DONNINA E SALUTI DA TERRANOVA
FRATE BENEDETTO MARIA CANDIOTO CARMELITANO
CARTOLINA DI OGGI - DONNINA |
La cartolina vintage di oggi, formato 13,5 X 8,8 cm., viaggiata e datata dal mittente 10 agosto 1920, oltre ad essere rara è sicuramente una delle più belle e più colorate cartoline illustrate d’epoca di Gela al tempo in cui si chiamava Terranova di Sicilia. Raffigura una donnina con un mazzo di fiori mentre accenna ad un sorriso con sguardo tra il serioso e l’ammiccante; il tutto con contorni sfumati su un mare spumeggiante con una barca a vela di pescatori e un cielo plumbeo. A oltre cento anni di distanza dalla loro nascita, le cartoline vintage raccontano brani della nostra storia ma anche tratti di vita quotidiana. Per alcuni generi di cartoline le raffigurazioni spesso sono tutte al femminile e ritraggono donne in carriera, fatali, attrici, sportive, ma anche casalinghe; mantengono comunque un fascino inalterato assumendo la funzione di testimoni di un periodo storico con gli stili in voga all’epoca fino a diventate veri oggetti da collezione. Questa cartolina d'epoca costituisce dunque il motivo conduttore di una passeggiata per la città scandita dalle immagini che, oltre a rappresentare un percorso di rivisitazione di luoghi, mettono insieme eventi e personaggi che lasciano emergere un itinerario storico che ci appartiene. Andando, infatti, oltre le piazze, le vie, i monumenti, i palazzi, i luoghi e i personaggi che ci giungono da questi “oggetti”, che sono le cartoline illustrate, affiorano via via fatti e avvenimenti passati che finiscono per definire una serie di legami con le immagini e i luoghi del presente che spesso ci fanno scoprire cose perdute come la vivibilità e la città a misura d'uomo; ma, permettono anche di scoprire errori e scempi di persone che stoltamente e per interessi personali hanno messo le mani sulla città, modellandola a immagine e somiglianza del degrado, dell'incuria, dell'insipienza, dell'abbandono. E tutto ciò oggi può essere mai foriero di turismo per una città che vanta in particolare molte risorse di archeologia? Più sotto nella scena infatti è riportata l’immagine di una cartolina illustrata, contornata da foglie e fiori, con quattro vedutine di Terranova di Sicilia degli anni Dieci-Venti che ritraggono via XX Settembre (oggi Corso Salvatore Aldisio), il quartiere Pietro Toselli, Corso Vittorio Emanuele e la chiesa Madre; lo sfondo è quello di un paesaggio marino con un bastimento a due alberi in navigazione sicuramente per richiamare la marineria, una delle principali caratteristiche economiche della città dopo l’agricoltura. Sul retro oltre al “Visto Censura Torino”, vi sono due francobolli di 10 e 5 centesimi di Poste Italiane, raffiguranti la testa di Vittorio Emanuele III, e una scritta del mittente, tale Salvatore Petitto, che recita: “Sull’aure ale del pensiero invio affettuosissimi saluti con tutta l’espansione del cuore”; la cartolina è indirizzata alla Sig.ra Vecchiattini Bianca, insegnante di Rivarolo Ligure, (prov. Genova), in via Cambiaso n.14, int. 8. FRATE BENDETTO MARIA CANDIOTO CARMELITANO
Frate Benedetto Maria Candioto
Nel
quartiere di Capo Soprano, a sud
di via Manzoni, esiste una
strada dedicata ad un secentesco
personaggio religioso di Gela,
il frate carmelitano Benedetto
Maria Candioto; alla quasi
totalità dei gelesi tale nome
non dice completamente nulla
(anche perché sulla targa
stradale è riportato solo il
cognome), così come non dicono
nulla altre centinaia e
centinaia di nomi delle vie
cittadine; nell’assegnazione dei
toponimi sarebbe opportuno,
pertanto, che il Comune di Gela
provvedesse a corredare le
targhe murali con qualche minima
informazione in particolare su
quelle dedicate ai personaggi.
Ma chi era questo Candioto frate carmelitano? Della sua vita si sa ben poco. Era un religioso del convento dell’ordine che visse molti anni della propria vita a Terranova. Probabilmente nacque intorno al 1680 e morì più che ottuagenario verso il 1765. Prese gli ordini religiosi nei primi anni del XVIII secolo a Siracusa, in quanto Terranova allora faceva parte della diocesi della città aretusea. Nel 1723 conseguì a Roma la laurea in Sacra Teologia. Ritornato subito dopo in Sicilia, iniziò il suo lungo ministero prima nella cittadina di Gangi e poi in quella di Piazza Armerina. Rientrato qui, gli fu assegnata la funzione di priore nel convento dei PP. Carmelitani; una delle prime sue attenzioni fu quella di ricostruire la chiesa, da tempo seriamente lesionata non soltanto per vetustà, ma probabilmente in seguito al terribile terremoto del 1693 nella Sicilia orientale; per tale ricostruzione, realizzata nei primi decenni del 1700, furono utilizzate delle pietre ricavate da antichi resti di mura e palazzi della zona di Capo Soprano. Fu un uomo di grande dottrina, molto pio e dotato di un non indifferente senso pratico; fu consigliere del Padre Provinciale e fece, inoltre, numerosi viaggi in varie parti d’Italia acquisendo una vasta gamma di esperienze come quelle di scrittore e religioso. Il suo nome probabilmente era famoso in Sicilia e si sa che, per la sua forte personalità religiosa, era influentissimo in larghi strati sociali della nostra zona. Buon parlatore, doveva questa fama alla sua cultura e al senso di pietà che albergava nel suo animo. Benedetto Maria Candioto scrisse molto; una sua opera importantissima è De’ Saggi Storici di Sicilia in diciotto libri, pubblicata verso la metà del Settecento e dedicata all’Eccellentissimo Don Fabrizio Aragona (Pignatelli, Cortes, Pimentelli e Mendoza) Duca di Terranova, Monteleone e Bellosguardo (ma anche Principe, Marchese, Conte, Barone, Signore di diverse città, Grande di Spagna di Prima Classe, Gran Prefetto perpetuo e Capitano d’Arme nel Regno di Napoli), un grosso e potente nome della nobiltà siciliana di allora. E’ molto probabile, però, che altre opere non edite dal Candioto siano rimaste come manoscritti e si afferma ciò perché nella parrocchia della chiesa del Carmine esistono un centinaio di fogli (chissà in origine quanti fossero) risalenti ai primi decenni del Settecento che trattano dei miracoli della statua dell’antico Crocifisso di cartapesta tuttora esposto nell’altare centrale; inoltre, assieme ad essi si trova pure una ventina di fogli di un secolo prima, del Seicento in particolare, riferiti alla copia di un Processo Verbale sull’effusione di sangue della suddetta statua del Crocifisso, avvenuta il 29 marzo del 1602, processo verbale il cui originale è depositato presso l’archivio dell’Ordine dei PP. Carmelitani della Tr aspontina di Roma. Al di là della descrizione dei miracoli, il manoscritto del Candioto ci dà notizie di una Terranova ormai lontana dalla nostra maniera di vivere e di pensare, una cronaca settecentesca inedita, anche se concisa. Il manoscritto è stato completamente decifrato dallo scrivente e, con il concorso dell’amico pittore Pino Tuccio che ha curato la rappresentazione grafica, stampato nel 1982 dalla libreria editrice G.B. Randazzo col titolo Relazione anticha d’istoria terranovese. |
PALAZZO MALLIA
Salone delle Dame Salone delle Feste Nel cuore del centro storico di Gela, ad una cinquantina di metri a ovest della Chiesa Madre, esiste un importante edificio risalente alla fine del XVII secolo il palazzo Aldisio-Mallia, nel cui interno si trova uno dei più bei complessi artistici d’epoca di Gela e di tutto il suo comprensorio. L’edificio, probabilmente in origine di tutt’altro aspetto, faceva parte di un complesso edilizio secentesco che ospitava un Conservatorio di giovanetti orfani, una chiesa, quella di S. Corrado (le cui vestigia sono tuttora visibili all’angolo tra il Corso e Via Marconi, anticamente già Via Conservatorio), e una torre campanaria, prospiciente Vico Mallia a nord, di cui si è conservata una buona parte. Dall’esterno il palazzo è molto semplice, dopo degli interventi precedenti che ne hanno eliminato notevoli modanature, ma già varcando la porta d’ingresso, servita da un artistico cancello esterno in ferro battuto, che fa accedere alle sue stanze del primo piano si comincia a respirare un’aria d’altri tempi, complici l’arredamento, le suppellettili e gli affreschi dei soffitti che ci riportano ai fasti delle famiglie nobili dei secoli trascorsi. Ogni parte delle stanze, dal pavimento al soffitto, è degno di essere definito come un’opera d’arte, il tutto da catalogare come un gioiello del nostro patrimonio artistico che miracolosamente si è salvato dall’usura del tempo e dalla mano devastatrice dell’uomo. Diverse volte negli anni precedenti, purtroppo senza risultato, si è cercato di far interessare l’ente locale Comune di Gela, con diversi sindaci e assessori, ad un eventuale acquisto, in modo tale da sgravare la proprietaria Sig.ra Marisella Aldisio di tutti quei numerosi e pesanti oneri che ne realizzano il mantenimento e che comportano periodicamente spese di ingenti somme di denaro per i restauri conservativi; si sta veramente correndo il rischio di vedere compromesso questo interessante complesso artistico così come è accaduto qualche decennio fa al palazzo Tedeschi, in cui si sono perduti per sempre affreschi e arredamenti ottocenteschi di valore, e ancora prima ad altri antichi palazzi nobiliari. Non è semplice mantenere intatti i pregevoli affreschi ornamentali di squisita sensibilità cromatica delle volte dei saloni, così come le delicate carte da parati dipinte mirabilmente a mano e le coperture in foglie di oro zecchino degli infissi, per non parlare dei tendaggi di porte e balconi, delle tappezzerie in broccato di divani e poltrone, degli stucchi decorativi, dei laccati delle console e delle specchiere, dei lampadari in vetro di Murano, in particolare quello del 1730 del Salone delle Rose con 40 punti luce, e un pianoforte a coda, un Pleyel francese del 1849. Non è per niente semplice ridare il giusto lustro a quanto sopra elencato, sia nel trovare valide maestranze per il restauro, sia riguardo l’aspetto economico. E di quanto descritto ne sapeva molto il compianto Rocco Nicoletti, consorte della suddetta Sig.a Marisella, soprattutto per le spese sostenute nel restauro conservativo. Fino ad oggi le stanze più importanti del palazzo sono state fruibili in determinate occasioni; negli anni, infatti, si sono effettuate mostre di pittura, conferenze, visite e riunioni ma anche diverse feste che in questa cornice settecentesca hanno spesso rappresentato una rivisitazione di vita aristocratica gelese dei tempi lontani. Nel palazzo sono stati accolti anche importanti personaggi come l’ambasciatore americano in Italia David Thorne il 10 luglio del 2013 in occasione del 70° anniversario dello sbarco Alleato. Ma adesso elenchiamo le caratteristiche più importanti all’interno del palazzo Aldisio-Mallia. L’ingresso-studio è caratterizzato dalla presenza di una serie di antichi quadri su cui sono effigiati alcuni antenati dell’attuale proprietaria; due console, una scrivania e un divano con sedie di vimini costituiscono l’arredo di questo vano. La carta da parati che avvolge le pareti è di color rosso cremisi su cui in bianco spiccano degli intrecci fitti di rami con frutti, foglie e fiori; il disegno è completato con uccelli che si cibano di piccoli frutti. Il pavimento è costituito da mattoni che disegnano delle stelle rosa e verde chiaro a otto punte, intervallate da quattro esagoni disposti a croce. Salotto bianco. Il vano, arredato di suppellettili di fine Ottocento, è caratterizzato dalla presenza di un salottino con poltrone tappezzate in broccato bianco; nel vano, in comunicazione con la sala da pranzo a est e con lo studio a ovest, si osservano una console con specchiera, due cristalliere, i tendaggi delle due porte e del balcone, un lampadario, un tavolo rotondo e due angoliere pensili. La carta da parati, su uno sfondo color castagno, evidenzia file regolari di fiori in boccio con petali zebrati e foglie in chiaroscuro con effetto prospettico. Il pavimento è costituito da mattoni che riportano dei cerchi concentrici dove si inscrivono dodici disegni a spirale, intervallati da intrecci di linee che fanno risaltare delle croci a punta. Salone delle Dame. La denominazione di questo ottocentesco ambiente deriva dalla presenza sul soffitto di quattro affreschi a medaglione a finti stucchi raffiguranti delle dame d’epoca. Il soffitto è interamente affrescato da una serie di forme geometriche e decorazioni, contenuti all’interno di comparti, che si snodano tutte da una serie di cerchi concentrici in posizione centrale; negli spazi di questa porzione sono ritratti, in posizione distanziata, quattro figure di bambini alternati da motivi floreali. Nella zona della volta reale, che si congiunge alle pareti, è presente una finta incorniciatura architettonica per ogni lato al cui centro è disposto il medaglione che ritrae una nobile dama d’epoca corredata da raffinate decorazioni floreali; le quattro cornici si interrompono ai vertici per dare spazio a quattro comparti angolari che raffigurano complessi decorativi floreali da cui emergono le figure di animali felini predatori. Al centro del soffitto pende un artistico lampadario in vetro di Murano con nove punti luce. Le suppellettili del salone sono costituite essenzialmente da quattro console con specchiera e un salottino con tavolo, divano, poltrone e diverse sedie con al centro una grande specchiera; agli angoli si trovano delle angoliere pensili, mentre sulle pareti sono affisse delle stampe incorniciate. Anche qui le porte e i balconi sono provvisti di tendaggi. La carta da parati, su uno sfondo di color ardesia, riporta dei complessi floreali con chiaroscuro di bianco e grigio misti ad intrecci a trama alternata di color oro. Il pavimento con mattoni a rilievo disegna per ognuno di essi un quadratino centrale con quattro cerchi bianchi rilevati con un incavo da cui spicca quella che sembra la figura di un uccello ad ali spiegate. Su una consolle del salone fino al 1973, prima di essere rubata, si trovava una pelike a figure rosse di 43 cm. di altezza del V sec. a.C. del Pittore dei Niobidi, raffigurante sulle due facciate la partenza di un guerriero e una scena di offerta. Il vaso nonostante la rogatoria internazionale del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Palermo si trova ancora in Giappone, probabilmente nel Museo Nazionale di Tokyo. Salone delle Rose. La caratteristica presenza della rosa come motivo dominante del grande lampadario e come disegno sulla carta da parati, sulle porte e sulle ante a soffietto dei balconi, ha dato la denominazione di Salone delle Rose (o Salone delle feste) a questo ambiente di più di 120 metri quadri. Tutto o quasi di questo salone si è conservato perfettamente così come lo si poteva osservare a partire dai primi anni del Settecento. Le tre porte dorate, comprese le sovrapporte con complessi decorativi in rilievo che inscrivono dei dipinti su tavola, sono tutte con foglie di oro zecchino e nei due riquadri riportano, su ambedue lati della porta, decorazioni di elementi vegetali abbastanza articolate che nel riquadro superiore avvolgono figure umane in diversi pose. Le console e le specchiere con cornici dorate, qui arrivano alle maggiori dimensioni. I complessi decorativi dei balconi con le quattro ante a soffietto includono riquadri verticali di complessi floreali con al centro la figura di una santa. Divani e poltrone sono tappezzati in broccato color bordeaux. Il lampadario di quasi tre metri e di oltre 300 Kg., dal centro di un affresco di un angelo all’interno di un complesso decorativo, si staglia verso il basso con le sue delicate rose in opaline e con i suoi 40 punti luce, il tutto un’opera originale del 1730 delle maestranze vetrarie di Murano. Agli angoli della volta reale si evidenziano quattro considerevoli affreschi, tutti uguali, di felice effetto decorativo con al centro la figura di un grosso uccello ad ali spiegate. La carta da parati su uno sfondo di bande verticali color oro e argento alternati riportano le figure delicate di rami, foglie e fiori di roseti. Il pavimento con mattoni a rilievo disegna delle figure vegetali di color bianco circoscritte da cornici quadrilobate di color marrone, il tutto su uno sfondo color verde giada. Le due porte del salone, quelle sul lato nord, tempo fa facevano accedere ad una stanza da letto degli ospiti e ad una cappella. Tra gli arredi del salone è presente un pianoforte francese a coda di notevole valore fabbricato dalla ditta del famoso costruttore Ignace Pleyel nel 1849. Questo edificio dunque, ancora intatto nella maggior parte delle sue stanze, deve necessariamente mantenersi nel tempo, così come si trova oggi, per arrivare alla più alta remota posterità. E per soddisfare questa segreta speranza occorre immediatamente l’intervento dell’Ente Locale; Comune di Gela e Regione Sicilia, da sempre sordi a tale richiesta, che attraverso un adeguato finanziamento evitino l’inesorabile e lento degrado di questo notevole bene culturale. Sarebbe ora che si cambiasse registro per evitare un ulteriore depauperamento di beni culturali alla nostra comunità. |