QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Marzo 2022
ARGOMENTI
CARTOLINA DI OGGI - DA VIA MARINA A VIA GIACOMO NAVARRA
BRESMES
NESSUN RUOLO DEL PONTILE DURANTE LO SBARCO ALLEATO
CARTOLINA DI OGGI DA VIA MARINA A VIA GIACOMO NAVARRA BRESMES La
cartolina qui proposta, molto rara e, pertanto,
ricercata da molti collezionisti, risale ai
primissimi anni del Novecento ed è la più antica
di tutte quelle che ritraggono via Marina; il 6
luglio del 1911 il suo toponimo, assieme al
prolungamento verso nord di via Porta
Caltagirone, fu sostituito con quello di Giacomo
Navarra Bresmes, sindaco di Gela, deceduto il 24
giugno dello stesso anno durante una seduta di
Giunta comunale. “…non è il caso di tessere
elogi per l’illustre estinto. Voi sapete con
quanto amore, con quanta abnegazione, con quanto
sacrificio fece olocausto di sé al nostro Paese:
la fine incontrata è la manifestazione più
evidente di questi Suoi sentimenti ed è il
suggello più vero di tutto un passato speso per
il bene della sua amata Terranova. La salma è
rimasta là dove egli morì…”. Sul
marciapiede a est della strada, proprio di
fronte Via Spirone (oggi via Pisa), si osservano
sulla cartolina diverse bancarelle della
pescheria attorniate da capannelli di persone
raccolte lì in attesa di acquistare il pesce
fresco. Ancora sul lato destro, per chi guarda
la cartolina, si osserva l’antica chiesa
rinascimentale di Sant'Antonio Abate con doppia
scala di accesso, diroccata assieme all’isolato
di case all’inizio degli anni Cinquanta per dar
posto all’attuale piazza San Francesco come
funzionalità spaziale prospiciente il
monumentale ingresso del nuovo Municipio. Al
centro della strada basolata di via Marina si
osserva un carretto carico di blocchi di tufo
che, tirato faticosamente dal suo mulo sotto
la sferza del carrettiere, sale verso Piazza
Umberto I (già Piano del Duomo), piazza
principale di Terranova di Sicilia. A sinistra
della cartolina, s’intravvede la sequenza dei
palazzi Iozza, Terrana, La Mantia, Vella, Di
Bartolo-Avanguardia e Ventura, quest’ultimo ad
angolo sul Corso. La
cartolina formato piccola edita da Baldacchino e
Costa era stampata dallo Stabilimento
Fotografico Compassi & Diena di Torino.
NESSUN RUOLO DEL PONTILE DURANTE LO SBARCO ALLEATO
Il Pontile sbarcatoio di Gela,
originariamente della lunghezza di 360 metri
dalla radice, fu realizzato in due tempi, nel
1915 e nel 1935. Riportandoci indietro nel
tempo, cerchiamo di comprendere il legittimo
giubilo della marineria terranovese allorquando
si inaugurò nel 1915 il pontile sbarcatoio da
più di cinquant’anni desiderato. Musica in
testa, il popolo di Terranova di Sicilia in
corteo, con in prima fila tutta la gente di mare
con le famiglie, verosimilmente levava le
braccia al cielo per ringraziare il fato (ed
anche l’On. Rosario Pasqualino-Vassallo di Riesi)
perchè la conquista era stata grande. Finalmente
il loro lavoro poteva essere agevolato al
massimo e l’imbarco o lo sbarco della merce
poteva avvenire direttamente sul mare e non più
dalla spiaggia.
La marineria gelese di più di un secolo fa, che
comprendeva più di 200 navi di grosso
tonnellaggio tra bastimenti e velieri da
commercio e da pesca, ebbe un notevole vantaggio
per il carico e lo scarico delle merci. Però,
l’ulteriore incremento del traffico e l’attracco
di navi con alto pescaggio al Pontile,
dopo qualche anno resero necessario il suo
prolungamento di altri 150 metri. Le lungaggini
burocratiche, la difficoltà di finanziamenti
dell’opera e le fasi storiche che attraversava
l’Italia in quel periodo ritardarono tale
prolungamento di circa vent’anni tant’è che il
pontile sbarcatoio fu portato all’attuale
lunghezza e inaugurato nel 1935.
L'approdo di Terranova, che faceva parte
del Compartimento Marittimo di Porto Empedocle,
come importanza commerciale era il dodicesimo
dell'Isola (che ne comprendeva ben 51) e ciò fa
capire come l’industria marinara nella nostra
città non era assai inferiore all’agricoltura
senza parlare del prestigio che la nostra
Terranova godeva tra le città di mare d'Italia.
Il 10 luglio del 1943, alle ore 2,50, su
ordine del comando del Regio Esercito Italiano,
fu fatta saltare in aria la parte centrale del
pontile e ciò perché allora si era convinti che
con tale drastica azione si sarebbe ritardato lo
sbarco delle truppe Alleate. Fu una demolizione
inutile in quanto gli Alleati, memori della
brutta esperienza della ritirata nel 1940 a
Dunkerque causata dalle truppe tedesche,
si erano adattati i mezzi navali in modo tale da
farli arrivare direttamente sulla battigia delle
spiagge per sbarcare celermente, carri armati,
mezzi vari e uomini, soluzione quella vincente
che fu utilizzata in altre spiagge d’Italia e in
particolare nello sbarco in Normandia. Pontile
sbarcatoio, quindi, che non ebbe nessun ruolo
nello scenario dello sbarco Alleato a Gela.
Da più di mezzo secolo il pontile
sbarcatoio è uscito di scena dall'attività
economica della città. Chi poteva immaginarlo?
L’archivio comunale, importante componente della
struttura amministrativa locale, è costituito da
una raccolta d’atti e registri prodotta negli
anni dall’amministrazione comunale relativa
all’attività svolta per il raggiungimento dei
propri fini istituzionali e successivamente
conservata per scopi amministrativi o giuridici
o come fonte documentaria per gli studi storici.
Gli atti amministrativi soggetti a
frequente consultazione e quindi relativi a
pratiche che ancora richiedono provvedimenti,
sono conservati nell’Archivio Corrente, mentre
quelli che riguardano affari già conclusi e
quindi di consultazione più rara, sono
conservati nell’Archivio di Deposito; invece
spetta all’Archivio Generale raccogliere e
custodire tutti i documenti relativi ad affari
esauriti da oltre quarant’anni. In definitiva
l’archivio corrente e l’archivio di deposito
sono archivi amministrativi, mentre l’archivio
generale rappresenta l’Archivio Storico del
Comune, ovvero una testimonianza preziosa della
vita di una comunità, dove gli atti trovano una
definitiva sistemazione e rimangono a perpetuare
nel tempo memorie della passata attività
dell’amministrazione comunale.
L’archiviazione degli atti al Comune di
Gela fino alla fine degli anni Quaranta bene o
male rispondeva alle norme che regolavano la
tenuta e il funzionamento degli archivi; a
quanto sembra, però, nella seconda metà degli
anni Quaranta, durante il temporaneo
dislocamento di tutti gli uffici del Comune al
Convitto Pignatelli dovuto alla costruzione del
nuovo Palazzo di Città, non tutti gli atti
dell’archivio vi furono trasferiti; infatti,
buona parte di essi, fu portata nei locali
dell’ex Lazzaretto (già Convento dei PP.
Agostiniani, oggi sede della Biblioteca
Comunale), dove fu accatasta in una stanza e lì
rimase dimenticata, anche dopo il rientro degli
uffici comunali nel nuovo Municipio. Siamo agli
inizi degli anni Cinquanta.
Ma anche quella parte d’atti
dell’archivio che rientrò nel nuovo Municipio
non fu tutta depositata nell’archivio corrente
(oggi è ubicato in parte uno stanzone a
pianterreno sotto la torre); infatti, le
carpette contenenti gli atti più vecchi furono
accatastate a malapena in una stanza al secondo
piano con unico accesso da una scala secondaria;
la stanza angusta e con una sola finestra
prospiciente il cortile dell’ex Pretura, era
utilizzata, però, anche come deposito di diverso
materiale, persino oggetti di sequestri
effettuati dai Vigili urbani.
In detto locale chi scrive, provvisto di
guanti, mascherina e disinfettante, già a
partire dal 1980, con debita autorizzazione del
Sindaco e con il supporto del responsabile, il
compianto Sig. Fino Raniolo, cominciò ad
effettuarvi le prime sporadiche visite che
risultavano spesso molto difficoltose se si
pensa che in quella stanza si riusciva appena ad
entrare e per spostarsi bisognava camminare
letteralmente sopra pile di carpette, materiale
cartaceo e cianfrusaglie di vario genere su cui
la polvere e fastidiosissimi insetti la facevano
da padroni. In mezzo a tanto materiale allora vi
erano pure tre busti in gesso a firma di uno
scultore terranovese dello scorso secolo, tale
Calcedonio Giurato. Detti busti (raffiguranti
Giuseppe Verdi, Vittorio Emanuele II e un non
meglio identificato garibaldino terranovese)
furono poi fatti sparire (sicuramente rubati)
impunemente durante la trasformazione del locale
in deposito dell’ufficio d’Economato.
Intanto, continuando periodicamente ad
accedere a tale stanza per effettuare delle
ricerche, verso la fine del 1982 lo scrivente
vide comparire al di sotto di una pila di
faldoni zeppi di documenti due casse di legno
sui cui coperchi vi era raffigurata una
mitragliatrice; in una erano contenute delle
coperte logore, nell’altra, contrariamente a
qualsiasi previsione e con grande sorpresa,
erano custoditi numerosi reperti archeologici
che la riempivano fino all’orlo. Del
ritrovamento lo scrivente si premurò di avvisare
il vicesindaco di allora, il compianto Avv.
Ottavio Liardi, il quale fece intervenire il
personale del Museo Archeologico che, subito
sopraggiunto, trasferì i reperti nei suoi
magazzini. Il materiale archeologico, di
proprietà del Comune (tant’è che il Sindaco
tuttora ne potrebbe richiedere al Museo la
restituzione per realizzare delle vetrine
all’interno del Comune), faceva parte di corredi
funerari venuti alla luce nei primi del
Novecento durante gli scavi archeologici
effettuati da Paolo Orsi.
Intanto, verso la fine del 1983, essendo
stati appaltati i lavori per la ristrutturazione
dell’ex Lazzaretto si dovettero sgomberarne i
locali; così gli atti, contenuti in sacchi di
frumento, depositati trent’anni prima in una
stanza di detto ex Lazzaretto come sopra
riferito, furono prelevati e, coperti da un
precario telone di plastica, accatastati sullo
spiazzale dietro la chiesetta di San Biagio,
all’ingresso del contiguo cimitero. Ma la
precarietà della copertura fece sì che durante
un acquazzone detto materiale cartaceo si fosse
completamente inzuppato d’acqua con il risultato
che buona parte di esso andò completamente in
rovina dopo essersi trasformato in
un’irreversibile "pappina". Qualche giorno dopo,
su denunzia dello scrivente all’autorità
comunale, quel che rimase di salvabile
dell’archivio fu trasferito, purtroppo ancora
umidiccio, nei locali ex Iannizzotto, ubicati
sulla statale 115 per Vittoria, di proprietà del
Comune. Anche qui tale materiale non ebbe sorte
migliore della precedente; infatti, fu
accatastato in malo modo e chiuso in uno
stanzone adibito tempo prima a cella frigorifera
e quindi senza nessuna areazione. Purtroppo
nonostante le numerose sollecitazioni quegli
atti dell’Archivio storico del Comune, in buona
parte completamente ammuffiti, al di là di una
un’insignificante parte di essi (circa una
ventina di faldoni, bonificati e fatti
trasferire dallo scrivente nell’attuale sede
dell’archivio storico nella Biblioteca
comunale), andarono perduti definitivamente. E
tale perdita certamente è da imputare ad una
gestione di totale incompetenza da parte di
dirigenti e funzionari comunali del ramo di
allora.
Nel seconda metà del 1985 la stanza a
secondo piano del Municipio, che conteneva parte
dell’archivio cosiddetto storico come detto
prima, fu svuotata per essere poi adibita ad
altra funzione; tutti gli atti così, senza
nessun riguardo e alla meno peggio, furono
prelevati e dopo essere stati introdotti in
capienti sacchi di spazzatura assieme a
scarafaggi, tracce d’escrementi e porcherie
varie, furono depositati in una stanza a piano
terra a lato della torre con ingresso dal Viale
Mediterraneo, in attesa di essere destinati al
macero (sic). Avuta anche allora
l’autorizzazione ad accedere in quel locale, lo
scrivente si premurò a svuotare i suddetti
sacchi zeppi di carpette per farne arieggiare
gli atti e a bonificarli sottraendoli così da
quel miasma venefico in cui si trovavano.
Intanto, su successiva richiesta dello scrivente
si propose a diversi componenti la Giunta,
allora si era insediata per la prima volta una
di sinistra capeggiata dal Sindaco Tignino, di
bloccarne la macerazione e nello stesso tempo di
creare con essi una sezione d’archivio storico.
Nel marzo del 1986 su disposizione del
compianto assessore alla P.I. Tommaso Cammilleri
lo scrivente ebbe l’incarico di far reperire
tutto il materiale d’archivio di suddetta stanza
e trasferirlo nei riattati locali a pianterreno
dell’ex Lazzaretto del convento agostiniano in
via Butera che da lì a qualche anno sarebbe
diventato sede della Biblioteca comunale. Dopo
una radicale bonifica, tra l’altro le vecchie
carpette furono completamente sostituite, il
materiale cartaceo subì una prima temporanea
catalogazione con l’aiuto anche del personale
assegnato alla biblioteca, in particolare i
funzionari Salvina Blanco, Maria Di Bartolo e
Vincenzo Tranchina caposezione, e di quello
ausiliario con i Sigg. Michele Gammino, Benito
Faraci e Augusto Tignino.
Nel 1988, durante la sindacatura di
Ottavio Liardi, su proposta dell’assessore alla
P.I. Dott. Giovanni Scaglione, fu affidato allo
scrivente il compito di riordinare, catalogare
ed inventariare gli atti dell’archivio con
deliberazione di Giunta n.2205 del 6 dicembre
dello stesso anno.
Il lavoro dell’archivio storico,
effettuato su direttiva e controllo dell’allora
Direttore dell’Archivio di Stato di
Caltanissetta Dott. Claudio Torrisi nonché col
beneplacito della Soprintendenza ai Beni
archivistici di Palermo, fu consegnato dallo
scrivente al Comune il 22 settembre 1994. Alla
relazione di tale consegna furono allegati due
indici relativi a circa 700 carpette; un indice
realizzato sulla base del numero di corda ad uso
del personale, l’altro costituito sulla base
degli estremi cronologici, che vanno dall’Unità
d’Italia (ma anche prima) fino agli anni
Cinquanta, ad uso dell’utente; furono consegnate
anche le schede di consultazione, corrispondenti
al numero delle carpette, contenenti riferimenti
analitici sul contenuto delle stesse. Inoltre,
durante lo stesso riordino, su autorizzazione
del suddetto Direttore dell’Archivio di Stato si
è enucleato dai fascicoli un copioso numero di
giornali e di manifesti d’epoca per produrre in
seguito rispettivamente una speciale emeroteca
ed una mostra permanente, quest’ultima già
realizzata e fruibile, all’interno della stessa
biblioteca.
Le carpette di cui sopra, infine,
comprendono pure diversi registri decurionali
dal 1820 al 1873 e 13 fascicoli d’Atti Giurati
dal 1582 al 1595; queste ultime carpette furono
differenziate e contrassegnate con le lettere
dell’alfabeto.
Alcuni decenni fa l’archivio storico è
stato arricchito d’altre 130 carpette, quasi
tutte del periodo fascista, prelevate dallo
scrivente dall’archivio corrente del Municipio
dove ancora ne esistono diverse centinaia. Per
il loro riordino chissà quando se ne parlerà,
ammesso che a qualche dirigente o funzionario
che sia non venga la malsana idea di portarle al
macero. Anche se l’Archivio storico del Comune di Gela ha subito negli anni un consistente depauperamento, sia per alcuni fatali incendi (uno fu quello del 6 dicembre 1864) sia per l’incuria e l’incompetenza di dirigenti e funzionari comunali, non si nasconde la viva soddisfazione dello scrivente nell’aver promosso e contribuito in modo determinante a salvare due secoli di storia recente della vita della nostra città. Storia che diversamente sarebbe andata sicuramente perduta. |