QUOTIDIANO
DISTRETTO GELESE
800 ANNI FA A GELA
IL SANTUARIO E IL CULTO DI MARIA SS. D’ALEMANNA
DEI CAVALIERI TEUTONICI
Nell’occasione della
riapertura al culto del Santuario di Maria Ss.
d’Alemanna, ho ritenuto indispensabile e
doveroso riprendere e ripercorrere la memoria di
questo edificio costruito sullo stesso luogo
dove in origine nel 1476 fu rinvenuta l’icona
bizantina della Patrona di Gela, e ciò non solo
per narrare le vicissitudini che l’hanno
accompagnato fin dalla sua edificazione, ma
anche per rimarcare un’antica tradizione
popolare e un sentimento religioso che si sono
perpetuati in parallelo con la storia medievale
della città.
Nel corso degli
ultimi decenni notevole è stata la
partecipazione del popolo a far risorgere sia il
santuario che la sua tradizione soprattutto
attraverso comitati e privati cittadini, il
tutto come frutto di una devozione immutata nel
tempo che spesso ha comportato anche donazioni e
lavori di ristrutturazione generosamente
gratuiti.
Una delle più
importanti tradizioni religiose di Gela è quella
dedicata alla sua Patrona Maria Ss. d’Alemanna
la cui festa ricorre l’8 settembre; Il culto
della Patrona risale al XIII secolo e trae
origine dall’Ordine religioso cavalleresco dei
Teutonici
di Santa Maria d’Alemanna che nel 1220 fondò
nel territorio di Gela un sito e una cappella
con annesso ospedale, dipendenti dalla magione
di Palermo, per far alloggiare i pellegrini che
si recavano a Gerusalemme. Tale periodo di
fondazione corrispose con quello di Heraclea
(primigenia denominazione medievale di Gela) del
1233 di Federico II di Svevia. Il sito scelto
dai Teutonici fu lo stesso di un precedente
santuario greco risalente al VII-VI sec. a.C. di
cui nel settembre del 1951, durante uno scavo
archeologico, furono trovate delle vestigia
oltre a quelle di una necropoli bizantina nelle
sue vicinanze.
Non si hanno notizie
del santuario edificato dai Teutonici, però,
alcune cronache d’epoca riferiscono che lo
stesso nei vari secoli fu demolito e ricostruito
diverse volte; la spiegazione di ciò, che si è
conosciuta prima della sua ultima ricostruzione,
è dovuta al fatto che il terreno di fondazione
essendo plastico-argilloso dà origine ad
abbassamenti e rigonfiamenti periodici che
sistematicamente creano gravi lesioni alla
struttura sopra edificata.
Il 1400 è l’anno
dell’edificazione del santuario vero e proprio
(derivato dall’ampliamento della preesistente
cappella del 1220) che, però, verso il 1540 in
relazione a diverse pericolose lesioni che ne
minacciavano il crollo fu demolito;
successivamente nel 1559 oltre a essere
ricostruito fu pure ingrandito. Dopo 160 anni
ancora una volta l’edificio fu interessato da un
cedimento e, pertanto, nel 1700 per la seconda
volta fu interamente demolito e ricostruito. Le
vicissitudini del santuario, però, continuarono
ancora, tant’è che per la terza volta, in
seguito a diverse lesioni che ne minarono la
stabilità, nel 1860 fu necessario demolirlo per
poi essere ricostruito cinque anni dopo con una
generosa contribuzione popolare.
Nella penultima
riedificazione del 1865 del santuario, con
facciata in stile neo-classico, fu addossato
dietro l’abside un basso corpo di fabbrica
adibito a sagrestia, con ingresso indipendente,
oltre all’apertura di un secondo ingresso nella
parete laterale sud del santuario, vicino alla
facciata principale.
Altri particolari del santuario (definito
anticamente anche come “chiesa
rurale”) erano la presenza di sei finestre e
di un campanile a vela con campana.
Le vicissitudini del
santuario continuarono nei decenni a seguire con
la trasformazione dello stesso, tra il 1911 e il
1912, in lazzaretto durante un’epidemia di
colera che interessò allora la città. Per la
riapertura al culto del santuario bisognò
aspettare il 1914. Nel 1943, nei momenti
concitati dello sbarco Alleato
il
santuario fu saccheggiato e per diverso tempo
nel dopoguerra fu anche utilizzato per ospitare
alcune famiglie di indigenti. Solo nel 1948 con
i necessari restauri fu riaperto al culto.
Nel santuario, durante il suo funzionamento di
parrocchia, sono state svolte diverse funzioni
religiose, oltre a matrimoni, cresime e
comunioni.
Nel 1951 il vescovo
Mons. Antonino Catarella affidò la cura del
santuario alle
Suore
Cappuccine del Sacro Cuore le quali peraltro
istituirono un asilo infantile e una scuola
elementare. Ma le vicissitudini dell’edificio
non erano ancora finite, infatti, nel 1969 a
causa di serie lesioni della sua struttura, ne
fu decretata la chiusura; successivamente, su
ordinanza del Sindaco, nel 1973 il santuario
pericolante fu completamente demolito. Tempo
dopo, però, grazie all’intervento dei
parrocchiani per il tramite del “Comitato
Pro Santuario Maria Ss. d’Alemanna”, allora
presieduto dall’Avv. Giovanni Casano, e con una
contribuzione che coinvolse larghi strati della
popolazione gelese, il santuario fu ricostruito
ex novo dall’Impresa Costruzioni Edili di
Antonio Cacici con una spesa di 15.320.000 lire
su progetto dell’Arch. Ugo Granvillano, progetto
che sostituì un precedente redatto nel 1972
dall’Arch. Guido Internullo.
Intanto,
l’8 dicembre 1984 il
Vescovo Mons. Sebastiano Rosso con decreto n.
453/1984 confermava l’affidamento per la
custodia e la cura del Santuario alle
Suore
Cappuccine al fine di poter proseguire
l’attività religiosa precedentemente svolta.
Così, dopo
ben dodici anni dalla demolizione, il santuario
di Maria Ss. d’Alemanna domenica 15
settembre 1985 fu benedetto e riaperto alla
devozione.
Nel 1996,
venendo meno la presenza delle
Suore
Cappuccine,
il santuario, pur sotto la gestione dei
Salesiani, fu accudito dai fedeli fino al 2011
anno della sua chiusura. Infine, nel mese di
settembre 2017, il rinato comitato riprese le
attività di promozione e valorizzazione del
luogo di culto, attivandosi per una rapida
riapertura dello stesso anche grazie al
fondamentale sostegno dell’intera popolazione.
L’affezione dei gelesi per il luogo è confermata
oltre che dalle numerosissime firme raccolte a
supporto della petizione lanciata dal comitato e
rivolta alle autorità per la riapertura del
santuario, anche dal pressoché continuo via vai
dei fedeli che si recavano e si recano quasi
quotidianamente a pregare e a deporre candele
votive e fiori sul sagrato della chiesa.
In numerose
circostanze il popolo ha potuto costatare
l’efficace protezione della gloriosissima Madre
di Dio. Ma é da segnalare lo scampato pericolo
proprio dal terremoto dell’11 gennaio del 1693.
Allora le scosse telluriche furono così violente
che distrussero molte città dell’Isola
specialmente nella sua parte orientale;
Terranova e i suoi abitanti non ebbero nessun
danno e ciò grazie alla protezione della Vergine
a cui la popolazione in uno slancio corale di
fede si rivolse in preghiera. Ancora il popolo
ricorda i famosi versi coniati in quella
tremenda occasione:
“ALL’UNNICI ‘I JNNARU A VINTUN’URA
SI VITTI E NUN SI VITTI TERRANOVA;
SE UNN’ERA PPI MARIA, NOSTRA SIGNURA,
PETRI SU PETRI FURRA TERRANOVA”
Nel santuario oltre
a diversi arredi, suppellettili e statue
esistono due interessanti opere d’arte, due
antiche pale dipinte di epoca incerta (XVIII-XIX
sec.) riferite ad una rara versione della
Madonna
del Lume e alla
Strage
degli Innocenti.
Oggi alle statue del
santuario si è aggiunta quella della Madonna
d’Alemanna con Bambino, opera lignea
scolpita ad Ortisei donata dal nuovo rettore del
santuario Don Rosario Sciacca.
Nuccio Mulè
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