QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Marzo 2024


ARGOMENTI

    A partire dal mese di gennaio del 2023 si è iniziato a scrivere sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive la quattordicesima  puntata dal titolo "Risorgimento e Unità d'Italia".

14 - RISORGIMENTO E UNITA’ D’ITALIA

CARTOLINA DI OGGI

LARGO "MADRICE"

L’ORGANO E IL BLASONE DELLA DI CHIESA SAN BENEDETTO

IL VENERDI' DI PASQUA A GELA

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14 - RISORGIMENTO E UNITA’ D’ITALIA

      Nel marzo del 2011 Gela ha commemorato il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia e l’ha fatto a pieno titolo, con tutti i crismi della consapevolezza storica di una città che ha dato alla Patria un contributo importante di vite umane. Prima, durante il Risorgimento, la città mandò i suoi figli, con lo sprezzo della vita, a combattere lo straniero Borbone per la rinascita e la libertà della Sicilia, oppressa dalla tirannide; dopo, nell’epopea garibaldina e nelle battaglie dell’Esercito Nazionale del Regno d’Italia, i nostri concittadini diedero il loro contributo di sangue per l’Unità d’Italia e per la nascita della nazione. Sangue dei figli di Gela, inoltre, fu versato nella guerra di Libia e ancor maggiormente sui lontani confini dell’Italia di nord-est nella Grande Guerra contro lo straniero austriaco e le potenze imperiali.

    La celebrazione dell’Unità d’Italia a Gela è qui ricordata dal maestro Occhipinti attraverso la realizzazione di un acquerello in cui sono presentati dei personaggi che concorsero alla riunificazione di piccoli stati, spesso governati da stranieri, sotto la bandiera italiana.

    La scena è caratterizzata dalla presenza di una figura femminile, che rappresenta l’Italia, mentre sventola la bandiera tricolore con lo stemma sabaudo, con l’asta della stessa che lambisce le figure dei “Padri della Patria”: Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini, Camillo Benso di Cavour e Giuseppe Garibaldi. A essi si affiancano le figure di alcuni personaggi locali partecipi del Risorgimento e dell’Unità d’Italia; nella porzione superiore, a partire da sinistra per chi guarda, si vedono i garibaldini Calogero Barone, Giuseppe De Leito e Gaetano Antinori, mentre, più sotto a destra, compaiono i patrioti Giuseppe Navarra e Mario Aldisio Sammito.

    Nella parte centrale della scena, è rappresentato il Risorgimento siciliano con la bandiera italiana della Sicilia, riconoscibile dal simbolo della trinacria, che sovrasta e che addirittura con la sua asta infilza, in senso di sconfitta, la bandiera borbonica del Regno delle Due Sicilie.

    In basso al centro, la scena si chiude con la rappresentazione del logo ufficiale del 150º Anniversario dell'Unità d'Italia: tre bandiere tricolore sventolanti come raffigurazione dei tre giubilei del 1911, 1961, 2011, in un collegamento ideale tra le generazioni.

14 - Risorgimento and unification of Italy

     In march 2011 Gela commemorated the one hundred and fiftieth anniversary of the Unification of Italy showing the historical consciousness of a city that has given the Country an important contribution of human lives. During the Risorgimento, the city had sent her sons to fight against the Bourbons for the freedom of Sicily; later, in the Garibaldi times and in occasion of the battles of the Kingdom of Italy National Army, our fellow citizens gave their contribution of blood for the unification of Italy and for the birth of the Nation. The sons of Gela gave their lives during the Libyan war, and also during the Great War.

Occhipinti evokes the celebration for the Unification of Italy in Gela through this watercolor, in which he also presents the characters who contributed to the reunification of small states under the Italian flag.

    The scene is characterized by the presence of a female figure, representing Italy, while waving the tricolor flag with the royal coat of arms, whose pole is lapping the "Founding Fathers": Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini, Camillo Benso di Cavour and Giuseppe Garibaldi, together with some local characters who took part to the Risorgimento and the Unification of Italy. Top left, the Garibaldi’s volunteers Calogero Barone, Giuseppe De Leito and Gaetano Antinori; below right, the Patriots Giuseppe Navarra and Mario Aldisio Sammito.

    In the centre, the Sicilian Risorgimento is represented through the Italian flag of Sicily, characterized by its symbol, the Trinacria: its pole pierces the Bourbon flag, thus conveying the idea of the defeat of the Kingdom of the Two Sicilies.

    At the bottom, the scene includes a representation of the official logo for the 150th Anniversary of the Unification of Italy: three waving tricolor flags which represent the 1911, 1961 and 2011 jubilees as an ideal link between generations.

La cartolina di oggi ci propone il Largo “Madrice”

    La cartolina, presentata qui oggi che risale agli anni ’40, ritrae il Largo “Madrice” a sud-est della chiesa Madre dove fino ad oggi non esiste una targa che ne attesti la denominazione; in primo piano si osserva una palma che, per quanto se ne sa, fu impiantata alla fine degli anni Trenta da Emanuele Pane, proprietario dell’attiguo “Caffè Italia”, famoso allora per la vendita di granite di limone e caffè e di schiumoni, un tipo di gelato artigianale siciliano al caffè, gianduia, fragola o pistacchio; ed ancora a sud della stessa chiesa il relativo ingresso con la gradinata a tre lati tronco-piramidale e i bassi contrafforti addossati al muro stesso della chiesa.    

   

    Sullo sfondo si osservano il chiosco in legno in stile liberty di proprietà comunale gestito da tale Paino, sostituito, probabilmente nella seconda metà degli anni Quaranta, con una struttura in muratura e gestito dopo da Rosario Picone; ed ancora il palazzo dell’Albergo Trinacria, costruito dall’imprenditore Giacomo Romano nel 1870, demolito impunemente nella seconda metà degli anni Sessanta e sulla cui superficie fu edificato l’attuale palazzo Callea, e il Corso con la chiesa di San Rocco provvista di torretta con campane e orologio pubblico a grandi quadranti. La cartolina riporta erroneamente, la didascalia di Piazza Vittorio Emanuele III.

    La cartolina è indirizzata al “Sig. Ing. Vittorio Saudicchi, Via Po 24, Roma” e datata “Gela 11 Aprile 952”; sul retro si leggono “Ed. G. B. Randazzo - Gela” e “Stab. Dalle Nogare e Armetti - Milano” oltre a “Buona Pasqua … Pinci Albergo Mediterraneo Gela”. La cartolina in oggetto viaggiata, possiede due francobolli tematici di Poste Italiane di £. 5 e di £.10 che riportano rispettivamente la figura di un vasaio al tornio e di una tessitrice al telaio.

 

L’ORGANO E IL BLASONE DELLA DI CHIESA SAN BENEDETTO

    Ubicato su una piccola cantoria sul lato sinistro della navata della chiesa di San Benedetto, chiusa al culto da più di settant’anni, tuttora esiste un organo di fabbrica siciliana, una volta pregiato ma oggi fatiscente, risalente alla metà del sec. XVIII; in origine oltre a 82 canne con 23 di facciata, disposte in tre campate a cuspide, possedeva una colorazione a tempera verde con intagli dorati e ai lati due pannelli dipinti a nastri e bou­quet di rose.

    Prima del suo abbandono all’usura del tempo e rovinato da un incendio doloso, il prospetto dell’organo con le tre campate era decorato da "fregi di copertura" arabeschi e da "festoni di legatu­ra" a motivi floreali posti a sostegno delle canne di facciata. Le paraste, in parte scana­late, erano ornate da capitelli compositi sormontati da testine alate. La consolle presen­tava i fianchi rastremati recanti volute a forma di piante. All'apice si rilevava una trabeazione mistilinea delineata da cornici. Ai lati della cassa si notavano due volute crestate, forse una volta reggenti due putti­ni; lo stato di conservazione oggi è pessimo, in particolare dopo il suo incendio; il mate­riale fonico, ancora in gran parte presente, si trova in cattive condizioni in quanto mancano le canne di facciata nella quasi totalità e la tastiera è totalmente sconnessa. E’ un vero peccato che le competenti istituzioni, Curia e Soprintendenza nissena in primis, disconoscano con indolenza lo stato di abbandono di tale importante reperto settecentesco.

    All’angolo di sud-est della torre della chiesa di San Benedetto, di quello che assieme al convento una volta erano parte di un edificio gentilizio, si trova affisso a circa 10 metri di altezza un blasone lapideo risalente forse alla prima metà del XVII o forse al XV secolo così come è datato il monastero (1453). Il blasone consiste in uno scudo sannitico accartocciato e coronato con un inquartato a quattro figure scolpite uguali a due a due alternate in diagonale di cui una controinquartata. La corona, cordonata ai bordi e gemmata al loro interno, è quella ducale con otto fioroni, di cui cinque visibili sul fronte. Gli stemmi scolpiti in rilievo sono quelli delle famiglie Tagliavia e Aragona di cui la prima raffigura una palma mentre la seconda riproduce quattro frange verticali disposte a croce con gli spazi dei bracci della stessa con le figure in piccolo di 5 aquile coronate; infine, la posizione inquartata e alternata delle figure scolpite sullo scudo fa pensare ad una unione matrimoniale tra due famiglie o ad una unione paritaria delle casate Tagliavia e Aragona.

 

 

IL VENERDI' DI PASQUA A GELA

    Nella tarda mattinata di venerdì la statua del Cristo, sotto il peso della croce, e quella della Madonna piangente, con il cuore trafitto, escono in processione dall’ingresso sud della chiesa Madre seguite in particolare da un gruppo di anziani che con tre voci ed un coro intonano “‘u lamentu”, un cantico solenne e triste scandito dal suono di un tamburo nel silenzio di una “Via Crucis”, seguita da tutta la popolazione.

    E’ una cerimonia semplice e genuina, che si ripete a Gela da tempo immemorabile, così, senza sfarzo e barocchismi vari, ma con una maestosità grandiosa che religiosamente ci riporta nei luoghi in cui avvenne la passione del figlio di Dio fattosi uomo; la sofferenza nel volto del Cristo ed in quello della Madre diventano profonda commozione nella gente che segue nel più totale silenzio la processione verso il Golgota. Assistere a Gela a questo Venerdì Santo significa cogliere appieno il significato più profondo e religioso della Pasqua.

    Nel tardo pomeriggio il Cristo viene sceso dalla croce e deposto nell’urna ed in processione è portato, assieme alla Madre, alla “Madrice” dove una notevole moltitudine di persone gli rende omaggio fino alla resurrezione: Il trionfo della luce sulle tenebre, del calore sul freddo, della vita sulla morte. “…Lo sfondo plumbeo e ossessivo si è trasformato così in un infinito cielo stellato, rischiarato da un globo di luce sfolgorante che viene da Gesù”.

    Nella prima metà del Seicento esisteva nella parrocchia (allora una piccola chiesa dedicata a Santa Maria de’ Platea), una Società del Ss. Sacramento detta anche dei “Cavalieri” i cui componenti il Venerdì Santo rappresentavano nella piazza del Duomo (oggi piazza Umberto I) la scena della “Condanna di Nostro Signore”; nel pomeriggio gli stessi componenti, nei panni di Giuseppe d’Arimatea, Nicodemo, Misandro e il Centurione, andavano da un altro componente che rappresentava Pilato per chiedere e ottenere l’autorizzazione a seppellire la statua di Gesù, dopo averla scesa dalla croce. Fatto scendere all’imbrunire Gesù dal Golgota, era deposto così in un feretro ornato di fiori per essere condotto al sepolcro che, a quanto sembra, leggendo una nota del Damaggio in “Terranova Sacra” del 1903, si trattava di un vero e proprio seppellimento in un sepolcro ubicato innanzi la porta principale della parrocchia della chiesa Madre. Condanna e seppellimento furono sospesi rispettivamente a partire dal 1815 e dal 1858. Un’altra tradizione in uso fino alla metà del Settecento era quella che la “domenica in Albis”, cioè la domenica successiva a quella della Pasqua, popolo e clero uscivano fuori dalle mura di cinta per “dare incenso a Santa Maria de Gulfi” di Chiaramonte nella stessa ora “che tal simulacro venia posto a guardare la nostra città”.

    Da diversi anni a questa parte è stata rinnovata la tradizione delle stazioni della “Via Crucis” del Venerdì Santo nei vari quartieri del centro storico.

    Da una pubblicazione del compianto cultore di patrie memorie Rosario Medoro (“La vecchia torre civica racconta…”) si riportano qui di seguito le parole del citato “lamentu” dal titolo “Lu ma partu” ovvero “la mia dipartita”:

Prima voce (di Gesù):

“Mi partu mà, minnivaiu a murìri”

(Io parto mamma, me ne vado a morire);

Seconda voce (della Madonna):

 “Figghiu, senza di tia comu aiu a fari”

(Figlio, senza di te come debbo fare);

Prima voce:

“Mà, ppi figghiu vi lassu Giuanni”

(Mamma, per figlio vi lascio Giovanni);

Seconda voce:

“Oh Giuanni Giuanni, figghiu miu firatu, novi dammi di ma’ figghiu”

(Oh Giovanni Giovanni, figlio mio fidato, notizie dammi di mio figlio);

 Terza voce:

“l’haiu vistu a lu munti cravaniu, supra ‘nu lignu di la Santa Cruci”

(L’ho visto al Monte Calvario sopra il legno della Santa Croce);

Il Coro:

“Oh Santa Cruci, vi vegnu a viriri china di sancu, vi trovu lavata ppi chiddru omu ca vi vinni a murìri. Gesù Cristu c’appi la lanciata, acqua dumannau e nunni potti aviri e ci resiru ‘na sponza mmilinata”

(Oh Santa Croce, vi vengo a vedere piena di sangue, vi trovo lavata per quell’uomo che vi venne a morire. Gesù Cristu ch’ebbe la lanciata, acqua chiese e non ne potè avere e gli diedero una spugna avvelenata).


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