VIA STAZIONE VISTA DA PORTA
CALTAGIRONE
LA
MEDICINA E LA VACCINAZIONE A TERRANOVA
RICORDI DI GOLIARDIA ALLA CASA DELLO STUDENTE DI CATANIA
VIA STAZIONE VISTA DA PORTA CALTAGIRONE
La cartolina degli
anni ’30 ritrae la via Stazione, oggi via Omero,
che dal quartiere Porta Caltagirone per mezzo di
una serie di rampe di scale conduceva al vecchio
scalo ferroviario, con sulla destra un canalone,
eliminato negli anni Quaranta per la costruzione
di diversi filari di case. Sulle rampe della
scalinata si notano diverse persone tra cui un
carabiniere, distinguibile dalla bandoliera
bianca. Sullo sfondo si osserva il fabbricato
principale della Stazione ferroviaria ed ancora
più a nord, oltre a dei covoni di grano, la
pianura con a sinistra la “Rotabile Settefarini”
e a destra la trazzera che porta al santuario
della Madonna d’Alemanna di cui s’intravvede la
facciata.
Alla fine degli anni Sessanta lo scalo
ferroviario fu trasferito nella sede attuale, a
nord del Villaggio Aldisio. Il primo tronco
ferroviario della città, quello di
Terranova-Licata, della linea Santa
Caterina-Caltanissetta-Licata-Terranova, fu
inaugurato il 28 marzo del 1891.
Nel 1984, durante lo
scavo nell’area dell’ex scalo ferroviario per la
realizzazione del prolungamento della strada di
via Recanati verso est che continua con via
Falcone, sono stati rinvenuti resti di strutture
murarie, databili al VI sec. a.C., riferibili ad
un santuario dedicato alle divinità ctonie e ad
un complesso abitativo del IV sec. a.C. con
alcuni stenopoi. Pertanto, per garantire la
stessa area archeologica fu realizzato un ponte
stradale che rese possibile ricavare un’enorme
superficie sottostante, sulla quale poter
realizzare uno spazio protetto adiacente agli
stessi scavi archeologici. E per renderne
possibile la fruizione fu costruita una
struttura a giorno con delle intelaiature chiuse
da spesse vetrate. Ma finiti i finanziamenti
regionali per portare a termine l’opera
prevista, tutta la struttura venne totalmente
abbandonata dalla competente istituzione,
peraltro senza aver provveduto ad un adeguato
sistema di controllo remoto (stessa cosa è
avvenuta per il Castelluccio), tant’è che appena
dopo qualche anno fu presa di mira da feroci
vandali i quali tra l’altro fecero a gara per
sfondare le vetrate con una putrella di ferro.
Dal 1984 a oggi sono passati ben 38 anni e
nessuno delle istituzioni competenti sembra
essersi accorta di tale scempio.
Sul retro della
cartolina, indirizzata alla “Gentile Sig.na
Maria Loreto Modica ad Avola (Siracusa)”, si
legge “32846 2270 a, Ediz. Eugenio Costa - Gela
- Vietata riproduz., STAB. DELLE NOGARE &
ARNETTI - MILANO” e “Augurì affettuosi e cari
baci Maria e Rosa”.
L’affrancatura si
riferisce ad un francobollo, rettangolare con
sfondo color arancio, di venti centesimi
(timbrato con data 20.6.30), emesso dalle Poste
del Regno in occasione del matrimonio del
principe ereditario Umberto II di Savoia con la
principessa Maria Josè del Belgio di cui sono
riportati anche i relativi mezzi busti con i due
stemmi reali raffiguranti ripsettivamente il
leone rampante e la croce sabauda, un classico
francobollo da collezione.
LA
MEDICINA E LA VACCINAZIONE A TERRANOVA
Mentre ci troviamo
in una fase pandemica altalenante di covid, si
propone al lettore una piccola fetta di storia
ottocentesca sulla medicina e sulla vaccinazione
di un piccolo Comune della Sicilia
sud-occidentale quale era allora Terranova di
Sicilia, dal 1927 in poi ritornata all’antica
denominazione greca di Gela.
A Terranova di Sicilia, nella seconda metà del 1800, la medicina non era messa tanto male, infatti per i circa 13mila suoi abitanti esistevano nove farmacie, quattro medici-chirurghi e un “semplice chirurgo”, quattro medici condotti in servizio nell’ospedale civico per i poveri e due levatrici. La vaccinazione, in particolare contro il vaiolo, nella popolazione era frequente e veniva effettuata con “pus umanizzato”, ovvero un po’ di linfa vaiolosa trattata, prelevata da una pustola di un soggetto nel quale la malattia aveva avuto un decorso benigno; in Italia l'ultimo episodio risale al 1957, anno in cui si verificarono a Napoli otto casi originati da un turista proveniente dall'India, dove aveva contratto l'infezione. A livello mondiale, l'ultima manifestazione del vaiolo si ebbe in Somalia nel 1977.
Per quanto riguarda le
febbri malariche, la scabbia e le malattie degli
occhi come il tracoma, esse erano frequentissime
nella popolazione terranovese di allora; in
inverno comparivano anche casi di
pleuro-polmoniti e tisi polmonari, mentre
risultavano frequentissimi i reumatismi
articolari. In merito alle malattie
esantematiche, la scarlattina ebbe effetti gravi
e altalenanti nella popolazione, grave negli
anni 1864, 1871 e 1872, anni in cui infierì
insieme all’angina difterica, quest’ultima
benigna nel 1868 e nel 1880. La presenza del
morbillo fu quasi sempre benigna, la difterite
comparve la prima volta nel 1871 e dal 1873 al
1884 oscillò tra il grave e il benigno. Nel 1868
comparve il vaiolo a cui seguirono mezzi di
isolamento adeguati. Il colera asiatico
(malattia infettiva acuta caratterizzata da
violenti scariche diarroiche, vomiti e crampi)
funestò il Comune di Terranova nel 1837, 1854 e
1867. “…mentre nella 1a
invasione fortissimo, nella 2a
e sufficientemente grave nell’ultima”.
Nel comune vi erano
un ospedale e un sifilicomio, ambedue ubicati
nel soppresso convento dei PP. Cappuccini. Il
primo a carico del Municipio, il secondo aperto
dal Comune per accogliere le prostitute affette
da sifilide “il quale per esse riceve la diaria
pattuita dal Governo”. Non esisteva nessun
ricovero per anziani, per mendicità e per
disabili. L’ospedale civico disponeva di
quaranta letti e il sifilicomio di venti.
L'antico ospedale
civico, intitolato originariamente a San
Giovanni di Dio, ubicato un tempo nel largo
Santa Lucia (appendice di piazza Sant’Agostino),
dopo la confisca dei beni religiosi in seguito
alla legge 7 luglio 1866 n.3036, nel 1870 fu
trasferito nei locali del Convento dei PP.
Cappuccini, precedentemente adibito in parte a
lazzaretto durante il colera del 1867. Negli
stessi locali del convento oltre all'ospedale
(intitolato successivamente a Vittorio Emanuele
II o III, non si sa con precisione,
probabilmente al primo) furono ospitati un
Sifilicomio, un Ricovero per trovatelli con
relativo alloggio per le balie e persino una
Scuola Agraria.
“…E qui mi permetto
farvi la proposta di voler disporre che sia
fatta una spesa, la quale non sarà di certo
incompatibile cogli attuali mezzi del Comune,
per introdurre dentro l’Ospedale il bagno a
doccia, oramai riconosciuto utilissimo ed anzi
necessario”. “…Il credito acquistato da
quest’opera umanitaria e civile aumenta di anno
in anno, e gli ammalati che nel passato
rifuggivano di avvicinarvisi, oggi reputano a
fortuna l’esservi ammessi, e vi accorrono
fiduciosi e spontanei…”.
“…Si sa da tutti noi, che i
morbi che maggiormente affliggono la nostra
popolazione in tutti i tempi, e soprattutto
nelle stagioni di està, e di autunno, sono: le
febbri intermittenti, le poerniciose, le diaree,
le dissenterie, le tifoidee”.
“…Da ciò ne
consegue, che esiste un centro d’infezione. …E
questo centro d’infezione, non dobbiamo trovarlo
solo nelle campagne, ma dobbiamo cercarlo nel
miasma interno, in quel miasma che resta
inosservato, che fa grande strage della
popolazione, che colpisce gli abitanti della
città…”; “…Due potenti fattori viziano la nostra
aria; due potenti fattori influenzano la nostra
popolazione, e la tengono immersa in una perenne
atmosfera morbifica. “…1° Le emanazioni putride
risultanti dalla decomposizione delle materie
organiche. 2° Il miasma proveniente dal suolo o
miasma tellurico. Le amanzioni putride…
soprattutto ci sono fornite dalle materie
escrementizie, e dalle acque lorde trasportate
dall’acquedotto della strada Carmine, e che
restano depositate vicino le mura, a sud della
città, a cielo aperto, sotto l’azione dei raggi
solari, ove formano - come di dice Pasteur - un
centro fermentescibile…”. NdR:
le parti del testo
virgolettato sono state tratte dall’opuscolo
“Ospedale Comunale di Terranova”, un “Reso-Conto
dell’Amministrazione” tenutasi nell’anno 1879 a
cura di Giacomo Russo, allora Direttore del
Civico Ospedale; il tutto contenuto in un
faldone dell’Archivio Storico del Comune di
Gela.
RICORDI
DI GOLIARDIA ALLA CASA DELLO STUDENTE DI CATANIA Non mi è stato facile, dopo più di mezzo secolo, riordinare i ricordi dei diversi anni passati a Catania durante la frequenza universitaria, ricordi relativi non solo al contesto politico in cui si viveva durante il Sessantotto ma anche a quello goliardico, allora in via di estinzione.
Nel trasferimento da
Gela a Catania per frequentare l’Università ebbi
la possibilità di entrare alla Casa dello
Studente di via Oberdan quando ancora vi era un
ambiente tranquillo non politicizzato e dove
ancora rimanevano quei residui di goliardia
rivolti alle matricole universitarie. Solo il
“benestare degli anziani” all’inizio dell’anno
accademico poteva esentare le matricole dagli
atti di goliardia e ciò avveniva quasi sempre
con il rilascio del cosiddetto “papello” o “papirum”,
una specie di “lasciapassare” posticcio su carta
per incartare o a volte su carta pergamena,
annullato con una marca da bollo da una lira e
redatto in latino maccheronico, ornato di
disegni caricaturali e a volte anche
pornografici, preceduti da “decretamus tibi F.F.
matricula quo debit attinere ad regulas”, con in
genere dieci “raccomandazioni”: “I. Respectare
semper Antianos”; “II. Numquam studere sed
arrubbacchiare”; “III. Bonae puellae amicae
antianos presentare”; “IV. Respectare bidellos”;
“V. Numquam contra ventum pisciare” oppure
“Tasse pagare (grande malasorte) sed non studere”;
“VI. Spernacchiare magistros”; “VII. Pomiciare
cum collegas”; “VIII. Cinema solo cum antianos
ire”; “IX. Ubi minor maior cessat; “X.
Semper
salutant et facere magna offerta ad Antianos”.
Immancabile anche il riquadro con “Lex Menga,
lex Volga, lex Gay lussac, lex Keplero”; a volte
era pure riportato il “Cacas minimum code” che
così recitava: “Non verum est quod cacas cibus
est pessimus, sed relevium est dentium qui
codicem cacas rodere non possunt.”
Il papello era
sempre firmato dagli studenti universitari,
spesso fuori corso, con relativo numero di
matricola e in particolare da quello più anziano
definito come “Pontificem maximum Siculorum
Gymnasium”. Il “papello”,
con la scritta finale “Decretamus intromittere
fetentissimam matriculam intra soglias
Universitatis et
deambulare in Regiae Universitatis in nomine
Bacchi Tabacchi Venerisque”,
era concesso previo pagamento di un pedaggio di
natura mangereccia o di beveraggio o di sigarette
e sempre seguito da scherzi a non finire; uno di
questi era quello di scrivere e disegnare con un
pennarello sul posteriore ignudo della matricola
e qualche volta anche di rasare i capelli in un
sol lato della testa; a volte qualche “anziano”
decideva di inviare la matricola a fare una
dichiarazione d’amore ad una collega che si
trovava casualmente nelle vicinanze. Una notte
nella Casa furono individuati due matricole che
erano sfuggite all’usuale iniziazione; furono,
pertanto, invitate se non costrette ad uscire
dalle loro stanze e, dopo averle coperte di
rotoli di carta igienica a mo’ di vestito, con
un corteo di una cinquantina di studenti della
Casa furono accompagnati al vicino Jolly Hotel
come se da sposati andassero a richiedere una
camera d’albergo, ovviamente il tutto corredato
da schiamazzi e battute di mani a cui i
residenti della zona, nonostante la tarda ora,
forse si erano ormai abituati. Che una volta
qualcuno di quegli studenti matricole si fosse
ribellato! O che qualcuno dei residenti avesse
fatto intervenire le Forze dell’Ordine! Mai
successo che io sappia! Alcuni lustri fa andai
alla Casa dello Studente e rispetto a quando vi
abitavo mi impressionò il fatto che sembrava di
trovarsi in …un convento.
L’ambiente della
Casa dello Studente allora era quasi perfetto,
c’era tutto quello che poteva servire agli
studenti ospitati; la mensa con pasti a prezzi
convenienti; il “museion”, una capiente sala con
biblioteca e televisione spesso utilizzata per
ospitare gli studenti esterni durante importanti
partite di calcio; citofoni e telefoni nei
corridoi; il servizio di lavanderia a prezzi
stracciati; le signore cosiddette “della
pulizia” sempre gentili e benevole come delle
madri; quel padre di famiglia di Basile,
direttore della Casa, che tanto sopportò...,
insomma, bisognava solo studiare e darsi le
materie.
Con l’acuirsi dei
contrasti tra il Movimento Studentesco e le
istituzioni universitarie, in primo piano
l’Opera Universitaria (alla cui direzione
subentrò il prof. Guido Ziccone, divenuto poi
membro del CSM), anche la Casa dello Studente
cominciò ad entrare, come si suol dire, in
politica con la nascita della “Commissione di
Controllo” tutta fatta di residenti. Così da una
maggioranza di studenti collocabili in ambienti
della borghesia di allora, si passò ad un’altra
collocabile in parte nell’area di sinistra ma
sempre di estrazione borghese o quasi.
I residenti,
componenti la Commissione di Controllo della
Casa dello Studente, stranamente
e
cosa abbastanza insolita, in tarda serata si
ritrovavano con gli studenti della controparte,
quelli di Gela in particolare, tant’è che
assieme si andava spesso al cinema Alfieri, si
ricenava a tarda notte, peraltro gratuitamente
dopo essere entrati furtivamente nella cucina
della mensa; ma anche si scherzava prendendo di
volta in volta di mira qualche studente della
Casa considerato “babbigno” e a cui il
versamento anonimo di secchiate di acqua e il
lancio di bucce di anguria sulle serrande della
stanza era senza fine; ma non solo ai residenti
della Casa, diverse volte alcuni sacchetti di
plastica pieni d’acqua erano destinati a
chiunque si trovasse a passare nelle vicinanze
dello stabile; addirittura anche all’allora
Magnifico Rettore Cesare Sanfilippo, uscito
dalla Casa dopo aver partecipato ad un’assemblea
con gli studenti, sacchetto (buon per lui)
schivato per un soffio.
Quanti amici da
ricordare a partire dal personale della Casa
come Gianni Strano, Turi Pappalardo, Barbagallo
tutti e tre turnisti della portineria; lo “zio”
Saro e lo “zio” Turi Vinciguerra, il sig. Vasta,
questi ultimi due addetti al centralino
telefonico, il Sig. Sorbello che staccava nella
mensa i tagliandi per mangiare, il Sig. Santo
addetto al servizio di mensa e il Sig. Sgarlata
col figlio, gestori del bar della Casa. E quanti
amici di vita notturna; tra
i tanti l’avolese
Lello Vaccarella, il priolese Enzo Misenti,
conosciuto col titolo di “professore” per la sua
“sapienza”, il conterraneo Angelo Blanco, il
nisseno Antonio Ginevra sempre disponibile con
la sua Renault 4 a due cilindri, il ragusano
Ezio Gurrieri, il siracusano Nuccio De Vivo,
Gigi Caruso, rispettato e riverito per le sua
signorilità e le sue caratteristiche di
personaggio maturo, l’ennese Totò Padalino,
l’agrigentino Salvo Lala, genio
dell’elettronica, peraltro progettista e
realizzatore di una improvvisata radio privata “CdS”
all’interno della Casa, Dimitri Tarzakis (?),
proveniente dalla Grecia al tempo della
dittatura dei colonnelli, subito appropriatosi
di usi e costumi dei residenti della Casa, ecc. Tutti colleghi universitari che abitavano nella Casa e di cui non ho avuto più modo di avere loro notizie.
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