QUOTIDIANO
La Sicilia
DISTRETTO GELESE
Aprile 2023
ARGOMENTI
A partire dal mese di gennaio si è iniziato a scrivere sulla storia di Gela, dalla sua fondazione del 688 a.C. fino al dopoguerra. E ciò con il contributo iconografico del pittore Antonio Occhipinti e con le schede realizzate da Nuccio Mulè, oltre alla traduzione in inglese della Prof.ssa Tiziana Finocchiaro. Oggi si scrive la quarta puntata dal titolo "Fondazione di Akragas e Battaglia di Imera" |
4 - Fondazione di Akragas e Battaglia di Imera
La Chiesa Madre di Gela con il pomerio
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4 -
FONDAZIONE DI AKRAGAS E BATTAGLIA DI IMERA
Questo tondo
contiene due scene con un complesso figurativo
che ci riporta a due importanti avvenimenti
della storia antica di Gela: la fondazione geloa
di Akragas del 581 a.C. e la battaglia di Imera
del 480 a.C. tra sicelioti e cartaginesi, vinta
dai primi al comando di Gelone che fu tiranno di
Gela e, dal 485 a.C in poi, di Siracusa.
Occhipinti, con la
sua tecnica prospettica efficacemente
collaudata, ci fa immaginare delle maestranze
che, su indicazione degli ecisti geloi Pistilo e
Aistonoo, procedono all’edificazione della
“polis” di Akragas, l’odierna Agrigento, di cui
Gela diventerà madrepatria. Alla figurazione,
inoltre, aggiunge un elemento di connotazione,
una pietra di forma circolare con l’emblema di
un granchio, simbolo della città e
caratteristica di tutta l’antica produzione
monetaria agrigentina.
La seconda scena
presenta in primo piano la figura di Gelone, con
cimiero e spada, nelle vesti e
nell’atteggiamento di condottiero che, in
vicinanza del fiume Imera, incalza le truppe
siceliote alla battaglia contro i cartaginesi
comandati da Amilcare. Anche in questa scena è
raffigurato un elemento di connotazione, il
rovescio di un tetradramma siracusano con la
testa della ninfa Aretusa circondata da quattro
delfini. La scelta dell’autore di proporre in questo dipinto il tema della battaglia di Imera, vuole enfatizzare l’importanza dell’avvenimento perché parallelo a quello della battaglia di Salamina tra Greci e Persiani che avvenne anch’essa nel 480 a.C. Infatti, la tradizione antica portò a immaginare che l’attacco cartaginese nella battaglia di Imera fosse stato concordato con i persiani in modo tale che dai greci della madrepatria, impegnati a Salamina, non sarebbe potuto arrivare nessun soccorso. 4 - Foundation of Akràgas and Battle of Himera
This painting two
scenes represents two important events in the
history of Gela: the foundation of Akràgas in
581 BC, and the Battle of Himera, won by the
Siceliots led by Gelon against the Carthaginians
in 480 B.C.
In the first scene
Occhipinti, with his effective technical
perspective, suggests the image of workers who,
instructed by the Geloi Pistilo and Aistonoo,
proceed to the construction of the “polis”
of Akràgas, today called Agrigento. The artist
also adds an element of connotation: a circular
stone with the emblem of a crab, symbol of the
city and feature of the old monetary production
of Agrigento.
The second scene
shows Gelon, with crest and sword, in the role
of leader who, in proximity of the river Himera,
urges the Siceliot troops to the battle against
the Carthaginians led by Hamilcar. The reverse
of a tetradrachm from Syracuse with the head of
the nymph Arethusa surrounded by four dolphins
can be considered as an element of connotation
The choice of the
artist to propose the theme of the battle of
Himera was motivated by his purpose to emphasize
the importance of the event as parallel to the
battle of Salamis between an alliance of Greek
city-states and the Persians Empire in 480 B.C.
It seems that the Carthaginians had agreed with
the Persians to attack Gela while Greece,
involved in the battle of Salamis, could not
provide support to the Siceliot city.
La Chiesa Madre di Gela con il pomerio
La cartolina
presentata (in origine in bianco e nero ma per
l’occasione colorizzata) è una delle più
interessanti e più antiche delle collezioni
d’epoca di Gela, può essere datata, infatti,
nell’ultimo decennio dell’Ottocento;
l’illustrazione, quindi, si riferisce a come si
presentava allora l’area della chiesa Madre, in
particolare con un pomerio e uno spazio sul lato
sud, quest’ultimo denominato largo Madrice. Come
si può notare, la superficie (fino alla prima
metà dell’Ottocento adibita ad area cimiteriale)
attorno alla chiesa, delimitata per una decina
di metri da una balaustrata risalente al 1848,
era qualche metro più sopra il livello del
sottostante Corso, infatti, i gradini degli
ingressi ovest e sud alla chiesa che compaiono
in cartolina sono meno della metà rispetto a
oggi.
Nel 1903 il Comune
di Terranova procedette a un abbassamento, fino
al livello del Corso, dell’area pomeriale della
chiesa, con la convinzione che fosse demaniale.
Il parroco dell’epoca, Mons. Gioacchino Gurrisi,
però, intentò causa al Comune, anche perché tale
spianamento mise a nudo pericolosamente le
fondazioni della stessa chiesa. La questione si
risolse in tribunale con sentenza favorevole
alla chiesa in quanto l’area in oggetto era di
proprietà ecclesiastica e quindi
“…inalienabile,
imprescrittibile, e inespropriabile anche per
pubblica utilità”. Il Comune così ebbe torto
e, oltre a pagare i danni, procedette al
rinforzamento delle fondazioni sul lato sud
della chiesa con una struttura scarpata di
contenimento.
La chiesa Madre fu
edificata nel XVIII secolo, a partire dal 1766,
sullo stesso sito dell’antica chiesa
parrocchiale di Santa Maria de’ Platea; la
facciata più unica che rara, in stile
neoclassico e a doppio ordine di colonne doriche
e ioniche, fu progettata nel 1844 dall’Arch.
terranovese Giuseppe Di Bartolo Morselli, mentre
la torre campanaria con interessanti modanature
fu realizzata nel 1837, su progetto dell’Arch.
Emmanuele Di Bartolo sui resti di una torre a
base scarpata di epoca federiciana.
Sul fronte della
cartolina colorizzata si legge “F.
Salerno Vinciguerra Edit. - Terranova di Sicilia
9238”. La didascalia, che definisce
impropriamente la chiesa come
Cattedrale e non come “Duomo”,
può indurre erroneamente a considerare che
Terranova di Sicilia (oggi Gela) fosse stata
sede vescovile. Nel 2018 furono eseguiti dei lavori per la posa di una tubazione della rete idrica sulla via Giacomo Navarra Bresmes, proprio di fronte la chiesa Madre, con la scoperta casuale di due cisterne, in particolare un butto medievale e una cisterna di epoca greca; il butto fu svuotato dei reperti che conteneva, mentre la cisterna rimase per così com’era in quanto per il suo svuotamento bisognava rifarsi a del personale specializzato, cosa che allora non fu possibile reperire. Durante quei lavori lo scrivente propose alle istituzioni competenti di far effettuare una trincea trasversale sulla stessa via per intercettare e quindi avere contezza scientifica di due strutture antiche ipogee; una si riferiva alla fondazione cinquecentesca del muro divisorio tra Terranova e Terravecchia, l’altra ad un vano, in corrispondenza del sagrato della chiesa, che serviva come “sepolcro” e dove la tradizione voleva che il Cristo, sceso dalla croce di piazza Calvario durante il Venerdì Santo, venisse lì deposto prima della successiva resurrezione, tradizione già abbandonata da più di un secolo.
Storia e vicissitudini sul gonfalone del Comune
di Gela
Il labaro del
Comune di Gela presenta la figura di un’aquila
coronata che poggia le zampe su due colonne;
conoscerne la storia e il significato è lo scopo
di questo breve articolo.
La figura
dell’aquila del gonfalone del labaro del Comune
di Gela si riferisce a quella sveva della città
medievale di Heraclea (prima denominazione
medievale dell’attuale Gela), mentre le due
colonne si rifanno alla storia della
preesistente città greca, in definitiva:
l’aquila imperiale di Federico II che impera
sulla città delle colonne. E’ molto probabile
che lo stemma, certamente diverso in origine
dall’attuale, risalga alla fondazione di
Heraclea e che, ma è meno probabile, sia stato
scelto dallo stesso imperatore Federico II di
Svevia, fondatore in Sicilia della nostra città
assieme a quella di Augusta. Mentre, per quanto
riguarda la corona poiché essa possiede otto
fioroni è certo che si riferisca a quella ducale
e che sia apparsa a corredo dello stesso stemma
intorno al 1500, durante la dinastia dei
Pignatelli Aragona Cortes, duchi di Terranova e
Monteleone.
In definitiva,
l’attuale stemma araldico ufficiale del Comune
di Gela è così composto: un’aquila sveva (color
rame-oro) con le ali spiegate che poggia le
zampe su un basamento, formato dai capitelli
contigui di due colonne doriche canalate il cui
colore (rame-oro) è più chiaro rispetto a quello
dell’aquila stessa, anche se più sfumato; in
corrispondenza della testa del pennuto, rivolta
a sinistra per chi guarda, appare non appoggiata
una corona ducale con otto fioroni di cui cinque
visibili, mentre il tutto si staglia su un
rettangolo (e non uno scudo) di color rosso
cremisi. La scritta “COMUNE DI GELA” e non
città, leggermente arcuata e ripartita su tre
piani, completa il tutto.
Da un’antica
documentazione dell’Archivio storico del Comune
di Gela, riferita a un carteggio del 1733 della
“Platea dello Stato di Terranova”,
lo scrivente ha ritrovato una scritta dove
si legge: “…Lo stemma di questa Città è
un’aquila coronata colle ali spiegate, che posa
sopra due Colonne, e nel giro queste parole
Heraclea Civitas antiquissima”, parole che sono
state aggiunte recentemente nello stemma e che
quindi per ora risultano assenti sul labaro
ufficiale.
Nel corso degli
ultimi cinquant’anni e più si è perpetuata una
situazione grottesca che ha visto il gonfalone
del Comune di Gela presentato sistematicamente
con lo stemma e i colori giallo e rosso
vermiglione della locale squadra di calcio
(sic); infatti, verso il 1950, lo sfondo
monocolore rosso cremisi originale fu sostituito
dai suddetti due colori, peraltro non sempre
posizionati nello stesso modo. Inoltre, su
alcuni manifesti e su diverse bandiere, i due
colori hanno subito una collocazione partita, a
volte trinciata e mai posizionati sullo stesso
lato dello stemma dell’aquila.
Grazie alle
decennali sollecitazioni dello scrivente, fatte
pervenire a sindaci, assessori, consiglieri
comunali, dirigenti e funzionari del Comune di
Gela, finalmente nel 2015 si è riusciti a
convincere il Sindaco Domenico Messinese a
utilizzare il vero logo comunale così da evitare
ancora uno sconcio che per decenni, almeno per
chi se n’è accorto, ha penalizzato l’immagine
dell’istituzione e dell’intera città.
Purtroppo, nel
corso dei decenni trascorsi, il simbolo comunale
di Gela è stato anche sottoposto a illecite,
improvvisate e gratuite variazioni che ne hanno
cambiato l’originaria composizione. Infatti,
l’aquila e le colonne doriche, hanno subito
variazioni significative; ad esempio, i disegni
del rapace e delle colonne, erano più slanciati
e più esili rispetto a quelli attuali che
compaiono sul gonfalone del Comune. Intorno al
1910, addirittura, i capitelli delle due colonne
subirono un cambiamento di stile, dal dorico al
composito ionico-corinzio.
Inoltre, durante il
Ventennio, sullo stemma fu apposto, così come
avvenne in tutta Italia, il simbolo del fascio
littorio, ovviamente poi eliminato con la caduta
del regime. Negli anni Cinquanta, allo stemma
furono apportate altre modifiche; l’aquila
diventò più pennuta e più tozza, tale da farla
assomigliare grottescamente più a un gallinaceo
che a un rapace; inoltre, i capitelli furono
ricondotti, giustamente, allo stile dorico
originario e sulle colonne furono ricavate delle
canalature. Tutta questa nuova composizione,
l’attuale, fu inserita all’interno di uno scudo
di tipo sannitico, anche quest’ultimo inventato
di sana pianta. Così come inventati di sana
pianta si trovano in diversi siti internet una
decina di stemmi e labari riferiti a Gela, tutti
spudoratamente farlocchi.
Diversi lustri fa,
a peggioramento dell’incongruenza e
dell’incompetenza, è stato pure realizzato un
altro improvvisato gonfalone, quello che
attualmente è apposto dietro il banco della
presidenza del Consiglio comunale nell’Aula
Magna, in cui l’aquila è presentata con un
addome “spennacchiato”, le colonne sono
diventate bianche, la corona di esagerate
dimensioni, più grande della stessa testa del
pennuto, e non più riferita al titolo di ducato
con otto fioroni ma erroneamente a quello di
contea con sedici, oltre all’aggiunta gratuita
di ricami agli angoli; tale gonfalone comunale è
utilizzato nelle manifestazioni ufficiali al
posto di quello legittimo che si trova nel
Comando dei VV.UU., peraltro portato a volte da
un impiegato comunale in abiti civili nei panni
di vessillifero, con coppoletta e giubbotto,
così almeno compare in una manifestazione “Pro
occupazione” del
26
gennaio 2016, accanto ad altri labari del comuni
viciniori
portati da vigili urbani in divisa.
Nel 2020 lo scrivente portò alla stampa un
lavoro riferito ai Primi Cittadini e al
Gonfalone Comunale, una pubblicazione
volutamente disconosciuta forse per lo stampo
critico scritto sul gonfalone comunale con la
logica di “…occhiu c’un viri, cori c’un doli”.
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