’uso alimentare
dovevano essere di prima qualità, senza corpi
estranei; l’appaltatore aveva l’obbligo di
vendere neve e ghiaccio a tutte le ore del
giorno e della notte, senza distinzione di
persone sane o ammalate, inoltre, il locale per
la vendita di tali prodotti doveva essere
ubicato in un punto centrale e di facile accesso
a tutti i cittadini; infine,
“…prima
di esporre in vendita la neve ed il ghiaccio lo
appaltatore ha l’obbligo di farne accertare la
buona qualità dall’ufficiale sanitario, ed in
mancanza da un medico condotto da destinarsi…”.
Dopo questa premessa
vediamo di comprendere nei particolari
l’argomento della vendita della neve e del
ghiaccio con un po’ di storia e di come si
arrivava alla loro produzione che, lo scriviamo
subito, non comportava nessun mezzo tecnico di
refrigerazione se non quello del prelevare la
neve, depositarla nei cosiddetti “nevieri”, e,
dopo un apposito trattamento, trasportarla
opportunamente a destinazione.
A quanto ci è dato sapere,
in Occidente si comincia a parlare di neve
legata alle bevande fresche già a partire dal
secolo XI oltre al fatto che tempo fa la Sicilia
era tra i primi produttori di ghiaccio in
Europa.
Quindi il primo
passo per il reperimento di tale prodotto era
quello di individuare i luoghi naturali ad una
determinata altitudine, in genere intorno ai
2000 metri, dove la neve era costantemente
presente; in Sicilia i nevai, oltre alle
montagne dell’Etna e a quelle delle Madonie
erano presenti anche nelle zone degli Iblei
vicine a Buccheri e Palazzolo, certamente di
minore importanza e relativamente al solo
periodo invernale.
La neve, prelevata
in natura con particolari sistemi di raccolta
dai cosiddetti “nivaroli”,
era conservata in adeguate cavità naturali, le
cosiddette neviere, che erano ricavate
appositamente in prossimità degli stessi luoghi
del prelievo, dove veniva compattata,
solidificata e ricoperta con strati di paglia
per evitarne il discioglimento. Il compattamento
della neve, era prodotto dai cosiddetti
“battitura”, che per la bisogna calzavano degli
speciali
calzari di cuoio. Successivamente per
l’estrazione dalle neviere entravano in gioco
degli operai specialisti nell’incidere
la neve-ghiaccio con
adeguati arnesi fino a staccarne dei blocchi del
peso anche di 50 chilogrammi così da poterla
conservare in sacchi di lona il cui trasporto di
regola avveniva a dorso di mulo e con carretti
per approvvigionare i paesi richiedenti.
Della neve, trasformata in ghiaccio, si fece
largo uso nei secoli passati in particolare nel
Seicento, quando serviva a ghiacciare acqua e
sciroppi di menta, limone e arancio per placare
le arsure estive. Da ciò poi derivò l’uso del
sorbetto e del gelato.
Le ultime consegne
di neve, di cui si ha notizia, risalgono
all'immediato dopoguerra; dopo, con la
diffusione dei frigoriferi e delle macchine per
la produzione del ghiaccio, il commercio della
neve scomparve.
L’unica reminiscenza
di un’usanza, che rimane nelle persone più
anziane a Gela, risale agli anni Cinquanta
quando sul Corso e per le strade principali di
Gela rintonava la voce “ghiacciu
ghiacciu!!” di un tizio mentre spingeva una
carretta, (“‘u
carramattu”) con dentro un blocco di
ghiaccio che raschiava con un’apposita pialla
per fornire un formella dello stesso sminuzzato
al prezzo di 5 lire e a cui spesso si aggiungeva
l’essenza di menta o arancio con l’aggiunta di
altre 5 lire; qualche lustro dopo fu soppiantato
dallo “sciallottaro”,
un venditore ambulante che con un carrettino a
triciclo e baldacchino girava per la città
vendendo granita e coni gelati. E oggi? Oggi vi
sono diversi furgoncini con ritornello sonoro
amplificato che girano per tutta la città a
vendere granita e gelati. Nuccio Mulè.
Il
miraggio della musealizzazione del relitto della
nave greca di Gela
Alla luce
dell’esposizione a Forlì di parte dei legni
della nostra nave greca, ci si chiede se a Gela,
prima dell’intervento “a gamba tesa” del
Governatore, si sarebbe potuto fare la stessa
cosa (si sottolinea senza assemblare gli stessi
legni) come d’altro canto aveva proposto il
compianto Prof. Sebastiano Tusa (e di concerto
l’Amministrazione comunale) al convento delle ex
Suore Benedettine di clausura con la cifra
considerevole, si diceva due milioni di euro,
messa a disposizione dall’ENI. In primis era
stato lo stesso Tusa a proporre tale sito e, a
parte la sua esperienza e la professionalità
riconosciute a livello internazionale, per dirlo
così espressamente e ufficialmente doveva avere
delle buone ragioni, maggiormente nella qualità
di assessore regionale.
Adesso a ottobre o
novembre, quando i legni della nave ritorneranno
al nostro Museo, che cosa accadrà; sicuramente i
legni saranno riposti nelle casse e si aspetterà
il costruendo (ma ancora ad oggi nemmeno
iniziato) Museo delle Navi (proprio delle navi,
sì perché fino a questo momento ce ne sono altre
due o addirittura tre in fondo al mare di Bulala).
Quando tempo
passerà? Chi può dirlo dal momento che a Gela,
nel corso dell’ultimo mezzo secolo, abbiamo
un’infinità di molte brutte esperienze e in
particolare quella per la realizzazione del
Museo delle Navi di cui da tantissimo tempo si
discute. Pensate che la scoperta del relitto
risale al 1988, ben 32 anni fa, e ancora oggi
non siamo nemmeno all’inizio della sua
musealizzazione. E tutto ciò oltre ad essere
vergognoso si può definire una vera e propria
sconcezza dal momento che la media tra la
scoperta di un relitto antico e la sua fruizione
è di 10, al massimo 15 anni. Poi, in aggiunta a
quanto scritto, ancora non si sa niente di chi
andrà ad assemblare i legni della nave; infatti,
ad oggi, se non si sbaglia, non esiste nemmeno
un progetto a tale scopo. Certamente l’unicità
del reperto per la sua fruizione anche
internazionale è quella del montaggio di tutti i
pezzi. E quanti soldini ci vorranno dal momento
che necessariamente si richiederà una competenza
molto qualificata per tale stesso assemblaggio.
Forse, come spesso
si dice col senno del dopo, sarebbe stato meglio
realizzare la proposta del compianto Prof. Tusa,
così, oltre all’esposizione dei legni della nave
in anteprima a Gela, avremmo avuto un locale
riattato e la possibilità di lavoro per le ditte
imprenditrici e per le persone in cerca di
occupazione. Sarebbero sembrati niente due
milioni in questi particolari tempi di covid-19?
Nuccio Mulè
GELA
CELEBRA IL CENTENARIO DELLA MORTE DI DANTE,
PERO’, NEL 1921
Non tutti sanno che
in Italia da settembre scorso si sono costituiti
dei comitati per organizzare in varie città il
VII centenario della morte di Dante Alighieri
(avvenuta a Ravenna nella notte dal 13 al 14
settembre 1321), il padre della lingua italiana
che con la Divina Commedia ha mostrato al mondo
sapienza storica e conoscenza della cultura
letteraria e astrologica. Addirittura il settimo
centenario di Dante Alighieri è entrato nel
programma di governo con il premier Giuseppe
Conte che ha citato l’appuntamento del 2021 come
fondamentale per valorizzare la lingua e la
cultura italiana nel mondo; anche i musei del Bargello e l’Università di Firenze stanno
lavorando alla realizzazione di due mostre
dedicate alla ricostruzione del rapporto tra
Dante e Firenze, città dove nacque intorno al
1265.
A Ravenna, che
ospita le spoglie mortali di Dante, il 5
settembre scorso il presidente della repubblica
Sergio Mattarella ha aperto le celebrazioni per
il Sommo Poeta che sono continuate il 12
settembre u.s. con il tributo del maestro
Riccardo Muti nella direzione di un concerto in
suo onore. Le celebrazioni a Dante termineranno
a settembre del prossimo anno, settimo
centenario della sua morte.
Quanto sopra scritto
non è altro che una premessa per i lettori a
dimostrazione che la città di Gela ricade tra
quei paesi di un certo pregio culturale che
hanno celebrato Dante Alighieri nell’anno della
sua scomparsa, però, non ci riferiamo ad oggi
(senza offesa, pensiamo di non esserne
all’altezza), ma al 1921 come dimostra il testo
di una lapide, dettata allora dal Vescovo della
Diocesi Mons. Mario Sturzo, che si trova apposta
sotto uno stemma dell’Ordine Religioso
Francescano sulla parete nord della nostra
chiesa di San Francesco d’Assisi, che così
recita:
D.O.M.
L’ANNO DI CRISTO MCMXXI
FURONO QUI CELEBRATI
IL VII CENTENARIO DEL III ORDINE FRANCESCANO
E IL VI CENTENARIO DELLA MORTE DI DANTE
PERCHE’ L’AMORE ALLA POVERTA’
E LA FEDE IN DIO
NELLA VITA E NELL’ARTE
RICHIAMINO IL POPOLO A PENSIERI DI CIELO
IL CANONICO D. ANGELO DE CARO RETTORE
QUESTA MEMORIA POSE
A quanto sembra,
nulla si sa di queste celebrazioni, né le
cronache storiche dei decenni trascorsi ne fanno
riferimento, però, s’intuisce bene il contenuto
di tale lapide in merito alle celebrazioni, in
particolare quella di Dante. E non solo, si
scrive anche di arte intesa come richiamo al
popolo, quindi un valore culturale ineccepibile
che contrasta purtroppo con la scarsità dello
stesso di oggi.
Così Gela, o meglio
Terranova di Sicilia, nel 1921 celebra dante
Alighieri e, pertanto, vogliamo immaginare una
celebrazione autorevole in presenza del Vescovo
e con un concorso di pubblico erudito presente
nella nostra chiesa del Patrono d’Italia con una
conferenza altrettanto erudita, il tutto
sicuramente frutto di una consistenza culturale
maturata nel tempo e retaggio di una civiltà
millenaria che oggi sembra ormai sempre più
scaduta e tristemente dimenticata. Sembra una
cosa d’altri tempi.
Appunto d’altri
tempi(sic)!!
Nuccio Mulè
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