QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Gennaio 2025

ARGOMENTI

Amare considerazioni

Cartolina di oggi

L'albergo Mediterraneo

Di Bartolo Milana anarchico gelese*

*Contiene un'integrazione dell'Avv. Paolo Cafà

 

AMARE CONSIDERAZIONI

    Il cantonale di nord-est pericolante, della torre medievale del “castrum federicianum” in Piazza Calvario a Gela non rappresenta altro che una piccola tessera di un mosaico ancor più vasto rappresentato dalle sue mura di cinta medievali che si trovano da tempo in uno stato di forte precarietà con rischi di dissesto e di crolli; mura purtroppo forse sconosciute a coloro che dovrebbero salvaguardarle.

    Durante la demolizione del cosiddetto “muro della vergogna”, avvenuto nel 2008, il manovratore del mezzo, nel girare il braccio meccanico, inavvertitamente urtò i conci angolari della torre che in parte si dissestarono, anche se la cosa passo indolentemente  inosservata. Tant’è, che successivamente, quando si evidenziò un pericolo di crollo, la parte pericolante fu transennata e, purtroppo, fino ad oggi dopo ben 17 (diciassette) anni dimenticata. La pioggia e l’usura del tempo hanno fatto il resto; oggi c’è il rischio che se si continua a non intervenire si assisterà ad un altro crollo. Mi chiedo come agiscono la sezione monumentale della Soprintendenza di Caltanissetta e gli addetti ai beni culturali sollecitati diverse volte nel merito da qualche decennio a questa parte? Non solo per il cantone pericolante, ma anche, ad esempio, per tutto il complesso medievale che esiste nel cortile degli ex granai del palazzo ducale, abbandonato, dimenticato da diversi lustri e coperto dalle erbacce.

    Le mura medievali di Gela, senza tema di essere smentiti, oggi sono senza tutela e in balia di chiunque compresi i proprietari che in realtà detengono una proprietà demaniale non si sa a quale titolo, anche perché non può essere acquisita per usucapione; poi in viale Mediterraneo la seconda torre semisferica, quella fagocitata dalle abitazioni, versa in uno stato pietoso e quanto prima ne annunceremo il crollo della sua parte sommitale col rischio anche che qualche pietra vada a finire sulla testa di qualche passante. Ed ancora, il sistema di protezione che è stato realizzato 23 anni fa sul passaggio di Porta Marina per quanto tempo dovrà essere mantenuto. Forse che sia stato lasciato perché anch’esso considerato un reperto archeologico? E a proposito di Porta Marina, perché non si è mai intervenuto a recuperare i conci numerati dei suoi due archi a tutto sesto per ricostruirla, ammesso che si riescano a trovarli? Si dice in giro che siano stati visti in una zona di Manfria.

    Che sconforto vedere beni monumentali della nostra città così importanti andare indolentemente e stupidamente in rovina!!

 

Cartolina di oggi

L'albergo mediterraneo

    Cartolina originariamente in bianco nero degli anni ’50 con la scritta “GELA - ALBERGO RISTORANTE MEDITERRANEO” e quattro vedutine dello stesso albergo che ritraggono il ristorante, la terrazza, la reception e il suo esterno con la contigua villetta. L’albergo fu costruito nel 1949 a spese del Cav.  Gioacchino Turco su progetto degli Ingg. Enrico Hornbostel e Giovanni Ghersi. Successivamente, con la crisi del turismo gelese sopravvenuta all’inizio degli anni Sessanta dopo l’insediamento del Petrolchimico, l’albergo dopo alterni periodi chiuse i battenti. Tempo dopo la chiusura, la nuora del proprietario vendette l’immobile al Cav. Totuccio Granvillano il quale fece mettere in atto una completa ristrutturazione dell’albergo che, però, per diversi motivi ancora non è stata terminata.

    Sul retro della cartolina non viaggiata, leggiamo: “Hotel restaurant Mediterranèe Gela, Mediterraneo hotel and restaurant Gela, Hotel und Restaurant Mediterraneo Gela” ed ancora ”Vera Fotografia. Fotocelere - Torino”.

    A questo testo si aggiungono anche due locandine pubblicitarie dell’albergo Mediterraneo; una di queste locandine, quella a forma di cerchio, è stata fornita da Pippo Barbagallo, un caro amico trasferitosi da tempo a Milano e purtroppo scomparso qualche anno fa.

DI BARTOLO MILANA, L’ANARCHICO GELESE

AMICO DI PERTINI E TERRACINI

* Integrazione dell'Avv. Paolo Cafà

Avv. Paolo Cafà

Caro Prof. Mulè, ho letto la biografia del nostro concittadino Gaetano Di Bartolo, inteso Tano Milana, che conoscevo già, essendo stato da sempre un suo estimatore. Però mi sembra che la biografia così delineata manchi di un fatto storico importante perché dimentica di ricordare che il nostro illustre concittadino è stato il fondatore del Partito Comunista a Gela, insieme ad un gruppo di giovani intellettuali e contadini nel 1947, subito dopo le dimissioni da consigliere comunale socialista di Gaetano Di Bartolo, così come veniva ricordato nella biografia. Tra i fondatori si ricordano anche i fratelli Tignino, Antonino Gregno, fratelli Calì, Carmelo Faraci, Giuseppe Mangione, nonché molti giovani tra i primi iscritti come Emanuele Carfì, i fratelli Giunta ((Rocco e Prof. Vincenzo), Salvatore Napoli, Emanuele Cassarà, Pasqualino Burgio, Vittorio Cataudella, Salvatore Polara, Carmelo Polara, Sebastiano Barone, Santino Felice ed altri, Gerotti e Cafà (quasi tutti di provenienza socialista). Le fonti a conferma di quanto affermato sono: Renzo Guglielmino, Prof. Vincenzo, il mio omonimo nonno.

 

    L’anarchico Gaetano Di Bartolo Milana nacque a Terranova di Sicilia il 6 aprile 1902. Crebbe in un ambiente umile, il padre Carlo svolgeva l'attività' di orologiaio mentre la madre Carmela Milana era sarta. Fu primogenito di tre figli. Dopo il conseguimento della licenza ginnasiale, s'iscrisse al primo liceo, ma le autorità scolastiche rifiutarono l'iscrizione per le sue convinzioni politiche. Di carattere mite e dalla personalità risoluta, il Di Bartolo Milana, proprio in quegli anni, scopre tutta la ricchezza e la nobile profondità del pensiero anarchico attraverso la letteratura libertaria. La sua cultura politica e umanista fu vastissima. Era dedito alla lettura di saggi politici e filosofici, la sua attenzione fu attirata da autori come Godwin, Stirner, Bakunin e Proudhon che del movimento anarchico furono gli iniziatori e i portavoce.

    La scintilla del suo coinvolgimento alle idee anarchiche sicuramente scaturì da una manifestazione organizzata dal bracciantato agricolo terranovese nel settembre del 1919, contro l’insediamento di una industria tessile del Nord la SICIIM, e mutatasi in sommossa dopo che alcuni militi a guardia del Municipio spararono sulla folla provocando il tragico epilogo di due manifestanti uccisi e diversi feriti, sommossa che non si trasformò in un bagno di sangue a causa di un provvidenziale e violento acquazzone che fece desistere i contadini dal loro violento proposito vendicativo.

    Questa sua scelta politica fu dovuta anche dall'influenza indiretta del terranovese rivoluzionario, poeta e scrittore Mario Aldisio Sammito (1835-1902), amico di Bakunin, Mazzini, Garibaldi e soprattutto del figlio Menotti.

    Qualche anno dopo il Di Bartolo cominciò a prendere contatti con alcuni socialisti di Catania e della vicina Vittoria e iniziò a collaborare con alcuni giornali di stampo anarchico come “Vespro Anarchico”, quindicinale palermitano degli anarchici siciliani, “Umanità Nova”, quotidiano milanese nato del 1920, “Avanti”, “Voce Repubblicana” e “Il Martello”, quest’ultimo edito a New York.

    All’inizio del periodo fascista il Di Bartolo fondò qui il “Gruppo anarco-comunista Pietro Gori” che però con l’avvento del regime fu bandito per le idee sovversive. Nonostante ciò, il 3 giugno 1922 si fece promotore e responsabile dell’uscita del giornale “La fiaccola anarchica” che esordì in prima pagina col programma politico di natura comunista, anarchico e rivoluzionario di Enrico Malatesta (uno dei capi riconosciuti del movimento anarchico italiano); il giornale rappresentò una pagina storica per l’anarchismo nisseno e siciliano anche se fu un numero unico perché costretto a chiudere per motivi economici e soprattutto a causa di un sequestro che ne bloccò definitivamente la pubblicazione.

    Intanto le varie correnti anarchiche che si erano formate nel corso di quegli anni cominciarono ad entrare in contrasto tra loro, pertanto si ebbe l’esigenza di riunificarle con la nascita del Partito Anarchico Italiano di cui il nostro Di Bartolo fu uno degli artefici. Ma tale iniziativa fu avversata da diversi autorevoli esponenti dell’Unione Anarchica Italiana che la fecero fallire così in breve tempo.

    Con l’accendersi dell’avanguardismo fascista e dopo la “Marcia su Roma” l’attività anarchica del Di Bartolo diventò pericolosa per il regime tant’è che da parte delle autorità di polizia e prefettizia si misero in atto una serie di restrizioni della sua libertà fisica; su alcuni rapporti di polizia si leggeva: …continua a professare idee sovversive ed è ritenuto elemento pericolosissimo. E’ stata intensificata la vigilanza nei suoi riguardi”. Nonostante le restrizioni il Di Bartolo riuscì lo stesso a far pubblicare i suoi articoli su diversi giornali anarchici come il periodico svizzero di Ginevra “Risveglio”, “Umanità nuova” in Francia e “Adunata dei refrattari”, un periodico di notevole importanza che si stampava a New York. Per riuscire in ciò il Di Bartolo si servì di un’organizzazione di anarchici che, attraverso il Marocco e la Tunisia, era in contatto con molti paesi europei e con l’America.

    A partire dal 1927, il nostro concittadino sembrò ritirarsi dalla scena politica, addirittura dimostrandosi pure ossequioso alle leggi, e il suo nome non si lesse più sulla stampa clandestina anarchica contraria al regime: in realtà l’unico cambiamento fu quello della firma dei suoi articoli che comparvero con lo pseudonimo di Nunzio Tempesta. Dopo sette anni, però, fu individuato e, ancora una volta arrestato, fu mandato al confine prima nell’isola di Ponza per ben cinque anni e poi all’isola di Tremiti.

    Durante la permanenza a Ponza il nostro concittadino conobbe e diventò amico con esponenti di primo piano del movimento antifascista italiano di cui alcuni, dopo la liberazione, diventarono Padri della Repubblica: il socialista Sandro Pertini, i comunisti Umberto Terracini, Girolamo Li causi, Giorgio Amendola, Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro, gli anarchici Paolo Schicchi, Alfonso Failla e Ugo Fedeli.

    Liberato nel 1940 ritornò a Gela. Qui ebbe notevoli difficoltà di reinserimento nella società civile in quanto era visto con molta paura dalla gente per i suoi trascorsi di confinato, pregiudicato e soprattutto per il fatto che era vigilato notte e giorno dalla milizia fascista locale, i cui gerarchi però, tranquillamente ci passeggiavano discutendo di politica. Gaetano Milana nel frattempo si sposò con la niscemese Rosa Internullo e nel 1942 divenne padre con la nascita di una figlia.

    Dopo lo sbarco degli Alleati a Gela fu nominato componente del locale Comitato di Liberazione Nazionale di cui dopo divenne presidente. In quel periodo rifiutò, incoraggiato da Terracini, di far parte della Costituente, così come declinò la candidatura per il Senato offertagli da Pertini e personalmente da Saragat. Nelle elezioni del 1946 fu eletto consigliere comunale da indipendente nelle fila del PSI. Durante tale mandato denunziò coraggiosamente diversi illeciti degli amministratori comunali di allora, in uno di essi la Commissione Tributi Locali aveva fatto finta di dimenticare di mandare la “tassa di famiglia” al capo dell’Ufficio Tasse, ai consiglieri comunali e al Sindaco. Nel 1947 ricoprì la carica di segretario della Lega Contadina

    Negli anni seguenti rifiutandosi di rivestire cariche politiche proseguì la sua attività divulgatrice organizzando diverse conferenze in giro per la Sicilia. Partecipò in prima persona a scioperi e manifestazioni e fu in testa a quella di protesta con i socialisti e i comunisti contro l’adesione dell’Italia alla NATO. Dagli anni Sessanta in poi Gaetano Di Bartolo si allontanò definitivamente dalla politica e non accettando nessun privilegio condusse una vita disagiata ma sempre in modo dignitoso.  Si spense il 12 dicembre del 1984 all’età di 82 anni.

    Dalla tesi di laurea del gelese Dott. Graziano Vizzini, a cui ci siamo riferiti per redigere tale articolo sul Di Bartolo, ci piace riportare la parte finale: “…Ebbe un funerale laico e grazie all’impegno dell’amico Prof. Vincenzo Giunta ottenne a titolo gratuito un loculo cimiteriale. Lo stesso mandò un telegramma al Presidente della Repubblica Pertini, il quale espresse il suo dolore alla famiglia“.

    Nel 1969, lo Stato repubblicano gli concedette la pensione di perseguitato politico dopo che più volte gli era stata negata perché anarchico. Fedele al suo rigore morale, gli ultimi anni li visse frequentando la biblioteca comunale, nella quale leggeva, direttamente dalle loro lingue, i classici greci e latini.

    “Non lasciò nessun documento, nessun giornale, nessun opuscolo, nessuna poesia che avevano attraversato l’arco di una vita”. Amava ripetere ”…io abbasserò la mia bandiera nera quando passerò davanti ad una chiesa e dopo aver gridato morte a Dio griderò morte a tutti i fantasmi”. Ed ancora …Brucerò ogni cosa e con la mia morte morirà tutto di me!”. Salvò solo una foto della sua bambina (scomparsa in tenera età) e una poesia a lei dedicata. Sono conservate nella giacca all’interno del feretro”.

    Nel 2018 lo scrivente propose alla Commissione di Toponomastica del Comune di Gela l’intitolazione di vie a diversi personaggi gelesi; però, su dieci denominazioni richieste, la Prefettura di Caltanissetta non accolse quella del Di Bartolo.

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