XX SETTEMBRE MCMIII
ALLARME AEREO A GELA NEL XX
DELL’ERA FASCISTA
IL REVERENDO LUIGI ALIOTTA, CULTORE DI PATRIE MEMORIE
PORTA
MARINA, UNA TESTIMONIANZA MEDIEVALE PERDUTA
XX SETTEMBRE MCMIII
La cartolina qui
presentata, a parte la rarità, ha un valore
storico eccezionale in quanto ritrae la
popolazione di Terranova in un corteo
istituzionale per la commemorazione del XX
Settembre a ricordo della Breccia di Porta Pia,
l'episodio del Risorgimento che sancì
l'annessione di Roma al Regno d'Italia il 20
settembre del 1870. Non solo, ma è anche lo
stesso corteo che proveniva dall’inaugurazione,
nella stessa mattinata del 20 settembre 1903,
del monumento a Umberto I nella piazza
principale. Per quell’occasione su un manifesto
dei “Liberi Figli di Gela” della massoneria
locale si leggeva:
“…in
questa Città, che pur diede i suoi martiri per
il Risorgimento, non verrà mai meno il culto per
la venerata memoria di quegli Uomini che, con
l’olocausto della loro vita, han dato a noi
Italiani la gioia di gridare ora e sempre Viva
l’Italia! Viva Roma Italiana!”.
La cartolina, con la
scritta ”La
commemorazione del XX Settembre 1903 a Terranova
di Sicilia. Il Corteo si reca al Giardino
Pubblico”,
ritrae migliaia di persone in corteo sul Corso
su quella parte del ponte ripieno in cui
s’intravvede a sinistra pure la sottostante
strada, l’attuale via XXIV Maggio. Questa parte
di corso prima dell’attuale denominazione di
Corso Salvatore Aldisio ebbe in successione
quelle di Strada Borgo, via XX Settembre e C,so
Vittorio Emanuele.
La cartolina
(dimensioni 13,80 X 8,80 cm.), riporta sul
fronte un francobollo di due centesimi con
raffigurata l’aquila sabauda e sul retro, oltre
ad un “N.B.
Sul lato anteriore della presente si scrive
soltanto l’indirizzo”,
l’indirizzo appunto del destinatario, la Sig.a
Rosa Bevilacqua abitante in Via XX Settembre 6/7
a Genova.
Una curiosità di
tipo venale, il costo della cartolina originale
è valutato per la sua rarità e per il suo valore
storico intorno ai 200 euro. Probabilità che il
Comune di Gela la possa fare propria? Nessuna!!
ALLARME
AEREO A GELA NEL XX DELL’ERA FASCISTA
Durante gli ultimi anni della Seconda
Guerra Mondiale a Gela si costituì in
riferimento all’UNPA (Unione Nazionale
Protezione Antiaerea) un comitato comunale di
protezione antiaerea, con a capo il primo
cittadino, che aveva la funzione di far adottare
tramite l’emissione di un ordinanza rivolta alla
città tutta una serie di norme per evitare che
l’illuminazione, pubblica e privata, potesse
essere di aiuto agli aerei degli Alleati per
individuare zone abitate da bombardare. E così,
qualche anno prima dell’invasione del luglio del
1943, in ottemperanza a tali norme la pubblica
illuminazione doveva essere interrotta
dall’imbrunire all’alba. Non solo, tale
interruzione avrebbe riguardato lo spegnimento
anche delle insegne e delle luci esterne dei
negozi e degli esercizi pubblici; stessa cosa
sarebbe valso per i globi luminosi dei
distributori di benzina, le luci perpetue dei
santuari e delle immagini sacre, ma anche quelle
dei cimiteri.
L’ordinanza di
limitazione dell’illuminazione prevedeva pure
che dall'imbrunire all’alba tutti i veicoli di
ogni genere, avrebbero dovuto non solo circolare
a velocita ridotta ma anche portare applicati su
fari e fanali una maschera nera “con
apertura centrale di cm. 3 per 1”.
Durante il
passaggio degli aerei provenienti dal
Nord-Africa, dell’USAAF (United States of
America Air Force) e da Malta, della RAF (Royal
Air Force), che andavano a bombardare le città
dell’entroterra isolano e il sud della penisola,
il sistema di allarme utilizzato a Gela era
quello del suono delle campane delle chiese che
dovevano suonare “a
martello per la durata di 15 secondi e per sei
volte consecutive ad intervalli di 15 secondi”.
Durante la segnalazione dell’allarme tutti i
veicoli ed autoveicoli privati dovevano
arrestarsi immediatamente, per farne scendere i
passeggeri, dopo essersi accostati ai
marciapiedi di destra in modo da lasciare
sgombro il passaggio lungo la strada. In
particolare, i quadrupedi dovevano essere
immediatamente distaccati dai veicoli a trazione
animale “ed
assicurati alla parte posteriore dei veicoli
stessi frenati”.
Per quanto riguarda
le persone che si fossero trovate nelle piazze e
nelle vie, esse avrebbero dovuto sgombrare
subito, rifugiandosi in luoghi coperti o nei
portoni, che dovevano “…rimanere
socchiusi”. Durante l’allarme a nessuno
sarebbe stato consentito di rimanere all’aperto.
Inoltre, tutte le finestre delle abitazioni
dovevano essere socchiuse e le saracinesche dei
negozi abbassate. Chiunque, per obblighi di
servizio inderogabili, avrebbe dovuto circolare
anche durante l’allarme, doveva essere munito di
apposito documento di riconoscimento. Per quanto
riguardava gli allarmi in concomitanza delle ore
notturne l’oscuramento avrebbe dovuto essere
totale. “Gli
Ospedali, uffici, stabilimenti industriali,
esercizi pubblici, i negozi ed i locali di
pubblico spettacolo, debbono assicurarsi di luci
sussidiarie, per il caso dovesse essere tolta
anche l’illuminazione privata”.
Il segnale di
cessato allarme era dato con il suono delle
campane a distesa, per la durata “di
2 (due) minuti primi”. I trasgressori alle disposizioni dell’ordinanza di allarme, erano denunziati all'Autorità giudiziaria, per l’applicazione “a loro carico delle sanzioni previste dall'articolo 650 del Codice Penale”. Nonostante tutte queste misure di limitazione, Gela, al di là di alcune bombe di aereo sganciate nel suo centro storico forse per errore, non fu mai soggetta a nessun bombardamento sebbene fosse stata scelta come punto nevralgico in Sicilia dello sbarco americano. E capirne il perchè significa rifarsi a vicende di tutt’altra peculiarità storica.
IL
REVERENDO LUIGI ALIOTTA, CULTORE
DI PATRIE MEMORIE
Diversi
nel tempo sono stati a Gela i
sacerdoti che si sono distinti
nella loro attività pastorale e
per le qualità di integrità
morale e religiosa. Uno di
questi è stato il compianto Don
Luigi Aliotta. Prima di
stabilirsi definitivamente a
Gela, fu sacerdote a Valguarnera
e ad Enna; oltre alla sua
attività pastorale fu socio
della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze,
un'associazione fondata nel 1908
che si occupa tuttora della
promozione delle Scienze e delle
loro applicazioni , e portavoce
della SIPS,
Società
Italiana
di
Psicologia Scientifica
fondata nel 1911.
Studioso di cultura classica con
la passione dell’archeologia,
s’interessò nel dopoguerra a
diverse campagne di scavo che
allora erano eseguite qui dal
Soprintendente Dott. Pietro
Griffo e successivamente dai
Proff. Orlandini e Adamesteanu.
Verso la fine degli anni
Quaranta, durante la demolizione
sul viale Mediterraneo di una
linea di edifici che partivano
da via Giacomo Navarra Bresmes
per arrivare fino a Porta Marina
per l’edificazione del nuovo
Municipio, si dice che sia
riuscito a convincere la
Soprintendenza ai Monumenti di
Palermo a far risparmiare Porta
Marina con l’attiguo Bastione,
struttura quest’ultima dove poi
al suo interno nel 1993 fu
rinvenuta casualmente una Porta
trecentesca della cinta muraria
federiciana, struttura medievale
di cui si era persa memoria.
Non
solo sacerdote ma anche studioso
di storia patria, produsse
diverse pubblicazioni
contribuendo a far conoscere la
storia antica di Gela.
Pubblicista e corrispondente di
giornali a tiratura nazionale (L
'Avvenire d 'Italia e L
'Osservatore Romano) e regionale
(La Sicilia e il Giornale di
Sicilia) Don Luigi Aliotta fu
anche predicatore e
conferenziere. Tra i suoi
scritti pubblicati si ricordano
“La
festa della Patrona di Gela”
del 1949, “Storia
della miracolosa effige di Maria
SS. dell'Alemanna”
del 1950, “3
mila morti in Sicilia per il
terremoto dell'11 gennaio 1693”,
“Trentacinque
chiese siciliane dedicate alla
Vergine Assunta”,
“Gli
scavi di Gela”
del 1951, “Gela
nei secoli da Eschilo alla
scoperta del petrolio”
del 1957 e “Gelone
il Vincitore dei Cartaginesi”
del 1959.
Renzo Guglielmino e la compianta
Rosetta Maganuco, nostri validi
cultori di patrie memorie, in
una loro biografia di Don Luigi
Aliotta scrivevano:
“…Quasi
tutte le sue pubblicazioni
evidenziano quel tempo
lontanissimo attraverso la
narrazione di fatti storici e
momenti esaltanti di eroismo e
di grandezza, mentre in altre
opere viene esaltata la fede
religiosa nonché l'amore e la
tradizione di un popolo verso
l'immagine della madonna
dell'Alemanna, Patrona della
nostra città”
(R. Guglielmino) e
“…Nelle sue
opere c’è una vastità e una
serietà di documentazione
storica ed archeologica
straordinaria, una grande
informazione bibliografica. Era
un appassionato bibliofilo e
possedeva libri di eccezionale
valore che spesso consultava; le
sue conoscenze storiche erano
vaste e dettagliate”
(R. Maganuco).
Nonostante l’importanza del
personaggio, sacerdote,
cittadino esemplare e
contributore culturale e storico
di Gela, le locali
amministrazioni comunali e la
diocesi di appartenenza l’hanno
sempre ignorato e mai hanno
pensato di ricordarlo alle
future generazioni con delle
benemerenze alla memoria.
Don
Luigi Aliotta, sacerdote della
nostra curia, nonché uno dei più
importanti cultori nostrani di
patrie memorie e di cui con
questo articolo si rispolvera la
memoria, scomparve a 55 anni il
10 luglio di sessant’anni fa.
PORTA MARINA, UNA TESTIMONIANZA
MEDIEVALE PERDUTA
La
storia di Porta Marina! E’ una
di quelle storie che dimostra in
modo eclatante il disinteresse,
l’insipienza, la stoltezza e
l’ignoranza generazionale degli
amministratori di una città nei
confronti dei suoi beni
culturali.
Porta marina, assieme a Porta
Vittoria, Porta Licata, Porta
Caltagirone e la postierla del
Pertugio era uno dei cinque
ingressi alla città medievale,
allora denominata Terranova.
Porta marina fu realizzata nella
seconda metà del 1500 a ridosso
di un’altra Porta trecentesca
più piccola, quest’ultima
scoperta nel 1993 durante un
restauro e di cui si sconosceva
l’esistenza perché nascosta
dall’attiguo bastione da ben
cinque secoli. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, gli amministratori comunali fecero la scelta di voler dare alla città un’immagine di modernità, però, purtroppo in diversi casi a danno di alcuni dei suoi beni culturali come ad esempio il cinquecentesco convento dei PP. Conventuali e la chiesa rinascimentale di Sant’Antonio Abate che furono abbattuti. Toccò poi di radere al suolo tutti fabbricati a ovest del municipio, compresi Porta marina e l’attiguo Bastione (quindi con annessa porta trecentesca), ma grazie all’intervento del compianto reverendo Luigi Aliotta, cultore di patrie memorie, queste ultime strutture furono fortunatamente risparmiate.
Verso la fine degli anni
Sessanta, nell’ambito di un
progetto di restauro di tali
antiche strutture i conci delle
due arcate di Porta Marina
furono numerati dalla
Sovrintendenza (non si riesce a
sapere se fu quella di Agrigento
o l’altra ai Monumenti di
Palermo) nella prospettiva di
una ricostruzione, ma quando
furono smontati e conservati, si
disse al Museo archeologico di
Gela, tempo dopo se ne persero
le tracce. E senza che nessuno
mai delle istituzioni, enti
locali e sovrintendenze
archeologiche compresi, abbia
voluto mai indagare e, che si
sappia, nemmeno denunziarne la
scomparsa all’autorità
giudiziaria competente.
L’usura del tempo e le piogge,
però, inevitabilmente logorarono
la consistenza di quel che era
rimasto di Porta Marina al punto
tale che nei primi di ottobre
del 2000 si produsse un rovinoso
crollo che fortunatamente non
provocò nessun danno alle
persone, in particolar modo ai
carabinieri che sostavano nei
paraggi per la vigilanza del
Tribunale allora ubicato lì
vicino. Si fece pulizia del
crollo e quanto ancora rimaneva
in piedi fu puntellato e messo
in sicurezza per dare la
possibilità del passaggio tra
via Marconi e viale
Mediterraneo.
Da
quel momento in poi e fino ad
oggi nulla è stato fatto; il
puntellamento è sempre lì, le
vestigia non sono state per
niente restaurate e nessuno,
fino ad oggi (e forse ancora per
altri decenni), si è interessato
a ricomporre quel che era una
volta una struttura di epoca
medievale. E così di Porta
Marina, praticamente è rimasto…
solo il nome! Però, a questo
punto, nulla vieterebbe di
considerare questo ventennale
puntellamento anche… come bene
archeologico (sic)!
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