QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Maggio 2021

Argomenti
CARTOLINA DI OGGI

AL CARICATORE, L’IPOTESI DI UN ANTICO PORTO SOMMERSO

DUE MEDAGLIE D’ORO DI GELA NELLA GUERRA CIVILE IN SPAGNA

LAVORI AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI GELA

AL CARICATORE, L’IPOTESI DI UN ANTICO PORTO SOMMERSO

    L’immagine della cartolina riportata su questa pagina risale ai primi degli anni Dieci, e ritrae quella parte del litorale di Gela, ad ovest del porto Rifugio, denominata Punta Caricatore o Caricatoio; la costruzione che si vede sullo sfondo era quella della Dogana.    

    Caricatore deriva dal verbo caricare e proprio su questa zona del litorale esisteva un modesto scalo marittimo per imbarcare sulle navi grano, ce­reali ed altro da scaricare in altri porti o in altri scali. Notizie sul Reale Caricatoio di Terranova-Heraclea (Gela) si trovano già a partire dal XIII secolo; si sa infatti che fu istituito il 26 novembre del 1279, durante il dominio dei guelfi Angioini sull'Italia meridionale, e funzionò fino al giugno del 1819 allorquando i Regi Caricatori della Sicilia furono tutti aboliti dal governo borbonico.

    Antistante all’edificio della Dogana esisteva fino alla prima metà del Novecento un porticciolo, costituito da una superficie di mare riparata da una scogliera disposta a semicerchio, con l’ingresso a levante, che permetteva il rifugio a piccoli natanti. Tuttora, anche se la realizzazione del Porto Rifugio e del Lungomare hanno trasformato completamente questa parte di litorale, quando l’acqua è particolarmente limpida, è possibile intravvedere ancora i resti di tale scogliera. Oltre ad essa, a detta di alcuni pescatori subacquei, esistono sotto acqua anche dei grossi conci quadrati che farebbero pensare forse all’esistenza di un porto di epoca più antica riferibile al periodo greco.       

    Fino ad oggi non ci sono prove certe che attestino la sua presenza, però, se l’esistenza di tali vestigia corrispondesse a verità sarebbe un fatto eclatante per Ge­la in quanto sicuramente ri­vestirebbe un importanza archeologica notevole. L’interpretazione di un brano di storia dell’antichità classica di Gela, riferita al tiranno Gelone, però, non ci dà nessun conforto sull’esistenza di un porto a Gela, anzi ci dimostra il contrario.    

    La storia ci dice che Gelone verso il 485 a.C. si trasferì da Gela, sua città na­tale, a Siracusa, dopo averla conqui­stata senza nessuna contesa e acclamato dai Siracusani come paciere dopo un breve assedio.  E poichè da tempo il nostro ti­ranno si prefiggeva di cacciare i bar­bari Cartaginesi dall'Isola, la città aretusea era logisticamente adeguata per tale suo scopo, infatti, in essa si trovavano una potente flotta navale e un buon porto, per­tanto, un motivo valido di tale trasfe­rimento poteva riferirsi probabilmente al fatto che l’antica Gela non of­friva nè l'una (la flotta) nè l'altro (il porto). Di conseguenza la conquista di Siracusa da parte del tiranno geloo che avrebbe dovuto portare più prosperità e grandezza a Gela, probabilmente si trasformò in causa di decadenza per quest'ultima.   

    All'ipotesi sull'esistenza di un an­tico porto greco sul litorale di Gela se ne affianca un’altra, quella del teatro greco. Ma questa è un’altra storia.

Nuccio Mulè

DUE MEDAGLIE D’ORO DI GELA NELLA GUERRA CIVILE IN SPAGNA

 

    La guerra civile in Spagna, scoppiata alla fine del 1936, in termini di perdite costò cara all’Italia con più di 3.500 caduti e quasi 13.000 feriti nei campi di battaglia oltre a circa 300 tra dispersi, deceduti per malattia e incidenti vari. A ciò vanno aggiunte le ingenti perdite di materiale che depauperarono il già scarso potenziale bellico italiano alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quantificabili in 14 miliardi di lire dell’epoca.

    Le “camicie nere” della M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale) che parteciparono alla guerra civile spagnola furono complessivamente 29.000 con il ricevimento di 4 ordini militari di Savoia, oltre a 33 Medaglie d’Oro, 426 Medaglie d’Argento, 532 Medaglie di Bronzo e 1.745 Croci di Guerra, tutti al Valor Militare e in parte alla memoria.

    I corpi di spedizione della milizia partirono per la Spagna in appoggio al colpo di Stato del 17 luglio 1936, che vide contrapposte le forze nazionaliste guidate da una giunta militare, tra cui primeggiava il generale Francisco Franco, contro il governo legittimo della Repubblica Spagnola,  sostenuta dal Fronte popolare,  un raggruppamento di partiti democratici vincitore delle elezioni nel febbraio precedente.

    Delle 33 medaglie d’oro alla memoria concesse alla milizia, due andarono ai gelesi Emanuele Guttadauro e Giuseppe Valenti.

    Di Croce e di Bertino Concetta, Emanuele Guttadauro nacque a Terranova di Sicilia il 9 marzo del 1899. Reduce da bersagliere della Grande Guerra col grado di tenente di complemento, riprese gli studi conseguendo nell’Istituto Superiore a Ca’ Foscari di Venezia la laurea in Scienze Economiche e Commerciali. Rientrato in Sicilia fu assunto come funzionario al Banco di Sicilia, divenendo successivamente direttore dell’agenzia di Marsala.

    Il 22 aprile del 1938 lasciò l’incarico e la famiglia (moglie e quattro figlie femmine) per partire volontario nella guerra di Spagna dove gli fu assegnato il Comando come Capitano di Complemento del 1° Rgt. Ftr. “Frecce Azzurre”. Dopo un aspro combattimento sul fronte di Teruel, ferito gravemente fu ricoverato nell’ospedale da campo a Barracas-Rio Palancia dove la notte del 21 luglio 1938 decedeva. Ebbe sepoltura nel Sacrario Militare Italiano di Saragozza.

    Il 9 maggio del 1939 a Roma, nella giornata dedicata alla celebrazione dell’Esercito e dell’Impero, Vittorio Emanuele III, alla presenza del duce, consegnò alla vedova Concetta Ferrara la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: “Virile espressione dell’itala gente fascista, venuto in terra di Spagna col deliberato proposito di servire con umiltà ed ardore, cuore cristallino di prode, durante un’aspra avanzata, uomo di punta, trascinava con luminoso esempio la compagnia, cui era affidato l’incarico di affrontare per prima il nemico. Tutti gli obiettivi brillantemente raggiunti, egli, il giorno successivo, appreso che si sarebbe dovuto attaccare una serie di quote nemiche ben munite e ben presidiate, si offriva volontario col suo reparto. Il 21 luglio, sotto il sole allucinante ed il morso della sete, in un terreno aspramente selvaggio, dopo aver attraversato una zona dal nemico battuta con fuoco micidiale, mai coprendosi mai schivando la morte, caduti uno dopo l’altro tutti i suoi ufficiali, assaltava con pochi animosi una quota dalla quale il nemico interrottamente reagiva con rabbia. A pochi passi della trincea rossa il supremo suo ansito veniva spezzato da una pallottola che gli attraversava il ventre per poi perforargli un braccio. Caduto, ma non domo, persisteva nell’incitare i suoi uomini a perdurare nel loro sforzo, sino a quando il suo stesso sangue non gli strozzava in gola l’incitamento. Sintesi fulgida di italiana virtù. Barracas-Rio Palancia 19-21 luglio 1938 - XVI”.

    Di Luigi e di Molara Giuseppa, Giuseppe Valenti nacque a Terranova di Sicilia il 5 novembre 1899. Dopo aver lasciato la divisa di carabiniere, aderì alla M.V.S.N. e col 724° Rgt. “Bandiera Inflessibile” delle CC.NN. scelse di partire volontario nella guerra civile in Spagna dove, nonostante le ferite riportate durante un’azione di guerra a Guadalaiara, riuscì con i suoi arditi a far allontanare il nemico anche se nella continuazione di quella coraggiosa ed eroica azione, però, fu colpito a morte. Valenti ricevette dal governo spagnolo una Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria con la seguente motivazione: Durante l’occupazione di una forte posizione nemica, sotto il fuoco micidiale dell’avversario, si slanciava all’assalto al canto di “Giovinezza” mentre ancora infuriava la preparazione delle nostre artiglierie. Ferito una prima volta rifiutava ogni cura e, ponendosi nuovamente alla testa degli arditi, proseguiva verso la meta, gridando: ”L’ardito non teme e non muore”. Ferito ancora e ridotto all’estremo delle forze a causa della perdita di sangue, raccoglieva le ultime energie, per scagliare tutte le bombe a mano che teneva contro il più vicino fortino nemico, nel quale irrompeva per primo brandendo il pugnale. Nel tentativo di inseguire il nemico esterrefatto, datosi alla fuga, incontrava morte eroica. - Guadalaiara 11 marzo 1937 - XV”.

    Di quest’ultimo eroe se n’era persa memoria nonostante che negli anni Cinquanta gli fosse stata inaugurata dal Comune una via al Villaggio Aldisio. Grazie, però, ad una pubblicazione del 1954 del conterraneo Francesco Savà, dal titolo “MEDAGLIE D’ORO DELLA PROVINCIA NISSENA”, che riporta il nominativo del Valenti, e grazie ad un suo parente, il Luogotenente Cav. Nicolò Bulone, del Reparto Territoriale dei Carabinieri di Gela, si è riusciti a delineare questa sintetica biografia.

Nuccio Mulè

 

 

Emanuele Guttadauro e Giuseppe valenti

Medaglie d'Oro al Valor Militare alla memoria

 

 

LAVORI AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI GELA

 

 

 

     Il Museo Archeologico di Gela fu realizzato nella seconda metà degli anni Cinquanta per conto del Ministero ai Lavori pubblici, sullo stesso sito dove prima era ubicata un’arena cinematografica, l’Arena del Sole nel quartiere Molino a Vento; i fondi utilizzati furono quelli della Cassa per il Mezzogiorno, su progetto dell'architetto Luigi Pasquarelli. L'edificio fu costruito dall'impresa I.Co.Ri. di Milano con la direzione dell'architetto Rosario Corriere; l’inaugurazione avvenne il 21 settembre 1958 alla presenza del Sottosegretario della P.I. On. Prof. Angelo di Rocco, del Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, di 80 illustri archeologi italiani e stranieri, di un folto e sceltissimo pubblico, nonché del Sindaco Avv. Fortunato Vitali, dell’On. Avv. Salvatore Aldisio, dell’Assessore Regionale alla P.I. On. Paolo di Grazia e del vice Presidente della Cassa per il Mezzogiorno On. Avv. Rocco Gullo; la relazione ufficiale fu letta dall’allora Soprintendente alle Antichità di Agrigento Dott. Pietro Griffo.

Reperti archeologici di Gela nei musei del mondo

    La nascita del museo pose fine al pluridecennale dirottamento di centinaia e centinaia di reperti archeologici di Gela in altri musei dell'isola come Palermo, Siracusa e Agrigento; nel museo archeologico di quest’ultimo capoluogo si cita l’eccezionale grande cratere a volute dell’Amazzonomachia a figure rosse del V sec. a.C. del pittore dei Niobidi, richiesto da decenni e mai restituito al Museo Archeologico di Gela. Purtroppo già a partire dalla fine dell’Ottocento e anche prima, una notevole quantità di reperti archeologici unici e di inestimabile valore scoperti a Gela, trovarono posto in diversi musei d’Italia come Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Milano, Genova e maggiormente all’estero come in Inghilterra (Londra, Oxford, Reading), Germania (Berlino, Lipsia, Monaco, Kassel, Gotha, Tubingen, Marburg, Stoccarda, Amburgo), Austria, Svizzera (Ginevra, Basilea, Zurigo), America (New York, Boston, Cambridge nel Massachusetts, Baltimora, Tampa, Yale, Rhode Island, Cleveland) e persino in Russia e Giappone; tutto ciò grazie alla vendita fatta da tutti quei improvvisati collezionisti aristocratici nostrani dei tempi passati, possessori di terre, che si ritrovarono un sacco di reperti archeologici tolti ai contadini per un tozzo di pane. A quella copiosa quantità di reperti bisogna aggiungere tutti quelli trafugati ed esportati clandestinamente dell’ordine di diverse migliaia che da tempo fanno parte di sconosciute collezioni private in tutto il mondo.   

    L'organizzazione del museo, già dalla sua nascita, rispondeva ai criteri di massimo rigore scientifico e teneva conto delle più ricercate esigenze della museografia; le diverse migliaia di oggetti esposti nelle vetrine e gli scavi da cui essi provenivano, erano abbondantemente commentati da didascalie, spesso minuziose e particolareggiate e da pannelli con grafici e con ingrandimenti fotografici collocati sulle pareti, che davano al museo stesso una figurazione scientifica di prim’ordine. Altri numerosi reperti, di maggiori dimensioni, erano sistemati fuori dalle vetrine a completamento del panorama storico-archeologico.

Primi lavori di ristrutturazione del Museo

    Nel 1980 il museo, per accogliere un maggior numero di reperti che si continuavano a trovare nelle varie campagne di scavo a Gela, fu ristrutturato e opportunamente ampliato; in particolare, dal cortile interno con vetrate si ricavarono a pianoterra la sala Eschìlea (con le vetrine della collezione Navarra) e al primo piano gli spazi espositivi che poi dovevano accogliere il monetiere, i tre altari fittili ritrovati a Bosco Littorio, e il vaso laconico del VI sec. a.C. a figure nere, attribuito al Pittore della Caccia, vaso recuperato nel giugno del 2010 a Ginevra dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale a seguito dell'operazione "Andromeda". Inoltre, a sud e a ovest della struttura furono realizzati degli ampliamenti che aumentarono significativamente lo spazio espositivo con i reperti provenienti dai santuari extra-urbani e dai centri di età prostorica, greca e romana dell’entroterra gelese; sempre in tale nuova struttura del primo piano si aggiunsero diverse vetrine dove furono esposti i reperti ceramici, i vetri e i bronzi del periodo medievale della città. Riaprì i battenti al pubblico il 19 novembre 1984.

    Nel febbraio del 1995, però, l’edificio subì ancora un’altra chiusura in relazione ad un progetto di riammodernamento, comprendente tra l'altro la sostituzione delle vetrine espositive all’ingresso (per accogliere anche i reperti di nuovi scavi come quelli subacquei della nave greca scoperta nel 1988 sui fondali del mare di Bulala), la ripavimentazione ed un nuovo sistema di allarme con telecamere a circuito chiuso. Riaprì così nel 1997 anche se non completamente fruibile e ciò a causa una lesione della parte centrale del soffitto che causò solamente la chiusura temporanea della sala Eschilea.

Ben 936 cassette di reperti archeologici da Gela a Caltanissetta

    Tra il maggio del 1999 e il novembre del 2001, con una a dir poco discutibile azione ai danni del patrimonio archeologico di Gela, furono trasferite nel capoluogo nisseno ben 936 (novecentotrentasei) cassette piene di reperti archeologici trovati in diversi periodi a Gela e nel suo interland, reperti archeologici inventariati e quindi ancora riscontrabili nei registri del nostro museo archeologico. Si trattò di un numero di reperti archeologici veramente impressionante che fu sottratto al nostro patrimonio storico e che da allora si trova indebitamente a Caltanissetta; “Sarebbe cosa buona e giusta…” farli rientrare a casa loro. E pensare, tanto per citare un esempio, che nel 2008 nel Museo Archeologico di Caltanissetta c’è stata una spesa di 557 mila € per 14 custodi a fronte di 63 € di incasso con 34 visitatori (dati di Antonio Faschilla su Repubblica, giovedì, 18 Marzo 2010, con l’articolo dal titolo: “Sicilia, al museo più custodi che visitatori”).

    Il discorso sulla restituzione ovviamente riguarda anche la copiosa quantità di reperti archeologici ritrovati a Gela negli ultimi decenni e conservati preso la sede distaccata della Soprintendenza nei locali di Bosco Littorio di Gela; su questi ultimi bisogna vigilare affinchè non facciano prima o poi la stessa fine dei precedenti.

Ancora lavori di ristrutturazione

    Ancora oggi le vicissitudini del museo di Gela non sono terminate, infatti, da qualche settimana ha chiuso i battenti per provvedere ad una serie di trasformazioni che prevedono l’abbattimento delle superfetazioni degli anni ’80 poste a sud e a ovest, i cosiddetti “cassoni”, in quanto le travi di sostegno, si dice, si sono scoperte prive di fondazioni; la loro eliminazione consentirà al museo di ritornare alla primigenia struttura di architettura razionale degli anni Cinquanta. E per compensare questi spazi espositivi da eliminare, sarà utilizzata l’ala est, degli uffici amministrativi che saranno trasferiti nella villetta dell’Acropoli, ex casina Di Fede. Ovviamente tutte le casse dei legni della nave greca, oggi nella sala eschilea, e i reperti ritrovati negli scavi subacquei andranno a corredare lo spazio espositivo del nuovo Museo della Nave a Bosco Littorio che finalmente prossimamente vedrà la luce, dopo ben 32 anni dal ritrovamento del primo relitto della nave greca sui fondali del mare di Gela.

    In tutta questa serie di lavori è previsto anche un nuovo sistema di videosorveglianza sia per lo stesso museo che per le aree archeologiche dell’Acropoli e delle fortificazioni greche di Capo Soprano. E per il Castelluccio e le altre aree archeologiche come Grotticelli, Manfria, Bubbonia, Desusino? Continueranno ad essere penalizzate nel subire la feroce azione dei vandali seriali e gli scavi clandestini infiniti dei tombaroli!

Intitolazione del Museo di Gela al Prof. Piero Orlandini

    Forse oggi il Museo di Gela è l’unico in Italia a non avere una intitolazione, pertanto, nell’occasione della prossima sua riapertura sarebbe opportuno e giusto dedicarlo al compianto Prof. Piero Orlandini, accademico dei Lincei, padre prestigioso dell’archeologia gelese (assieme a Griffo e ad Adamesteanu) e grande figura dell'archeologia italiana dell'ultimo mezzo secolo. Si spera che non sarà cura solo dello scrivente insistere a proporre a chi di dovere tale intitolazione.

 

Le 936 cassette trasferite

    Si può comprendere, ma non giustificare, che il trasferimento di 936 cassette dal museo archeologico di Gela a quello di Caltanissetta allora abbia riguardato anche materiali provenienti da diverse contrade di Butera, Niscemi, Sabucina, Capodarso, ecc., ma che tra i materiali trasferiti a Caltanissetta ce ne sia stata una cospicua quantità proveniente da Gela, non è per niente concepibile. Ci riferiamo, in particolare, a 266 cassette di cui 106 con reperti protostorici ritrovati in contrada I Lotti a Manfria negli scavi del 1997 e del 1988, 69 con reperti ellenistici ritrovati negli scavi del 1999 e 2001 a Capo Soprano, 16 di materiale archeologico ritrovato nello scavo del 2001 in via Colombo, 19 a Villa Jacona nel 2001 e 56 cassette con materiale archeologico proveniente dagli scavi del 1995 in un terreno privato di via Indipendenza a Gela. E se poi aggiungiamo i reperti archeologici di ben altre 107 cassette provenienti dagli scavi delle necropoli di Monte Majo e Canalotti arriviamo a un totale di quasi 400; un numero incredibile di reperti archeologici che adesso, a parere dello scrivente (e non solo), si trova indebitamente a Caltanissetta.

Il monetiere del Museo di Gela

    Il monetiere del museo archeologico di Gela raccoglie quasi 2.000 monete di argento e di bronzo, con diversi esemplari d’oro, che riflettono lo sviluppo del fenomeno monetale in Sicilia dal V sec. a.C. fino all’età moderna, compresi i periodi spagnolo, borbonico e dei Savoia. La maggior parte di esse proviene dall’ex Stazione ferroviaria, da Bitalemi, da Sofiana, da Passo di Piazza, da Manfria e da Casa Castellano. Nel 2000, progettista e direttore dei lavori di allestimento espositivo del monetiere è stato l’Arch. Stefano Biondo; lo studio, la disposizione e la didascalizzazione nelle vetrine è stata curata dalla Prof.ssa Maria Caccamo Caltabiano, titolare della Cattedra di Archeologia Greca e Romana dell’Università di Messina, e dal Prof. Salvatore Garraffo, del Centro di Studio sull’Archeologia Greca del CNR di Catania.

    Il tesoro di Gela, il maggiore ritrovamento di tutto il mondo greco-arcaico, casualmente venuto alla luce nel 1956 nell’area della ex Stazione ferroviaria, prima del suo trafugamento dal Museo, avvenuto nel 1973, era costituito da ben 847 monete così ripartite:

- 251 tetradrammi di Gela;

- 16 tetradrammi e 2 didrammi di Siracusa;

- 387 didrammi di Akràgas;

- 2 tetradrammi di Zankle;

- 2 tetradrammi di Akantos;

- 187 tetradrammi di Atene.

    Nel recupero del tesoro, effettuato dall’INTERPOL nel 1975, però, sono stati perduti circa 300 esemplari di cui quasi tutti tetradrammi di Gela, infatti ne sono rimasti solamente due, peraltro in parte rovinati.

    Il monetiere del museo di Gela, dopo ben 28 anni di indisponibilità, fu riaperto alla pubblica fruizione il 23 luglio del 2001.

    Su proposta dello scrivente, l’8 settembre 2020, per la serie tematica “il Patrimonio artistico e culturale italiano” del Ministero per lo Sviluppo Economico, è stato emesso dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., un francobollo, un annullo postale, un bollettino illustrativo e un folder, tutti dedicati al Tetradramma di Gela.

Nuccio Mulè

 

 

 

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