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La Sicilia
DISTRETTO GELESE

Agosto 2022
ARGOMENTI

Cartolina di oggi: La mietitura nei "Campi Geloi"

Nino Bixio a Terranova

Gerlando Comandatore

 

LA MIETITURA NEI "CAMPI GELOI"

       Delle cartoline conosciute questa (originariamente di color verdino prima della relativa colorizzazione eseguita dallo scrivente) rappresenta un altro esempio della serie “Usi e Costumi di Terranova di Sicilia” e ci propone una scena di vita agreste in cui vi è una moltitudine di persone costituita da intere famiglie con donne e ragazzi, i cosiddetti “miticaliddri” (ovvero i mietitori o spigolatori), in attesa di riprendere il lavoro della mietitura. Gela, nella storia millenaria della Sicilia, ha rappresentato un centro importante e primario nella produzione del grano; i suoi “Campi Geloi”, di virgiliana memoria, durante l’occupazione romana dell’Isola, diventarono addirittura uno dei “Granai di Roma”.

    Da tempo imprecisato, a partire da ogni mese di maggio, per la raccolta delle spighe nella vasta area cerealicola della Piana di Gela era consuetudine reperire manodopera bracciantile che spesso non era abbastanza disponibile in loco, pertanto, esistevano in Sicilia delle correnti migratorie stagionali di lavoratori che raggiungevano le distese dei latifondi cerealicoli. Erano i cosiddetti “spigolatori”, uomini e donne di ogni età, che all’inizio dell’estate lasciavano le loro dimore per trasferirsi in mezzo ai campi di spighe; al di là di quelli che erano richiesti e remunerati per il loro lavoro, vi erano altri che raccoglievano (dietro autorizzazione dei proprietari dei campi, dei “massari” e dei campieri) tra le stoppie le spighe cadute a terra, una per una dopo la mietitura, che invece di perdersi diventavano poi grano e farina, pane e pasta, per l’inverno.

    Date le condizioni di estrema povertà di allora in certe zone dell’agro siciliano, si veniva a creare una situazione drammatica per migliaia di famiglie di contadini che, pertanto, ogni anno all’inizio dell’estate caricavano sui carri le loro masserizie per trasferirsi verso le campagne delle province di Agrigento, di Enna, di Caltanissetta, Gela in particolare, e fino in quella di Palermo. Le donne, vere protagoniste della spigolatura, portavano il grembiule lungo sopra la gonna con un fazzoletto al collo e sulle spalle e, tenuto da una cordicella, portavano un sacco dove raccoglievano le spighe.

    Di queste correnti migratorie di mietitori, notevole era a Gela la presenza dei modicani, in vernacolo i cosiddetti “muricani”, che per quasi due mesi si trasferivano dalle zone di Modica a quella di Gela. Spesso il luogo dove si attestavano durante la mietitura era in c.da Margi, sezione "Pezza delli Iunci" nei pressi del Santuario di Maria SS, d’Alemanna anche se alcuni sparuti gruppi “prendevano sede” vicino la chiesa Madre dove passavano la notte per trovarsi la mattina seguente in piazza Umberto I, pronti ad essere ingaggiati dai proprietari dei campi coltivati a grano per la mietitura.

     Sul retro della cartolina, datata 23 marzo 1925, con un francobollo di 20 centesimi raffigurante il busto del re Vittorio Emanuele III, si osserva il logo della “Ditta Garioni Piacenza” una delle più antiche tipografie per la stampa di cartoline illustrate in Italia, oltre alla scritta “Ringraziamenti, baci e saluti carissimi” di tale Peppina all’indirizzo del Cav. Antonio Crescimanno Tornabene e Signora di Piazza Armerina.

NINO BIXIO A TERRANOVA

     Nei 2700 anni di storia della città di Gela esistono diverse discontinuità di cui fino ad oggi si sa poco e niente; addirittura una di esse arriva a circa mille anni se si considera il tempo intercorso tra la distruzione della città greca del 282 a.C. e l’edificazione federiciana di Eraclea (l’attuale Gela) del 1233. Oltre a ciò, è da mettere in rilievo anche che tali discontinuità si fanno più numerose relativamente alla parte di storia più recente; una di esse, tema di questo articolo, ad esempio si riferisce al contesto storico risorgimentale e alla successiva epopea garibaldina e, pertanto, ci si chiede, che ruolo ebbe Gela (allora denominata Terranova), ammesso che l'abbia avuto, in tali avvenimenti. E per rispondere alla domanda bisogna necessariamente farsi aiutare dalla ricerca storica, ricerca che lo scrivente in diversi periodi, in particolare nel 1990, ebbe la possibilità di effettuare nell’archivio storico del Comune di Gela.

    E non solo. Qualche lustro fa, inoltre, grazie ad un articolo e ad una piantina geografica del periodico torinese "Specchio della Stampa", messici a disposizione dall’amico Rocco Cerro, editore del Corriere di Gela, si è riusciti a ripercorrere il tragitto dei garibaldini in Sicilia. Leggiamo infatti nel suddetto periodico torinese che dopo la liberazione di Palermo i garibaldini si divisero in tre gruppi; uno di questi, guidato dal comandante Nino Bixio e con la presenza di Menotti figlio di Garibaldi, il 6 di giugno del 1860 si diresse prima verso Agrigento e poi da Licata, via mare, a Gela, dove successivamente procedette verso l’interno per ricongiungersi agli altri garibaldini alle porte di Catania, ancora sotto il dominio di imponenti forze napoletane.

    Ma Bixio perchè si diresse e si fermò a Gela per tagliare poi direttamente verso Catania, senza continuare nel siracusano come era nelle sue previsioni? Dalla consultazione di una serie di dispacci e corrispondenze (riportati in una pubblicazione del 1913 edita a Palermo da Francesco Guardione dal titolo "I Mille") tra i comandanti supremi del regno borbonico e le navi di guerra che operavano lunghe le coste della Sicilia sud-occidentale si apprende che a Gela già da diversi giorni, prima della venuta di Bixio, esistevano dei movimenti rivoltosi che richiesero addirittura l'intervento del Maresciallo di Campo Gaetano Afan de Rivera il quale, al comando di una nave di soldati borbonici, sbarcò nella nostra rada alle ore 10 di sera del 20 maggio 1860 per dare manforte agli uomini del locale presidio borbonico impegnati a sedare un principio di rivolta; nei suddetti documenti leggiamo pure che il "nominato maresciallo, rimase colà (cioè a Gela) tutta notte e parte del giorno appresso onde assodare le misure d'ordine pubblico adottate da quel Sotto Intendente…". Non era la prima volta che a Gela c’era stato un principio di rivolta; 11 anni prima, infatti, la città evitò di essere bombardata dall’esercito borbonico al comando di Carlo Filangieri, principe di Satriano e duca di Taormina, grazie al terranovese Angelo Panebianco, ex sindaco della città ed ex Intendente di Caltanissetta, Patti e Catania, il quale “…nell’aprile del 1849, in cui Satriano avea disposto bombardare la nostra città, ostinata nel mostrarsi ribelle alla corona, egli a tutt’uomo, con efficaci preghiere e calde lacrime, rammollendo l’animo dell’indispettito principe, ottenne che il patrio suolo non divenisse un mucchio di fumanti rovine…” (da Salvatore Damaggio Navarra - Memorie Gelesi - Terranova, Stabilimento Tipografico Scrodato 1896).

    Gela, dunque, per la sue vicissitudini risorgimentali contro l'oppressore borbonico (ma anche perché, essendo Capodistretto dei comuni di Butera, Riesi, Niscemi e Mazzarino, rappresentava anche un importante caposaldo politico della presenza borbonica) era una tappa obbligata per Nino Bixio perchè a Gela avrebbe avuto tra l'altro la possibilità di impinguare di volontari locali il suo contingente garibaldino come in effetti accadde; anzi non è azzardata l'ipotesi che la nostra città, ultima e più importante della costa del Golfo di Terranova ad essere toccata da Bixio prima della partenza per Catania, sia stata un punto di concentramento di volontari garibaldini provenienti dai paesi viciniori. Il fatto poi che Bixio non abbia proceduto nella maggior parte del rimanente territorio siracusano (allora la provincia di Ragusa non era stata ancora istituita) si spiega con la presenza in esso di consistenti truppe borboniche che sicuramente avrebbero rappresentato un grosso pericolo per la colonna garibaldina ancora in via di formazione.

    In definitiva alla domanda se la nostra città abbia avuto un ruolo in tali avvenimenti risorgimentali, possiamo sicuramente affermare che Gela diede un contributo non indifferente prima al Risorgimento e poi all'Epopea Garibaldina anche in termini di vite umane e quanto allora accadde a Gela fa parte della storia della Sicilia oltre che dell’Italia.

    In un sito internet della “Società Solferino e San Martino”, con sede a Solferino in provincia di Mantova, si può consultare un database in cui si trovano i nominativi di tutti coloro che combatterono per l’Unità e l’Indipendenza d’Italia. Sul sito, in particolare, si possono avere notizie sui Garibaldini di 75 province italiane; compresa quella di Caltanissetta con riferimento a Terranova, dove è possibile riscontrare quasi 126 nominativi di garibaldini nostrani a cui vanno aggiunti altri settanta, frutto di recenti ricerche dello scrivente. Per la partecipazione dei terranovesi all’Epopea Garibaldina, l’allora Comune di Terranova di Sicilia compariva come tesserato della “Società Solferino e San Martino”.

    Nell'androne del Palazzo di Città di Gela, subito a sinistra dell'ingresso, si trova murata una lapide, impiantata durante la sindacatura del Dott. Vincenzo Tignino nel 1990, proposta e dettata dallo scrivente, su cui sono ricordati diversi patrioti gelesi che parteciparono ai moti risorgimentali siciliani del 1848 e del 1860 che così recita:

AI PATRIOTI TERRANOVESI

ALIOTTA BARONE GAETANO

CANNILLA RAFFAELE

F.LLI CAMERATA SCOVAZZO

NAVARRA BIVONA GIACOMO

NAVARRA GIASCOMO

NAVARRA GIUSEPPE

PARTECIPI DELLA RIVOLUZIONE

PER LIBERARE LA TRINACRIA

AI GARIBALDINI TERRANOVESI

CANNILLA LUIGI

DE LEITO GIUSEPPE

PAINO FELICE

ROMANO CARMELO

TIGNINO VINCENZO

ED ALTRI

AL SEGUITO DEL DUCE DEI MILLE

PER L'UNITA' D'ITALIA

NOMI SACRI ALLA LIBERTA'

FIGLI DI GELA

CITTA' ANTICA E GLORIOSA

UOMINI FORTI E MAGNANIMI

CHE LA PATRIA HANNO ANTEPOSTO

AI DOVERI DI PADRE DI SPOSO E DI FIGLIO

AI PIU' CARI AFFETTI DI FAMIGLIA

AL BENE PIU' PREZIOSO

LA VITA

QUESTA LAPIDE IL CONSIGLIO COMUNALE

AFFINCHE' I LORO NOMI

GIUNGANO ALLA PIU' TARDA E REMOTA POSTERITA'

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GERLANDO COMANDATORE

    Gerlando Comandatore è stato un personaggio di Gela che la memoria collettiva inconsapevolmente ha avvolto e nascosto nel silenzio più totale; un apprezzato uomo di cultura, un acuto osservatore delle problematiche sociali, un uomo con spiccate doti di scrittore e protagonista della vita politica locale fin dagli anni Quaranta. Fu consigliere comunale nelle file dell’allora MSI per diversi lustri distinguendosi sempre per l’abilità discorsiva dei suoi interventi in seno al consesso civico; “… le sue arguzie storico-letterarie, più di una volta riuscirono mirabilmente ad unificare tribuna e uditorio in un interessantissimo spettacolo...”, parole profferite in occasione della sua scomparsa nel dicembre del 1986 dal compianto Prof. Vincenzo Giunta, suo grande amico anche se ambedue di fedi politiche contrastanti. Diceva Comandatore “… il Consiglio comunale ai miei tempi era veramente un interlocutore valido per la cittadinanza, ma oggi non esistono più regole politiche, sino al punto di ridicolizzare la più alta istituzione della città: opposizione scorretta e non costruttiva, rancori personali, demagogie, sono i principali punti dell'O.D.G. del Consenso Civico".   

    Gerlando Comandatore nacque nel 1922 a Gela; dopo le scuole superiori, per conto proprio si dedicò allo studio della Storia e della Letteratura ma predilesse anche lo studio della recitazione e dell'arte drammatica e ciò gli consentì ancora giovane di dirigere nel dopoguerra la “Filodrammatica Gelese” un’associazione che assieme a lui annoverava l’Avv. Pino Bevilacqua, le signorine Adele Valenti, Adriana Siracusa e Ilde Abate e che portò in scena diverse opere come “Rose rosse” del Dott. Francesco Savà, gli “Occhi di Bracco”, “L’Urlo” dello stesso Comandatore, ecc. Oltre ad essere un narratore scrisse per diverse riviste e settimanali specializzati suscitando sempre molto interesse; nel 1986 fondò e diresse il periodico quindicinale di politica-turismo-informazioni “Sicilia Mediterranea”, con la direzione di Sergio Petta e del giornalista Giampiero Moncada; il giornale dopo la pubblicazione di quattro numeri cessò nel gennaio del 1987 la pubblicazione per la prematura scomparsa del Comandatore; diversi anni dopo, nel 1990, “Sicilia Mediterranea” riprese la pubblicazione con la direzione di Massimo Sarcuno.

    Fu autore di diverse pubblicazioni, forse la più importante è stata “L’ultimo Alalà” del 1962 che si ispirò “alla Gloria d’Italia senza altri scopi di bassa polemica”; l’editore nella presentazione del libro del Comandatore scriveva: “…L’Ultimo Alalà è una difesa al nostro onore, ai nostri padri, ai nostri figli. La possente voce di Victor Hugo si leva, contro le miserabili e vili ingiurie del più misero Samuel Isaialoewy, a difenderci contro i detrattori, invidiosi di una terra di ingegni…”. Comandatore nella parte finale del libro riporta una cronologia dell’Italia, di Mussolini e del fascismo dal 1936 al 1945 oltre al giudizio di un centinaio di eminenti personalità dell’epoca. Un’altra pubblicazione importante è “Aquile e pipistrelli” del 1963, dove il Comandatore riporta mezzo secolo di vita politica italiana e di storia con personaggi come “… politici, letterati, artisti, scienziati e giornalisti… “ che “…spiccarono il volo d’aquila in un’alba di gloria altro non erano che pipistrelli”. Altre pubblicazioni furono “L’Urlo” e “Ultima scena”.

 

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