QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Marzo 2023
ARGOMENTI
A partire dal mese di gennaio si è iniziato a scrivere sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive la terza puntata dal titolo "Gela città fiorente" |
3. Gela città fiorente
ACQUA POTABILE DEL POZZO “ANIME DEL PURGATORIO”
DA CONVENTO A OSPEDALE CIVICO |
3. GELA
CITTA’ FIORENTE
Gela, una delle maggiori città siceliote,
salì a un così alto grado di civiltà e potenza
economica e commerciale da dare origine a un
nuovo fervore di vita artistica, economica e
industriale e ciò grazie anche alla ricchezza
della sua florida agricoltura. Tali condizioni
racchiudevano in sé il bisogno di cercare nuovi
sbocchi e un più vasto campo d’azione alla
propria attività; da qui l’imperioso bisogno
d’espansione e di predominio in Sicilia cui
s’ispirò per primo il geloo Ippocrate e, dopo di
lui, i suoi successori.
Occhipinti in questo dipinto fa
predominare, con tratti incisivi e colori caldi,
la figura di un ideale narratore che tiene in
mano un improbabile libro, una trasposizione
delle tavolette di legno e dei fogli di papiro
usati dai greci e dai latini, per raccontare la
storia della città.
Nel centro della scena si osservano le
teste di due figure femminili di alta
simbologia, quelle di Demetra e della figlia
Kore. A Demetra, che vuol dire la “madre terra”,
si attribuiva una sovranità assoluta su tutto
ciò che concerne l’agricoltura; Kore era vista
nel duplice aspetto di fanciulla, che risorge
ogni anno a nuova vita, e di tenebrosa e
inesorabile regina degli Inferi. I Geloi, oltre
a dedicare parte del loro tempo alle feste
religiose, professavano diversi culti, in
particolare quello dei “misteri”, una forma di
religione con rituali segreti rivolti alle anime
dei morti e alle divinità infernali. A Gela
erano famosi i “misteri eleusini”, legati al
mito di Demetra e Kore.
La parte superiore del dipinto è
riservata alla raffigurazione di un avvenimento
del periodo repubblicano di Gela, narrato dallo
storico greco Erodoto, che si riferisce a Teline,
sacerdote degli dei infernali, che convinse
parte della popolazione geloa, cacciata in
precedenza dai Nobili, a lasciare Maktorion per
rientrare in città con l’impegno di non subire
più angherie e dispotismo.
A completamento della scena, sono stati
introdotti diversi simboli legati a Gela
fiorente, con le figure dei templi
dell’acropoli, di una cetra, di una prua di
trireme, di un frantoio con gli addetti alla
produzione dell’olio e di un altare sacrificale,
con dei fiori e un porcellino, dedicato a
“Demetra Thesmophoros” cui i geloi dedicarono un
santuario; infine, alle figurazioni sono state
aggiunte quelle del diritto (una biga con auriga
e Nike alata) e del rovescio (la testa di un
toro a sembianze umane) di una moneta della
zecca di Gela.
3. Gela, a prosperous city
Gela was one of the most important
Siceliot cities: it had developed high economic
and commercial power, and fostered a new
artistic and economic fervor so that the need to
expand its territory became almost natural for
Hippocrates and for his successors.
In this painting, an ideal narrator holds
an unlikely book, a transposition of the wooden
tablets and papyrus sheets used by the Greek and
Latin people, to tell the story of the city.
The heads of two symbolic female figures,
Demeter and her daughter Kore, stand in the
centre of the scene: Demeter, which means
"mother earth", was given absolute sovereignty
over all matters relating to agriculture; Kore
was seen both as a girl who rises each year to a
new life, and as the dark and relentless queen
of the Underworld. Gela was famous for the
"Eleusinian mysteries", linked to the myth of
Demeter and Kore, a form of religion with secret
rituals addressed to the souls of the dead and
to the gods of the Underworld.
The upper part of the painting represents
an event from the Republican period in the
history of Gela, when the priest Telin convinced
part of the Geloi, previously expelled by the
nobles, to leave Maktorion and to return to the
city, with the intent to fight oppression and
despotism in the future.
Several symbols related to a flourishing
Gela decorate the scene, such as the temples of
the Acropolis, a lyre, the bow of a trireme, a
mill with people involved in the production of
oil, as well as a sacrificial altar adorned with
flowers and a pig, dedicated to "Demeter
Thesmophoros". Among the symbols, the right (a
chariot with charioteer and a winged figure of
Nike) and the reverse (the head of a bull with
human features) of a coin minted in Gela. |
ACQUA POTABILE DEL POZZO “ANIME DEL PURGATORIO”
La veduta si riferisce all’unica foto di
fine Ottocento che ritrae il pozzo d’acqua
potabile comunale, denominato “Anime del
Purgatorio”, con tettoia e recinzione al tempo
in cui l’approvvigionamento idrico a Terranova
avveniva per mezzo dei pozzi d’acqua che
nell’arenile, a est della città, erano fruibili
in numero di otto. Oltre al precedente gli altri
sette erano così denominati: “Provvidenza”, “Quattrobocche”,
“Gennuso”, “Costa”, “Scifo”, “Pozzicello” e
“Pozzo Nuovo”.
Interessante è riportare i parametri
chimici e batteriologici delle analisi
dell’acqua, riferite a 100 l., dei pozzi
dell’arenile effettuate negli anni Dieci dalla
“Regia Stazione Agraria Sperimentale“ di
Palermo: “Reazione: alcalina; Residuo
fisso a 120°C: g.64,80 (valore normale a 180°C
da 10 a 50 g.); Cloro: g. 8,15 (v.n. da 0,2 a
3,5 g.); Silice solubile: g. 2,80; Anidride
solforica: g. 11,67 (v.n. da 0,2 a 10 g.); Calce
(CaO): g. 20,72 (v.n. sino a 12 g.); Magnesia (MgO):
g. 3,60 (v.n. sino a 4 g.); Materie organiche
come ossigeno consumato: g. 0,18 (v.n. sino a
0,25 g.); Nitriti: tracce (v.n. assenti);
Durezza (in gradi francese): 50° (v.n. 35°);
Temperatura: 15°C; Germi per cm. cubico: 2.640
(valore elevato rispetto alle 20 unità/l.)”.
Il valore dei germi presenti nell’acqua
da bere dei pozzi ci dà conto dello stato
igienico disastroso e delle numerose patologie,
e quindi dei morti, di allora nella nostra
popolazione.
L’ubicazione del pozzo “Anime del
Purgatorio” oggi è collocabile probabilmente nei
pressi dell’ingresso dell’ex caserma forestale
di Bosco Littorio, lato sud-ovest, prospiciente
la strada che porta al Petrolchimico, infatti,
sullo sfondo quasi a centro della cartolina si
riesce a vedere la “Casina Di Fede” ubicata sul
margine est della collina dove nel 1927 fu
realizzato il Parco delle Rimembranze. Tempo fa,
a questa zona si accedeva grazie ad una trazzera
sotto il Calvario, continuazione dell’attuale
viale Mediterraneo, denominata “Strada dei Pozzi
d’acqua” che si snodava nel quartiere “Orto
Bouget” e nelle vicinanze del campo di “Tiro a
Segno Nazionale-Società di Terranova di
Sicilia”.
Sulla cartolina si osservano diverse file
di recipienti in attesa di essere riempiti e
diverse persone, in particolare una attigua allo
stesso pozzo che fa girare una ruota collegata a
una pompa, (“aspirante e premente a doppio
effetto”), di sollevamento dell’acqua dalla
profondità del terreno e un’altra che tiene un
recipiente di argilla, “‘u bummulu”, nell’atto
di attingere l’acqua che esce “do’ cannolu”.
Inoltre, in primo piano si osservano un
ragazzino con la testa avvolta da un “fazzuluttuni”
e un uomo, che sembra in posa, con tre
recipienti di cui uno già posto nel carretto,
probabilmente un addetto del Comune che aveva il
compito di distribuire l’acqua nei vari
quartieri della città, allora ancora con poche
fontanelle pubbliche.
Da quel pozzo, la cui profondità era di 6
m., si riusciva a prelevare fino a 12 litri di
acqua al secondo. Sul margine sinistro si vedono
dei carretti su cui prendono posto i recipienti
d’acqua che era distribuita in città (allora
ancora priva di quella incanalata da sorgente)
dai cosiddetti “saccara”. Le dimensioni della
cartolina sono 14 X 9 cm.
DA CONVENTO A OSPEDALE CIVICO
La nascita di un ospedale a Gela si fa risalire
al XV secolo e si sa anche che il 26 aprile del
1626 l'amministrazione dello stesso nosocomio
passò alla Congregazione Religiosa dei "Fatebenefratelli
di San Giovanni di Dio", presente probabilmente
qui sin dal XVI secolo, che accudiva la
confinante chiesa di Santa Lucia che era
ubicata, prima di essere diroccata nella seconda
metà degli anni Cinquanta, dietro e lateralmente
al Teatro Eschilo e dal cui spazio è stata
ricavata l’attuale via Francesco de Sanctis;
tale congregazione, oltre alla suddetta chiesa,
amministrava pure un ospizio, denominato "Monte
di Pietà", un Asilo per orfanelli e poveri ed
una Farmacia annessa allo stesso ospedale.
L'Ospedale
San Giovanni di Dio di Terranova, dopo la
confisca dei beni religiosi, nel 1870 fu
trasferito nei locali del Convento dei PP.
Cappuccini, divenuti di proprietà comunale;
negli stessi locali oltre l'ospedale furono
ospitati un Sifilicomio, un Ricovero per
trovatelli con relativo alloggio per le balie e
persino una Scuola agraria. L’Ospedale nel 1880
passò sotto la gestione diretta del Comune.
Il 20 febbraio del 1893 l'ospedale civico fu
eretto con regio decreto in corpo morale, dopo
approvazione del relativo Statuto Organico, e
promulgato definitivamente, con altro regio
decreto, in data 6 luglio 1893.
Intorno al 1910, la minaccia di crollo di parti
dell'antico ex convento dei PP. Cappuccini rese
necessario il trasferimento dell'ospedale che,
in via del tutto temporaneo, fu accolto nei
locali dell’ex Convento delle Clarisse, annesso
alla chiesa di Santa Maria di Gesù, che però,
alquanto vetusto, fu abbandonato dopo qualche
anno. La nuova sede, scelta intorno al 1916
dagli amministratori comunali, per accogliere
l'ospedale fu quella dei locali secenteschi
riattati del Monastero delle Suore Benedettine
di clausura in via Monastero, oggi via Senatore
Damaggio, dove rimase per ben 53 anni prima di
essere trasferito definitivamente nel 1969 nella
nuova e più ampia sede di Via Palazzi in
contrada Capo Soprano, sede che diversi lustri
fa è stata ampliata con la costruzione di un
nuovo padiglione.
In merito alla denominazione attuale
dell’ospedale, cioè quella di Vittorio Emanuele
III, se ne può dimostrare l’erronea
intitolazione per due motivi. Il primo si
riferisce al fatto che il re dell’epoca non era
Vittorio Emanuele III, figlio di Umberto I,
bensì Vittorio Emanuele II; il secondo motivo,
documenti e foto in mano, è quello che
l’edificio dell’ospedale nella sua inaugurazione
del 1956 era stato intitolato a Salvatore
Aldisio, infatti con lettere a caratteri
cubitali si leggeva su un lato della prima
pietra delle fondazioni: “OSPEDALE SALVATORE
ALDISIO GELA 1956”. Quest’ultima denominazione è
stata fatta conoscere epistolarmente a diversi
direttori sanitari, compreso quest’ultimo, i
quali mai hanno dato una benchè minima risposta,
nemmeno quella di cortesia.
I
locali del convento ed il cortile delle Suore
Benedettine, dopo diversi riattamenti e
ristrutturazioni, oggi sono occupati da una
scuola elementare; purtroppo, durante tali
lavori, sono andate perdute tre lapidi del
vecchio ospedale che diligentemente lo scrivente
ebbe occasione di trascriverne i testi prima
della loro indolente sparizione. Nonostante che
i testi delle suddette lapidi da diversi decenni
siano state messe a disposizione, per un loro
reimpianto, dei direttori sanitari non si è
avuta mai nessuna risposta come …da
consuetudine.
L’Ospedale civico nella sede del convento delle
Suore Benedettine in origine era ripartito su
due piani, pianoterra e primo piano; a
pianoterra sul lato nord vi erano tre stanzoni,
due dedicati alla degenza dei maschi malati
poveri di medicina e di chirurgia ed uno a
pagamento; ed ancora la farmacia, il laboratorio
e due stanza di ambulatorio oltre alla
lavanderia, al casermaggio e alla camera
mortuaria, quest’ultima con accesso anche
dall’attigua via Gurrisi, oggi via Marotta. Sul
lato est vi era uno stanzone, attiguo al
giardino, dedicato a ricovero di mendicità
mentre sul lato sud vi era la cucina. A lato
della camera mortuaria vi era il vano scala per
l’accesso al primo piano.
Anche al primo piano vi erano tre stanzoni con
le stesse funzioni del pianterreno dedicati,
però, alle donne; su lato ovest dell’edificio,
attigua ad una terrazza vi era la sala
chirurgica con la confinante stanza di
preparazione e la direzione medica. Sul lato
est, sempre prospiciente il giardino, oltre alla
stanza di isolamento, avevano sede il baliatico
e il brefotrofio. Infine, a sud oltre
all’alloggio delle suore e al refettorio, vi era
uno stanzone dedicato alle donne invalide.
San Giovanni di Dio,
al secolo Juan Ciudad, fu
fondatore nel 1537 in Spagna
degli Ospedalieri o
Fatebenefratelli; canonizzato
nel 1690, è patrono degli
ospedali e degli ammalati, degli
infermieri e loro associazioni.
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