QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Aprile 2024
ARGOMENTI
A
partire dal mese di gennaio del 2023 si è iniziato a
scrivere sulla storia di Gela, dalla sua
fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E
ciò con il contributo iconografico del pittore
Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da
Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese
della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi, per
dare spazio alla ricorrenza del
25 aprile la quindicesima
puntata della storia di Gela è
stata spostata alla fine del
mese di maggio prossimo.
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5 APRILE 2024 - FESTA DELLA LIBERAZIONE
LA PROMOZIONE
DEI VALORI DELLA
DEMOCRAZIA
La constatazione
negli ultimi
decenni di
vedere
manifestazioni
pubbliche
commemorative
non sentite e
sempre più
disertate,
appannaggio solo
delle Forze
dell’Ordine e
delle
Associazioni
d’Arma, sembra
dimostrare che
la nostra città
è di fronte ad
un’arretratezza
culturale in cui
la storia
nazionale e,
peggio ancora,
quella locale
pagano lo scotto
di un
disinteresse
atavico delle
istituzioni con
la Scuola in
primo piano che,
soprattutto come
sistema
formativo, ha
fatto e fa poco
e niente per
divulgare e far
conoscere ai
giovani la
storia locale ma
anche quella
recente
nazionale.
Scuola che, al
di là di rari
casi nell’ambito
delle direttive
ministeriali,
secondo il
parere dello
scrivente, ha
fatto poco per
promuovere i
valori della
democrazia,
della giustizia,
dell’uguaglianza
e
dell’educazione
ambientale. E la
recente
reintroduzione
dell’Educazione
Civica nelle
scuole ne è una
dimostrazione,
si spera solo
che non faccia
la stessa fine
di quella che
c’era prima,
considerata
spesso
opzionale.
La scuola, oltre
alla famiglia,
nella sua azione
formativa
dovrebbe
considerare
primario il
compito di
formare il
cittadino
secondo i
fondamenti di
una civile
convivenza e
secondo i
dettami della
Costituzione i
cui valori
purtroppo oggi
risultano
sconosciuti e
dimenticati dai
più, docenti
compresi. La
Costituzione,
nata dalla
Resistenza, al
di là della
contiguità
temporale, ha
avuto un
sedimento
culturale che è
maturato grazie
alle diverse
esperienze di
tre generazioni,
oltre al fatto
che essa deve la
sua struttura e
il suo spirito
alle diverse
matrici
ideologiche
dell’antifascismo.
Antifascismo
che, visti i
rigurgiti
fascisti di
oggi, sarebbe
opportuno
rafforzare e
rivivificare in
tutte le sue
componenti. Una situazione poco studiata se non trascurata dalla storiografia ufficiale, è quella relativa all’attività dei Comitati di Liberazione Nazionale nel territorio siciliano, alla pari degli altri operanti nella Penisola, che ebbero una proficua operosità sia a Palermo che in tutti i centri dell’Isola, Gela compresa, con un notevole contributo alla rinascita della democrazia. Quindi, sarebbe opportuno ed efficace che quanto accaduto a Gela in quel periodo del dopoguerra diventasse oggetto di studio e di ricerca, non fosse altro per avere un quadro storico più ampio sul contributo della città alla causa nazionale della Liberazione. DAL PRIMO PODESTA’ AL PRIMO SINDACO In Italia nel ventennio fascista gli organi democratici dei comuni furono soppressi e tutte le funzioni svolte in precedenza dal sindaco, dalla giunta comunale e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà che era nominato dal governo tramite regio decreto per cinque anni con possibilità anche di rimozione. A Gela, dal 1926 al 1945, si succedettero cinque podestà; il primo fu il Dott. Antonio Vacirca con la carica conferita il 13 marzo 1927; seguì il Cav. Uff. Rag. Giuseppe Liardi con la carica podestarile conferita il 20 novembre del 1930; nel mese di novembre del 1934 la carica podestarile fu conferita al Comm. Dott. Vincenzo Gueli; dopo le dimissioni di quest’ultimo del 7 aprile del 1938 alla guida del Comune, il 13 luglio 1939, fu nominato il Cav. Uff. Prof. Giuseppe Navarra; il 7 dicembre 1942, la carica di Podestà fu conferita al Dott. Giuseppe Calandra, ultimo Podestà di Gela che rimase in carica fino alla metà del mese di maggio del 1943. Dopo l’occupazione Alleata del luglio del 1943 in Sicilia fu ripristinata alla guida dei Comuni la carica di sindaco. A Gela il Cav. Rag. Luigi Liardi fu primo Sindaco, rimase in carica fino al mese di luglio del 1944. In seguito, grazie al decreto legislativo luogotenenziale 7 gennaio 1946, il sindaco tornò ad essere eletto in tutt’Italia dal Consiglio comunale. L’EUROPA LIBERATA DAL NAZI-FASCISMO
Nel 1942 le sorti della Seconda Guerra Mondiale sembravano essere definitive dal momento che Germania, Giappone e Italia avevano scatenato la guerra per perseguire il dominio mondiale; Sud-Est asiatico e parte del Pacifico dominato dai giapponesi, il continente europeo nelle mani dei tedeschi affiancati dall’Italia, con un ruolo marginale, e da alleati minori come Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Croazia e Francia di Vichy. Nel giro di alcuni mesi dopo la primavera di quell’anno, però, l’andamento della guerra registrò un cambiamento su tutti i fronti; nel Pacifico gli americani bloccarono l’avanzata dei giapponesi, a Stalingrado i russi contrattaccarono e fermarono i tedeschi e ad El Alamein i britannici sconfissero le truppe italo-tedesche. Nella conferenza di Casablanca del gennaio del 1943 gli Alleati decisero di liberare l’Europa dal nazifascismo con lo sbarco in Italia, iniziato con la presa di Pantelleria e Lampedusa, seguita il 10 luglio dallo sbarco in Sicilia sulle spiagge di Gela e Pachino. Dopo la successiva caduta di Mussolini, la scomparsa del regime fascista e la fuga della monarchia a Brindisi, il nuovo governo Badoglio fece avviare delle trattative segrete con gli Alleati per arrivare ad una pace, da definire correttamente come una vera e propria resa incondizionata, che poi fu siglata con l’armistizio dell’8 settembre. In seguito a ciò, col piano “Achse” le truppe tedesche, per colpire l’ex alleato che aveva tradito la Germania, occuparono la parte centro-settentrionale del Paese eliminando o deportando i militari italiani che non aderirono alla RSI di Mussolini, quest’ultimo liberato dai tedeschi nel settembre del 1943 durante la detenzione a Campo Imperatore; stessa cosa avvenne per i soldati italiani nei Balcani, nella Francia meridionale e nel Mare Egeo, in particolare con le stragi delle isole ioniche di Cefalonia e Corfù tra il 15 e il 26 settembre 1943 che causarono quasi 8.000 morti, la maggior parte nella Div. “Acqui” e gli altri in diversi reparti dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Marina Militare. Dopo la firma dell’armistizio, migliaia di militari italiani furono disarmati dalle truppe tedesche e coloro che non fecero la scelta di aderire al Repubblica Sociale di Salò furono destinati ai campi di lavoro in Germania (industria pesante e armamenti, industria mineraria e edilizia) con lo status particolare di I.M.I., Internati Militari Italiani. Dopo l’8 settembre 1943, data dell’Armistizio tra Italia e gli anglo-americani, i prigionieri italiani in mano ai tedeschi furono circa 700.000, mentre quelli in mano agli Alleati furono circa 600.000. Questi ultimi furono dislocati in campi di internamento creati apposta in Gran Bretagna, in Africa (nord, centrale e sud), Medio Oriente, Stati Uniti d’America, India, Australia, Iraq, Iran, Francia, Gibilterra, Giamaica, Canada. Tra il 1940 e il 1945 i militari italiani fatti prigionieri e inviati negli Stati Uniti furono circa 50.000, con la maggioranza di essi provenienti dal fronte nordafricano. Nel frattempo i militari italiani, a causa della resa e della successiva cobelligeranza italiana, da nemici diventarono alleati degli anglo-americani, tant’è che per gli americani si pose il problema del loro status. Tra le diverse scelte fatte la più convincente fu quella dell’adesione volontaria per la costituzione di reparti denominati I.S.U. (Italian Service Units), anche se il Maresciallo Pietro Badoglio, Capo del Governo del Sud, non riconobbe ufficialmente l’adesione volontaria dei prigionieri italiani. Comunque gli italiani che accettarono di cooperare e quindi di essere inseriti nello sforzo bellico e nei servizi territoriali, tra militari di truppa e ufficiali furono poco più di 35.000, il resto dei 50.000 rimase prigioniero di guerra. Gli ultimi prigionieri italiani in mano agli Alleati occidentali rientrarono in patria agli inizi del 1948, stessa cosa non avvenne per gli 85.000 prigionieri italiani in Russia rientrati in soli 10.000. Anche i prigionieri italiani, militari e civili, degli iugoslavi subirono una triste sorte che li vide in molti trucidati nelle foibe. Oltre a quella dei tedeschi, la guerra italiana nei Balcani, con trentacinque divisioni italiane che si ritrovarono intrappolate tra Jugoslavia, Albania e Grecia, si dimostrò quasi subito un fallimento, soprattutto in concomitanza dell’occupazione della Grecia, che dimostrò la scarsa preparazione militare da cui, pertanto, conseguirono le pesanti perdite subite dal Regio Esercito Italiano. Una tragedia nazionale per troppo tempo ignorata che vide un’eliminazione di massa di soldati italiani, oltre al fatto che in quella regione tutta una serie di situazioni portarono all’internazionalizzazione del conflitto e alla guerra civile. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, ci fu un ribaltamento della condizione dei soldati italiani i quali, da occupanti a sconfitti, dovettero scegliere tra resa, continuare a collaborare con i tedeschi o aderire al passaggio a quelle formazioni partigiane combattute fino al giorno prima. Molti soldati italiani nei Balcani, in mancanza di direttive precise dall’Italia ai loro comandi, si arresero ai tedeschi con l’illusione del rimpatrio. A partire dalla stessa notte dell’armistizio la macchina bellica tedesca, non solo nei Balcani ma anche in Italia, occupò aeroporti, stazioni ferroviarie e caserme, cogliendo di sorpresa le forze italiane. L’illusione dall’ingannevole promessa del rimpatrio degli italiani, inoltre, fu subito vanificata soprattutto dalla notizia dell’eccidio dei soldati della Div. “Acqui” che fecero la scelta di combattere a Cefalonia e a Corfù per diversi giorni contro i tedeschi. E non furono i soli a reagire ai tedeschi; molti furono gli episodi di combattimento che smentiscono la voce del “soldato italiano inaffidabile e cattivo combattente”. “Decisero di non cedere le armi. Preferirono combattere e morire per la Patria. Tennero fede al giuramento... La loro scelta consapevole fu il primo atto della Resistenza...” (Carlo Azeglio Ciampi, Cefalonia, 1° marzo 2001). Dopo l’armistizio dell’8 settembre 650.000 giovani militari italiani (oltre che in Italia, nei Balcani, in Grecia e nelle isole dell’Egeo e in Francia) catturati dai tedeschi, negarono la propria adesione al regime di Mussolini respingendo le richieste dei nazisti e della RSI di aderire alla guerra nazifascista. Il rifiuto di aderire riguardò il 90% circa dei soldati e dei sottufficiali, e circa il 70% dei 30.000 ufficiali. Per i militari italiani che non aderirono alla RSI fu coniato il titolo di I.M.I. “Internati Militari Italiani” dal momento che non potevano essere considerati prigionieri. Nonostante ciò la loro sopravvivenza fu sotto l’arbitrio dei tedeschi e dipese in particolare dalle razioni alimentari distribuite nel campo o nelle fabbriche alle quali erano stati ceduti; si arrivò al punto tale che la fame divenne il principale strumento per mezzo del quale i nazisti si vendicarono della loro non adesione alla RSI, ma anche perché c’era la precisa volontà di punire gli Italiani, da sempre considerati con disprezzo, ed incolpati allora di aver tradito l’alleato.
Cartolina d'epoca di Boccasile
LE FORMAZIONI AUTONOME NELLA LIBERAZIONE NAZIONALE
Le Brigate “Matteotti”, legate al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, furono uno dei cinque principali gruppi politici partigiani che parteciparono alla lotta di Liberazione Nazionale. Da quel che si apprende da un amico gelese Gaetano Collodoro, oggi più che ottantenne, da tempo emigrato in Piemonte, sembra che a Gela nel 1944, forse ancora prima, fosse stato costituito un “Comitato di Liberazione” con lo scopo di raccogliere fondi per la guerra partigiana su indicazione del “Comitato di Solidarietà Nazionale Pro Patrioti dell’Italia Oppressa” con sede a Napoli in piazza Dante. Quanto appreso risponde a verità in quanto nei carteggi del nostro Archivio Storico lo scrivente ha ritrovato una lettera indirizzata al “Comitato Liberazione (Caltanissetta) Gela”.
PARTIGIANI SICILIANI NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE PARTIGIANI E ANTIFASCISTI DI GELA
Da una serie di ricerche dello scrivente sono circa una sessantina gli antifascisti gelesi che a diverso titolo hanno operato in diversi contesti; i loro nomi sono stati tratti in buona parte dalla banca dati del Casellario Politico Centrale dell’Archivio Centrale dello Stato.
Ai nomi sopra indicati bisognerebbe aggiungere anche quelli che a diverso titolo combatterono il fascismo con azioni di spionaggio e di collaborazione con gli Alleati; difficile risalire ai loro nomi anche se si conoscono diverse sedi in città in cui allora operarono. Per quanto attiene a Gela, si dice, e c’è da credere, che due di tali azioni addirittura erano proprio nel cuore del centro del suo centro storico, uno con ricetrasmittente sul Corso nel palazzo Nocera-Bruccoleri, e l’altro in via Giacomo Navarra Bresmes nel palazzo in cui a piano terra vi era un deposito di legname il cui proprietario era legato a Salvatore Aldisio. Un’altra sede che operava anche con una ricetrasmittente si trovava a Capo Soprano nella villa de “La Corvetta” di proprietà del principe Marzio Pignatelli Aragona Cortes (poi di proprietà del Cav. Luigi Bodanza) tant’è che nel giorno dello sbarco il principe accolse il Gen. G. Patton e diversi ufficiali dell’82a Divisione aviotrasportata Airborne.
Un’altra situazione poco studiata se non trascurata dalla storiografia ufficiale, è quella relativa all’attività dei Comitati di Liberazione Nazionale nel territorio siciliano, che nell’immediato dopoguerra, alla pari degli altri operanti nella Penisola, ebbero una proficua operosità sia a Palermo che in tutti i centri dell’Isola con un notevole contributo alla rinascita della democrazia. Quindi, sarebbe opportuno ed efficace che quanto accaduto a Gela in quel periodo del dopoguerra diventasse oggetto di studio e di ricerca, non fosse altro per avere un quadro storico più ampio sul contributo della città alla causa nazionale della Liberazione.
Degli ottanta partigiani gelesi qui, per motivi di spazio, riportiamo solamente quattro nominativi a cui si aggiungono relative fotografie.
CRAPANZANO ANGELA di Emanuele e di Turco Santa Maddalena. Nata a Terranova di Sicilia il 30 settembre 1919. Nome di battaglia “Gina”; COLLODORO EMANUELE di Francesco e di Tosto Maria. Macellaio nato a Terranova di Sicilia il 13 aprile 1917; FARRUGGIA GIUSEPPE di Emanuele e di Balestrieri Rosaria. Nato a Terranova di Sicilia il 29 settembre1921 (1922). Nome di battaglia “Pinuccio”; MANGIONE GIOVANNI di Giuseppe. Nato a Gela il 28 marzo 1917. Partigiano combattente della Brigata "Luigi Pierobon” nella zona di Padova. Della sessantina di antifascisti gelesi scegliamo tre nominativi a cui aggiungiamo relative fotografie. PANE GINA LUCIA di Emanuele e di Romano Concetta. Nacque a Terranova di Sicilia il 4 dicembre 1902. Insegnante di Scuola Elementare. Sin da giovane militò nel Partito Socialista Italiano, unica donna gelese in politica in una moltitudine di uomini.
DI BARTOLO GAETANO MILANA. Nato a Terranova di Sicilia il 6 aprile 1902 e ivi residente. Celibe, 3a classe tecnica, orefice; colore politico: anarchico; GIUNTA VINCENZO di Diego e di Tignino Concetta. Nato a Terranova di Sicilia il 2 settembre 1925.
Antifascisti gelesi
ASSOCIAZIONE NAZIONALE COMBATTENTI E REDUCI DI GELA Bandiera dei Combattenti e Reduci di Gela
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