La cartolina,
dei primi anni
Dieci, prodotta
dalla “SOCIETA’
AN. IT.
INDUSTRIE
GRAFICHE -
TORINO”,
ritrae l’antica
Stazione
Ferroviaria di
Terranova di
Sicilia (Gela
dal 1927) con il
fabbricato che
riporta il
numero 235,519,
riferito al
chilometro, e la
scritta
Terranova. Sul
marciapiede del
primo binario,
tra il folto
gruppo di
persone in
attesa del treno
a vapore di cui
s’intravvede
l’arrivo, si
distinguono due
reali
carabinieri e a
destra dei
vagoni sul
secondo e terzo
binario, oltre a
un secondo
fabbricato sullo
sfondo con tetto
a falde con la
scritta
Terranova.
Il tronco
ferroviario
Terranova-Licata
lungo 37 Km.,
della linea
Santa Caterina
Xirbi-Caltanissetta-Licata-Terranova,
fu inaugurato il
29 marzo del
1891. La linea
aveva due
fermate
intermedie,
quella della
Stazione di
Butera sulla
pianura e
l’altra nei
pressi di
Falconara; il
percorso
Terranova-Licata,
svolto
quotidianamente
da quattro
treni, durava in
media un’ora e
dieci minuti,
mentre quello da
Caltanissetta a
Terranova
impiegava 5 ore
e dieci minuti.
L’orario delle
partenze era
alle 4,15 e alle
11,18 da
Terranova,
mentre da Licata
i due treni
partivano
rispettivamente
alle 6,30 e alle
14,05. I prezzi
dei biglietti di
prima, seconda e
terza classe
erano
rispettivamente
di £.8,35,
£.5,80 e £.3,80.
La gestione
della ferrovia
era svolta dalla
“Società
Italiana per le
strade ferrate
in Sicilia”
con sede in
Roma.
In occasione
dell’inaugurazione
del tratto della
linea ferrata
Terranova di
Sicilia-Licata
nel 1891 a
binario unico,
furono prodotti
degli opuscoli
che riportavano
tra l’altro
delle poesie di
cui ci piace
riportare qui
quella di un
conterraneo,
tale Luigi
Vitali, che così
recita: “Di
vita apportator,
fumante ordegno
/ Ove corri
fulmineo al par
dei venti? / Ove
dirizzi il vol,
senza ritegno, /
Cigolando con
macchine
possenti? / Lo
veggo: a te ne
vien, che ne sei
degno, / Popolo
industre: il
plauso di tue
genti, / Che qui
risuona,
d’esultanza è
segno: /
Inneggia lieto
ai sospirati
eventi. / Né
viene ei solo:
vivido di luce,
/ Messaggero di
fervidi desiri,
/ Lo guida un
genio: in
mistico tributo,
/ Ei d’amistanza
caldi sensi
adduce, / E
auspici e voti
candidi e
sospiri… / E di
Licata il genial
saluto!”.
I tempi di
percorrenza del
citato “fumante
ordegno”, che
correva
“fulmineo al par
dei venti”, tra
Gela e Licata
erano di circa
un’ora e un
quarto con una
velocità media
di 30 Km. orari.
Nel 1928 fu
messo in
esecuzione il
progetto della
linea ferrata
Gela-Niscemi-Caltagirone-Catania
di 137 Km.,
iniziato con la
tratta da Gela
fino a
Caltagirone e
bloccato subito
dopo per le
vicissitudini
del periodo
bellico.
Nell'aprile del
1952 i lavori
furono ripresi e
per il loro
completamento
passarono ben 27
anni con una
media annua di
1,7 chilometri
per la posa
dell’unico
binario;
l'apertura al
traffico della
linea avvenne il
29 novembre del
1979. La tratta
così, arrivando
a Caltagirone,
permetteva di
continuare per
Catania con un
tempo
complessivo di
percorrenza di
quasi tre ore e
con uno
stillicidio di
fermate tipico
di una ferrovia
d’epoca quale
ancora è
l’attuale.
Il
24 luglio 1977
l’originario
scalo
ferroviario che
si vede nella
cartolina fu
trasferito nella
sede attuale
ubicata a nord
del Villaggio
Aldisio in c.da
Giardinelli.
Successivamente,
mentre nell’area
dell’ex stazione
ferroviaria
erano in corso i
lavori per la
realizzazione di
un tronco
stradale in
continuazione di
via Recanati,
affiorarono le
vestigia di un
insediamento
urbano del VI-V
sec. a. C. che
comportò la
modifica del
progetto con la
costruzione di
un cavalcavia,
sotto il quale
tempo dopo, con
una spesa
considerevole
(di cui mai si è
saputo
l’ammontare), fu
realizzata
un’enorme
struttura
museale che
senza mai avere
avuto il tempo
di essere
terminata fu
abbandonata
dalla
Soprintendenza
ai BB.CC.AA. di
Caltanissetta,
peraltro senza
la dovuta
sorveglianza,
con il risultato
che tale area
subì una totale
distruzione
vandalica
paragonabile a
quella antica
dei Goti, dei
Vandali e degli
Unni nel periodo
dell’Impero
Romano
d’Occidente.
Nel 2009 fu
prevista,
sicuramente a
fine
elettoralistico,
l´attivazione
della linea
veloce ed
elettrificata
sui 183 Km a
binario semplice
della tratta
Siracusa-Ragusa-Gela,
cosa mai
accaduta. E
purtroppo questa
tratta ancora
oggi si compie
in tre ore e
mezza con una
littorina
(locomotive
diesel D 343 e
D443) con punte
di velocità
massima di 100
Km. orari.
L'8 maggio 2011,
sul tratto
Niscemi-Caltagirone
al km 326,600,
la linea fu
interrotta dal
crollo della
nona e decima
arcata e di un
pilone del
viadotto di
“Ponte di Piano
Carbone” prima
della galleria
di San Nicola
Noce.
L’inutilizzazione
forzata della
tratta
Gela-Caltagirone
così non è
passata
inosservata ai
“collezionisti
di binari” (…e
ti pareva!!),
tant’è che
recentemente in
contrada Priolo
è avvenuta una
sottrazione di
qualche
chilometro che
non è continuata
grazie al
provvidenziale
intervento dei
Carabinieri del
Comando
Territoriale di
Gela.
Un progetto per
la ricostruzione
del viadotto
crollato e per
la riapertura
della tratta
ferroviaria
Gela-Caltagirone
fu presentato
nell'agosto 2018
con la
previsione di
riaprire la
tratta nel 2022
(sic)
e ciò,
nonostante che
da allora già si
parlava di
tagliare i
cosiddetti “rami
secchi” tipo le
tratte che
passano e
partono dalla
stazione
ferroviaria di
Gela. Stazione
ferroviaria di
Gela “…dov’è
silenzio e
tenebre la
gloria (si fa
per dire) che
passò…” per
rifarsi all’ode
manzoniana del
“5 maggio”.
Il carcere
mandamnetale
IL CARCERE
CELLULARE
MANDAMENTALE DI
GELA
Nel Comune di
Gela esisteva
fino ad un
cinquantennio fa
un carcere
mandamentale
ubicato dentro
l’abitato in
c.da “Turrazza”
nei locali
adiacenti alla
Scuola Santa
Maria di Gesù “…con
un pianterreno
che riceveva
poca luce e poca
aria al
contrario del
primo e del
secondo piano”.
La capacità
normale era di
venti detenuti
anche se nel
1884 il numero
massimo arrivò a
ventisette.
L’ubicazione del
Carcere
Mandamentale,
prima di avere
sede nei locali
dell’ex Convento
degli Osservanti
a Santa Maria di
Gesù, si trovava
in un fabbricato
prospiciente la
stradina di via
Donizetti,
allora appunto
denominata via
Carcere, nei
pressi della
chiesa di San
Francesco, di
fronte all’ex
Pretura, in una
località
“pessima ed
incomoda per la
salubrità e per
lo spazio…”.
In merito alla
soppressione e
confisca dei
beni
ecclesiastici,
che avvenne in
tutt’Italia
nella seconda
metà
dell’Ottocento,
l’amministrazione
comunale di
Terranova di
Sicilia fu
pronta a
recepire gli
effetti della
legge del 1866
redigendo una
deliberazione
per chiedere
all’Amministrazione
del Fondo per il
Culto la
gratuita
concessione di
tutti i conventi
esistenti, nel
caso specifico
quello degli
Osservanti per
poter ubicare il
carcere
mandamentale.
Il progetto per
i lavori
occorrenti alla
“Conversione e
sistemazione del
fabbricato del
soppresso
Convento di
Santa Maria di
Gesù a
Carcere
cellulare
Mandamentale…”
fu redatto nel
1886 ad opera
dell’allora Ing.
Civile del
Comune Dott.
Rocco Failla. Le
celle carcerarie
previste per i
detenuti erano
di tre tipi: “1.
celle pei
detenuti lievi e
condannati a
pene di Carcere,
o sussidiarie
del Carcere, o
per minorenni”;
“2. celle pei
detenuti
importanti e
gravi, correi o
complici, o
imputati di
reati contro la
proprietà”; “3.
cella uso
prigione di
rigore…”.
Inoltre, “…Il
piano superiore
del Carcere era
riservato alle
donne con una
camera per donne
adulte, o meno
adulte, e
condannate a
pene di carcere,
con celle per
donne detenute
imputate di
grave crimine,
corree o
complici e con
camera per
pubbliche
meretrici
detenute…”.
Dopo la
demolizione del
vecchio carcere
all’angolo di
via Matteotti
con via Verga,
che
probabilmente
funzionò fino
alla seconda
metà degli anni
Sessanta, la
città di Gela,
oltre a due
inaugurazioni e
consegna delle
chiavi andate a
vuoto, dovette
aspettare ben 50
anni prima di
vedere
completato un
altro carcere,
che da
mandamentale (prima
della riforma
dell’ordinamento
penitenziario
del 1975)
doveva essere
circondariale in
concomitanza
della presenza
del Tribunale.
Infatti,
progettato nel
1959, finanziato
nel 1978 e
iniziato a
costruire in
c.da Balate
(distante due
chilometri a
nord della
città) nel 1982,
il Carcere fu
inaugurato il 28
novembre 2011.
Questa struttura
penitenziaria è
dotata oggi di
“4 sezioni
maschili
suddivise su due
piani per una
capienza
regolamentare di
48 detenuti
comuni,
tollerabile fino
a 94,
in attesa di
giudizio
e con quelli
appartenenti al
circuito di
media sicurezza…”,
almeno questo è
quanto ritrovato
su un sito
internet
dedicato.
In merito alla
denominazione
della citata
c.da Turrazza
essa deriva dal
fatto che fino
al 1951 esisteva
addossata alle
mura di cinta
medievali in via
Verga, allora
denominata
Circonvallazione
Nord, una torre,
conosciuta
meglio come “turrazza”,
provvista di un
campanile a vela
del XVIII sec.;
una torre
trecentesca o
più
probabilmente
secentesca che
forse, essendo
allora
pericolante, fu
demolita per la
logica allora
imperante nel
nostro Comune
della “demolitio
necessa est”. E
ciò, nonostante
il parere
contrario della
Soprintendenza
ai Monumenti
della Sicilia
Occidentale di
Palermo, parere
cicostanziato in
una lettera
inviata al
Comune di Gela
in data 23
ottobre 1951 in
cui si scriveva
che: “…Dall’esame
eseguito sul
posto e dalla
documentazione
fotografica si
rileva che,
sebbene precaria
la parte
basamentale
della torre di
cui in oggetto,
non si riconosce
la necessità di
demolizione…”.
La “Turrazza”
così andò a
farsi
“benedire”!
Il
Cotone a Gela
La coltivazione
del cotone, il
cosiddetto “oro
bianco”, assieme
maggiormente a
quella del
grano, è stata
da tempo la
caratteristica
principale
dell’agricoltura
di Gela; sul
cotone, un
prodotto della
terra che diede
un significativo
contributo
economico ed
occupazionale
alla città fino
agli anni
Sessanta,
pertanto, vale
la pena di
scriverne
sinteticamente
un pezzo di
storia.
Introdotta in
Sicilia dagli
arabi nel XII
secolo la
coltivazione del
cotone per ben
cinque secoli
ebbe una lunga
fase di
prosperità che
terminò nel XVII
secolo con
l’ingresso in
Europa della
produzione
asiatica prima e
nel secolo
successivo di
quella
nordamericana
dopo. La
produzione del
cotone in
Sicilia ebbe un
notevole
incremento in
coincidenza
della guerra di
secessione
americana del
1861-1865 che
costrinse in
particolare le
industrie
manifatturiere
europee a
servirsi di
altre nazioni,
anche se
successivamente
la fine della
guerra civile
americana
ridimensionò
abbondantemente
la produzione
siciliana del
cotone.
Nel 1864 in
Sicilia erano
coltivati a
cotone circa
34.000 ettari,
addirittura un
terzo di quello
nazionale, con
54.000 quintali
di raccolto. Nel
seconda metà
dell’Ottocento,
dopo il termine
della guerra di
secessione
americana, la
cotonicoltura
nell’Isola si
ridusse a quasi
10.000 ettari
per poi arrivare
nel 1911 a
ridursi ancora
della metà. Al
di là di diversi
ettari di
terreno
coltivato a
cotone nelle
campagne del
circondario di
Sciacca, la
quasi totalità
della
cotonicoltura e
del relativo
raccolto
interessavano la
pianura di Gela.
L'industria
della sgranatura
del cotone a
Gela (ovvero la
separazione
rapida con
macchine
sgranatrici
delle fibre di
cotone dal resto
della pianta
costituito dai
fusti
e dalle
bacche che
contengono i semi),
tra l’Ottocento
e fino agli anni
Cinquanta del
secolo scorso,
ebbe uno
sviluppo assai
considerevole ed
era esercitata
in diversi
stabilimenti. La
bambagia, (i
fiocchi di
cotone),
ricavata dalla
coltivazione si
esportava
generalmente via
mare sulle
piazze di
Genova, Milano e
Napoli. I semi
in genere si
esportavano a
Malta. Le balle
di cotone
esportate in
genere avevano
un peso di 200
Kg. ciascuna.
Qui di seguito
si fa cenno
degli
stabilimenti più
importanti
operanti in
città tra la
fine
dell’Ottocento e
i primi decenni
del Novecento.
- La ditta “Jacono
& C.”
impiegava 35
operai adulti,
di cui 10 maschi
e 25 femmine, e
disponeva di un
motore a vapore
della forza di
18 cavalli
dinamici. Il
lavoro nello
stabilimento
Jacono
durava senza
interruzione da
settembre a
tutto gennaio ed
anche a tutto
febbraio,
secondo
l'abbondanza del
raccolto,
essendo la
materia prima di
provenienza
locale.
- La ditta “A.
Amavet & C.”
esercitava nello
stabilimento “Immacolata
Concezione”
due industrie
alternativamente:
la macinazione
dei cereali,
che durava dal
maggio
all'ottobre, e
la sgranatura
del cotone;
quest’ultima
cominciava
alla fine di
settembre e
durava fino a
novembre nelle
annate di
cattivo raccolto
del cotone,
mentre nelle
annate buone
durava fino a
gennaio o
addirittura fino
a tutto
febbraio.
Alla sgranatura
attendevano 30
operai adulti,
composti da 5
maschi e 25
femmine. Lo
stabilimento,
ubicato sul
lungomare quasi
di fronte
all’attuale
fatiscente “Lido
Eden”, disponeva
di un motore a
vapore di 12
cavalli di
forza. L’ultimo
vestigio,
costituito da
una ciminiera
con la scritta
DUCE, di tale
stabilimento fu
eliminato nel
1995.
- Esercitava
pure la doppia
industria della
macinazione dei
cereali e della
sgranatura del
cotone la ditta
di
Sebastiano
Ventura
nello
stabilimento “Maria
della Manna” che
attendeva alla
sgranatura per
conto di
commercianti che
poi esportavano
i prodotti. Per
la macinazione
si impiegavano
ordinariamente
6
lavoranti maschi
adulti; quando
si sgranava il
cotone, vi si
aggiungevano 10
donne adulte. Lo
stabilimento
disponeva di un
motore a vapore
della forza di 8
cavalli.
- La ditta “Lidestri
& C.”
impiegava nella
sgranatura del
cotone 7 operai
e disponeva di
un motore di
6
cavalli di
forza.
- L’Opificio “Consolazione”,
che disponeva di
un motore a
vapore della
forza di 16
cavalli, nella
sgranatura del
cotone occupava
3 operai.
- Lo
Stabilimento
Industriale
“Gela - Molitura
grani e
sgranatura
cotone di
Bresmes & C.”
ubicato in
contrada
Settefarini,
occupava 12
operai.
- Lo
stabilimento “La
Sicilia” di La
Rosa Cav.
Calogero,
“Molitura grani
cilindri e
palmenti”,
ubicato in via
Apollo, occupava
8 operai.
- Lo
stabilimento
“Maria SS. delle
Grazie”, con
macinazione del
grano e
sgranatura del
cotone dei
“Fratelli
Maganuco & C.”,
ubicato in via
XX Settembre
(oggi via S.
Aldisio)
occupava 30
operai tra
uomini e donne.
- Lo
stabilimento
“San Francesco
di Paola”, della
ditta “Sfarinati
di Cannilla
Alessandro &
C.”, ubicato in
contrada Orto
Bugè (un
quartiere a sud
di piazza
Calvario)
occupava 7
operai.
- Lo
stabilimento
“SpA Molino
Pastificio Gela”
in via Tevere, a
lato dell’ex
passaggio a
livello, nacque
dalla
conversione di
un preesistente
cotonificio
denominato
“Molino a
Cilindri Gela”
con annessa
sgranatura di
cotone di
proprietà di
tale Arrostuto
Antonio fu
Antonio. Fu
demolito diversi
lustri fa per
dar posto ad un
edificio civile.
- Il Molino di
proprietà di
Luigi Liardi in
via Gen.
Cascino.
- Due molini di
denominazione
sconosciuta uno
in via Dinomane,
demolito qualche
lustro fa, e
l’altro in via
Fratelli
Bandiera di
proprietà di
tale Bosco.
- Il Molino D’Argenio.
- Il Molino
Domicoli.
- Un opificio
per la
sgranatura del
cotone, di
proprietà della
signora
Agatina Rizza
vedova Malerba,
esisteva nella
vicina Niscemi;
esso disponeva
di un motore a
vapore della
forza di 12
cavalli e di due
palmenti, uno
per la
macinazione dei
cereali e
l’altro per la
sgranatura del
cotone.
L'opificio di
sgranatura
occupava, per
circa 60 giorni
dell'anno, 13
operai adulti,
di cui 3 maschi
e 10 femmine. Il
cotone grezzo
proveniente dal
territorio si
smerciava nella
stessa Niscemi e
a Gela.
- Un opificio,
di cui si
sconosce la
denominazione,
probabilmente
adibito alla
sgranatura di
cotone, si
trovava in via
Feace nello
stesso posto
dove adesso sono
ubicate le
Scuole
Elementari
“Maria
Antonietta
Aldisio”.
In complesso gli
opifici di Gela
e quello di
Niscemi, che
operarono dalla
fine
dell’Ottocento a
primi del
Novecento,
occupavano nella
sgranatura del
cotone, per
alcuni mesi
dell'anno, più
di 100
lavoranti, per
la maggior parte
donne con una
materia prima
che era di
produzione
locale, essendo
il cotone
coltivato in
proporzioni
abbastanza
notevoli nella
Piana del Gela.
Agli inizi degli
anni Sessanta,
con
l’introduzione
sul mercato del
cotone egiziano
e soprattutto
con la
diffusione delle
fibre
sintetiche, la
cotonicoltura a
Gela, così come
nel resto della
Sicilia e
dell’Italia,
cominciò ad
avere un
inesorabile
tracollo che
portò alla
graduale
scomparsa di
un’importante
fonte di reddito
e di lavoro per
la città ed il
suo circondario.
Diversi lustri
fa a Gela si
tentò di
rilanciare la
produzione del
cotone che,
però, non diede
per diversi
motivi i
risultati
sperati. In
particolare
furono fatti due
tentativi uno,
di inizio anni
Ottanta, dalla
Regione
Siciliana
tramite
un’associazione
di produttori e
l’altro nel 1986
da un gruppo di
imprenditori
gelesi che
istituirono
l’azienda “PRO.GE.CO.
Siciliana
Cotoni” con la
collaborazione
della Facoltà di
Agraria
dell’Università
di Catania.
I “Campi Geloi”,
di virgiliana
memoria,
coltivati da
secoli
abbondantemente
a cotone, da
tempo non
esistono più;
oggi il loro
ricordo rimane
nella memoria
della gente
anziana e in
qualche rara
documentazione
fotografica.
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