QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Maggio
2022
ARGOMENTI
CARTOLINA DI OGGI -
MONUMENTO ELIMINATO PER “DEFASCISTIZZAZIONE”
L’ORTO PASQUALELLO DI
GELA, UNA STORIA INFINITA
MONUMENTO ELIMINATO PER “DEFASCISTIZZAZIONE”
Oggi si propone una
cartolina di Gela degli anni ’40 di via Giacomo
Navarra Bresmes (denominata fino al 1911 via
Marina) prospiciente piazza San Francesco. Alla
destra della stessa via si osservano una stele
con due fasci littori e un isolato di case con
la chiesa rinascimentale di Sant’Antonio Abate.
La stele, demolita
nel 1953 per “defascistizzazione” su intervento
della Prefettura nissena (sic), era dedicata a
due eroi locali, Giovanni Guccione, Medaglia
d’Oro al Valor Militare della Grande Guerra, e
Luigi Casciana, Tenente del Regio Esercito
Italiano, che perse la vita a Trieste nel 1920
per difendere un gruppo di persone di minoranza
etnica. Quando entrò in funzione il nuovo
Municipio la chiesa e l’isolato di case furono
demoliti per dare più “respiro” al suo ingresso
monumentale con la realizzazione dell’attuale
Piazza San Francesco. La scritta DUX sullo
sfondo, che compare sul muro della casa, si
riferisce al benvenuto di Gela dato a Mussolini
quando venne in visita qui il 14 agosto del
1937.
Sulla stele si leggeva:
.CONTRO IL NEMICO ESTERNO / GIOVANNI
GUCCIONE / MEDAGLIA D’ORO / CONTRO I NEGATORI
DELLA PATRIA / LUIGI CASCIANA / MARTIRE FASCISTA
/ COMBATTENDO FECONDARONO / IL NUOVO IMPERO DI
ROMA / CHE / MUSSOLINI HA FONDATO / AI DUE FIGLI
EROICI / GELA / NELL’ANNO XV DELL’ERA FASCISTA /
DELL’IMPERO/ CONSACRA / NON FRUSTRA
I fatti che
coinvolsero Luigi Casciana accaddero nel 1920 in
Dalmazia, una regione della Penisola Balcanica
(allora italiana, oggi divisa tra Croazia,
Bosnia e Montenegro) che dal 1947 fa parte della
Jugoslavia. Luigi Casciana, tenente del 76°
Regio Reggimento Fanteria dell’Esercito Italiano
(in alcune documentazioni compare come Ten. dei
Reali Carabinieri), destinato a Trieste in
attesa di congedo, il 13 luglio del 1920 ebbe
l’ordine di proteggere con un drappello di
soldati un gruppo di persone di minoranza
etnica, alloggiate all’Hotel Balkan, da
un’azione di protesta italiana guidata da un
manipolo di squadristi; durante tale protesta,
però, dall’edificio furono sparati diversi colpi
d’arma da fuoco e lanciate alcune granate di cui
alcune schegge colpirono mortalmente il Casciana.
Dopo lo sbandamento dei soldati posti a guardia
dell'albergo, i dimostranti presero il
sopravvento e con il lancio di bombe a mano
causarono un principio d’incendio dell'edificio
(Renzo De Felice definì tale incendio "il vero
battesimo dello squadrismo organizzato”) cui
seguirono una serie di esplosioni causate a
quanto pare dal materiale bellico occultato
all'interno da forze jugoslaviste e slovene.
Contrariamente,
quindi, rispetto a quanto riportato
ipocritamente dalla suddetta epigrafe della
stele, sembra scontato che il Casciana, definito
impropriamente come “martire fascista”, nulla
ebbe a che fare con quel nascente regime, anzi,
si può dire che, se pur
indirettamente,
l’azione squadrista all’Hotel Balkan fu causa
della sua morte. Sul retro della cartolina si leggono indirizzo e comunicazioni: Ed. Gugliara Salvatore - Merceria e Profumeria Gela. Al Cav. Alfio Petronio Via Faro Pedara (Catania). Stab. Delle Nogare e Armetti Milano - “Lì 3-3-943.XXI. Molti saluti affettuosi ed un’infinità di cordialità per voi, per la signora per il cognato e sorelle. Ogni tanto, nelle vostre passeggiatine fatevi vedere, a casa, a rivedere la Sig.ra Concettina e Graziano! Qui è un guaio che non arriva posta. Si sta meglio a Verona. Parlatemi delle novità del paese. Auguri e saluti ancora Cap. G. Motta”.
L’ORTO PASQUALELLO DI GELA, UNA
STORIA INFINITA
A sud del ponte ripieno di Corso
Salvatore Aldisio, ad ovest
dell’antica cinta muraria del
centro storico federiciano,
esiste una depressione naturale
a forma di “V” definita
anticamente come “Vallone
dell’Orto Pasqualello”. In
origine, chissà da quante
migliaia di anni, tale “vallone”
era il declivio naturale dove
scorreva verso il mare l’acqua
piovana proveniente dal bacino
imbrifero della zona a nord
della collina, zona che dal 1700
è sede dell’attuale borgo.
Il
Corso Salvatore Aldisio (già
denominato tempo prima Corso
Vittorio Emanuele, via XX
Settembre e in origine Corso
Borgo) nella sua prima parte si
snoda su un ponte ripieno
realizzato probabilmente in due
tempi; un semplice terrapieno
intorno ai primi dell’Ottocento
allo scopo di rendere
transitabile il dirupo naturale
che si estendeva da Porta Licata
verso occidente, e un ponte vero
e proprio (l’attuale) dopo
l’Unità d’Italia, su
interessamento del conterraneo
Senatore del Regno, Ing. Comm.
Vincenzo D’Anna (1831-1902).
In
particolare, per passare da una
parte all’altra del suddetto
vallone si deve immaginare in
origine una trazzera soprelevata
che percorreva tale zona
scoscesa che scendeva forse per
più di 10 metri, per poi
risalire gradualmente verso
ovest, all’altezza dell’attuale
Convitto Pignatelli; quindi, un
percorso accidentato e per
niente proponibile soprattutto
nei periodi di pioggia.
Pertanto, successivamente è
presumibile che sullo stesso
tracciato, si sia iniziato a
costruire l’attuale ponte
ripieno per livellare la zona a
nord del suddetto vallone e
quindi congiungere il centro
murato mediante una carrozzabile
con l’area a nord-ovest
dell’attuale Villa Comunale dove
poi, più a ovest, sarebbero nati
in continuazione i quartieri San
Giacomo, “Locu Baruni”,
Sant’Ippolito, Cimitero e Capo
Soprano. Allora intanto, anche
se con notevole ritardo,
l’Amministrazione comunale diede
esecuzione all’editto
napoleonico del 12 giugno 1804,
seguito in Italia dall'Editto di
Polizia Medica emanato sempre da
Saint Cloud il 5 settembre 1806,
che soprattutto per motivi
sanitari (ondate di tifo, colera
e difterite che decimavano le
popolazioni) previde la
costruzione dei cimiteri lontano
dalla città con il divieto di
seppellimento dei morti in
cripte e fosse comuni
all’interno delle chiese e fuori
dalle stesse nelle loro aree
perimetrali.
Su
progetto degli ingegneri Di
Bartolo e Failla, infatti, il
Comune fece costruire un
cimitero che fu benedetto il 1°
settembre del 1844. La strada
carrozzabile, che finiva al
termine del ponte ripieno, come
scritto sopra fu allungata fino
al cimitero, determinando
l’espansione della città verso
ovest, con la realizzazione di
orti e case a piano terra, che
diventarono poi veri e propri
villini di residenza estiva di
gente facoltosa, in particolare
a Capo Soprano. In quest’ultima
contrada, a partire dagli anni
Quaranta, prima nacquero interi
quartieri abitativi che
occuparono
sempre di più la superficie
degli stessi orti, mentre poi, a
partire dagli anni Sessanta,
subentrò l’edilizia
imprenditoriale privata che
realizzò solamente palazzi e vie
senza zone verdi e senza nemmeno
una piazza e tutto ciò con la
“benedizione” del Comune di
Gela.
Nel
contempo della costruzione del
ponte ripieno, al di sotto di
esso fu realizzato un canale, il
cosiddetto “cunnuttu” (un largo
condotto con arco a tutto
sesto), che mise in collegamento
l’attuale via XXIV Maggio con il
Vallone Pasqualello, grazie al
quale fu possibile far defluire
l’acqua piovana anche se a volte
la sua copiosità ne rendeva
difficile il deflusso e quindi
la suddetta via a volte si
allagava con l’acqua che
arrivava anche a un metro di
altezza. Da diversi decenni il
suddetto “cunnuttu”, dopo essere
stato obliterato, è stato
sostituito da una condotta che
scarica direttamente a mare.
La
superficie dell’Orto Pasqualello
era proprietà privata di tale
Giuseppe Lavore; nel 1927,
l’allora podestà di Gela Dott.
Antonio Vacirca, su proposta
dell’Ing. Rosario Iozza, stipulò
con lo stesso Lavore una permuta
facendo acquisire l’Orto, quasi
un ettaro di superficie, al
Comune con lo scambio di 32
ettari di terreno di proprietà
comunale in contrada
“Gibliamuto” forse allora di
pari valore venale.
L'ufficio tecnico del Comune,
dopo la permuta, procedette non
solo al recupero e al
risanamento della superficie
dell’Orto Pasqualello ma anche
alla sua aggregazione al
soprastante giardino pubblico
come una sua naturale appendice,
tant’è che fu dotato di viali e
aiuole come si vede nella foto
qui proposta. In una relazione
del suddetto Iozza che
accompagnava il progetto, si
leggeva anche: "…Ma ancora un
altro vantaggio otterremo, con
tale permuta, potremo costruire
una strada che partendo dalla
rotonda a sud del giardino si
muoverà nell'orto Lavore per
arrivare a mare, ciò permetterà
a tutti i bagnanti, durante
l'estate, di potersi servire del
giardino nel periodo di maggiore
caldo. Per tutti questi motivi
il sottoscritto ha caldeggiato
tale permuta...".
Questo appezzamento di terra
dell’attuale Orto Pasqualello in
origine era di proprietà di tale
Di Bartolo il quale nel 1761
diede incarico ad un mastro
muratore di nome "Pasqualeddru"
di costruire un muro di
contenimento per evitare il
franamento della terra
appartenente all’allora
orto-giardino dei PP. Cappuccini
(si ha notizia di ciò grazie al
compianto Saro Medoro che
parlava di una scrittura in
latino scolpita su una lapide,
da tempo scomparsa, dentro la
Villa),
Dopo la soppressione e la
confisca dei beni religiosi in
tutto il territorio nazionale,
con legge 7 luglio 1866, il
nostro Comune entrò in possesso
di molti beni immobili prima
appartenuti ai vari ordini
religiosi e tra essi
l'orto-giardino dei PP.
Cappuccini che fu trasformato
in Villa Comunale su progetto
del terranovese Ing. Emanuele
Labiso (1825-1893). La villa,
aperta al pubblico nel 1878, nel
1882 fu intitolata all’Eroe dei
Due Mondi Giuseppe Garibaldi
dopo la sua morte, infatti,
nella riunione n.790 del 6
giugno 1882, avente per oggetto
le “Onoranze
funebri all’Ill.mo Generale
Garibaldi”,
Purtroppo, da oltre mezzo secolo
nessuna amministrazione comunale
si è preoccupata di realizzare
il fine di quella suddetta
permuta; l'Orto è rimasto oggi
preda della vegetazione
spontanea, per fortuna senza più
miasmi grazie alla suddetta
condotta, e la villa è rimasta
con la stessa superficie anche
se sul lato est, nella prima
metà degli anni Cinquanta era
stata predisposta una scalinata
articolata a doppie rampe
laterali con funzione di
collegamento con l’ex orto.
Nella seconda metà degli anni
Cinquanta fu realizzato il
secondo ingresso alla villa dal
Corso, oltre quello originario
di via Cappuccini, su progetto
dell’Arch. Salvatore Cardella,
adornato da un moderno complesso
architettonico.
All’interno della villa, chiusa
per diversi anni per
ristrutturazione nella seconda
metà degli anni Novanta, si
trovano i busti marmorei di
Garibaldi e di Umberto I; il
primo fu scolpito dopo la
scomparsa di Garibaldi da uno
scultore cefaludese di origine
gelesi, il Prof. Filippo Luigi
Labiso (1864-1942), lo stesso
che scolpì il monumento marmoreo
del Cardinale Panebianco in
chiesa Madre, il secondo fu
scolpito da Antonio Ugo valente
scultore palermitano;
quest’ultimo busto fino al 1952
troneggiava al centro di Piazza
Umberto I. Gli ultimi lavori degli anni Novanta nella villa, interessarono anche l’Orto Pasqualello con la realizzazione tra l’altro di un anfiteatro all’aperto che in trent’anni è stato utilizzato solo alcune volte per qualche manifestazione anche perché, da tempo coperto dalla vegetazione spontanea, è letteralmente sparito alla vista e soprattutto dalla memoria. E’ tempo ormai che la villa Garibaldi, che da tempo sta “stretta” agli oltre settantamila gelesi, venga ampliata per essere maggiormente fruibile e soprattutto per aumentare un polmone di verde in questa città che ne ha tanto bisogno con la soluzione, a nostro modo di vedere, di utilizzare la sottostante superficie abbandonata dell’ex “Orto di Pasqualello” a verde pubblico. E non sarebbe una cattiva idea dal momento che nel corso dei decenni si parla di sottrarre quest’area al verde pubblico della città con diversi progetti approntati dal Comune di Gela per la realizzazione di un parcheggio.
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