QUOTIDIANO


La Sicilia

DISTRETTO GELESE

Agosto 2020

 

 

800 ANNI FA A GELA

IL SANTUARIO E IL CULTO DI MARIA SS. D’ALEMANNA

DEI CAVALIERI TEUTONICI

 

    Nell’occasione della riapertura al culto del Santuario di Maria Ss. d’Alemanna, ho ritenuto indispensabile e doveroso riprendere e ripercorrere la memoria di questo edificio costruito sullo stesso luogo dove in origine nel 1476 fu rinvenuta l’icona bizantina della Patrona di Gela, e ciò non solo per narrare le vicissitudini che l’hanno accompagnato fin dalla sua edificazione, ma anche per rimarcare un’antica tradizione popolare e un sentimento religioso che si sono perpetuati in parallelo con la storia medievale della città.  

    Nel corso degli ultimi decenni notevole è stata la partecipazione del popolo a far risorgere sia il santuario che la sua tradizione soprattutto attraverso comitati e privati cittadini, il tutto come frutto di una devozione immutata nel tempo che spesso ha comportato anche donazioni e lavori di ristrutturazione generosamente gratuiti.

    Una delle più importanti tradizioni religiose di Gela è quella dedicata alla sua Patrona Maria Ss. d’Alemanna la cui festa ricorre l’8 settembre; Il culto della Patrona risale al XIII secolo e trae origine dall’Ordine religioso cavalleresco dei Teutonici di Santa Maria d’Alemanna che nel 1220 fondò nel territorio di Gela un sito e una cappella con annesso ospedale, dipendenti dalla magione di Palermo, per far alloggiare i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. Tale periodo di fondazione corrispose con quello di Heraclea (primigenia denominazione medievale di Gela) del 1233 di Federico II di Svevia. Il sito scelto dai Teutonici fu lo stesso di un precedente santuario greco risalente al VII-VI sec. a.C. di cui nel settembre del 1951, durante uno scavo archeologico, furono trovate delle vestigia oltre a quelle di una necropoli bizantina nelle sue vicinanze.

    Non si hanno notizie del santuario edificato dai Teutonici, però, alcune cronache d’epoca riferiscono che lo stesso nei vari secoli fu demolito e ricostruito diverse volte; la spiegazione di ciò, che si è conosciuta prima della sua ultima ricostruzione, è dovuta al fatto che il terreno di fondazione essendo plastico-argilloso dà origine ad abbassamenti e rigonfiamenti periodici che sistematicamente creano gravi lesioni alla struttura sopra edificata.

     Il 1400 è l’anno dell’edificazione del santuario vero e proprio (derivato dall’ampliamento della preesistente cappella del 1220) che, però, verso il 1540 in relazione a diverse pericolose lesioni che ne minacciavano il crollo fu demolito; successivamente nel 1559 oltre a essere ricostruito fu pure ingrandito. Dopo 160 anni ancora una volta l’edificio fu interessato da un cedimento e, pertanto, nel 1700 per la seconda volta fu interamente demolito e ricostruito. Le vicissitudini del santuario, però, continuarono ancora, tant’è che per la terza volta, in seguito a diverse lesioni che ne minarono la stabilità, nel 1860 fu necessario demolirlo per poi essere ricostruito cinque anni dopo con una generosa contribuzione popolare.

    Nella penultima riedificazione del 1865 del santuario, con facciata in stile neo-classico, fu addossato dietro l’abside un basso corpo di fabbrica adibito a sagrestia, con ingresso indipendente, oltre all’apertura di un secondo ingresso nella parete laterale sud del santuario, vicino alla facciata principale.  Altri particolari del santuario (definito anticamente anche come “chiesa rurale”) erano la presenza di sei finestre e di un campanile a vela con campana.

    Le vicissitudini del santuario continuarono nei decenni a seguire con la trasformazione dello stesso, tra il 1911 e il 1912, in lazzaretto durante un’epidemia di colera che interessò allora la città. Per la riapertura al culto del santuario bisognò aspettare il 1914. Nel 1943, nei momenti concitati dello sbarco Alleato il santuario fu saccheggiato e per diverso tempo nel dopoguerra fu anche utilizzato per ospitare alcune famiglie di indigenti. Solo nel 1948 con i necessari restauri fu riaperto al culto. Nel santuario, durante il suo funzionamento di parrocchia, sono state svolte diverse funzioni religiose, oltre a matrimoni, cresime e comunioni.

    Nel 1951 il vescovo Mons. Antonino Catarella affidò la cura del santuario alle Suore Cappuccine del Sacro Cuore le quali peraltro istituirono un asilo infantile e una scuola elementare. Ma le vicissitudini dell’edificio non erano ancora finite, infatti, nel 1969 a causa di serie lesioni della sua struttura, ne fu decretata la chiusura; successivamente, su ordinanza del Sindaco, nel 1973 il santuario pericolante fu completamente demolito. Tempo dopo, però, grazie all’intervento dei parrocchiani per il tramite del “Comitato Pro Santuario Maria Ss. d’Alemanna”, allora presieduto dall’Avv. Giovanni Casano, e con una contribuzione che coinvolse larghi strati della popolazione gelese, il santuario fu ricostruito ex novo dall’Impresa Costruzioni Edili di Antonio Cacici con una spesa di 15.320.000 lire su progetto dell’Arch. Ugo Granvillano, progetto che sostituì un precedente redatto nel 1972 dall’Arch. Guido Internullo.

    Intanto, l’8 dicembre 1984 il Vescovo Mons. Sebastiano Rosso con decreto n. 453/1984 confermava l’affidamento per la custodia e la cura del Santuario alle Suore Cappuccine al fine di poter proseguire l’attività religiosa precedentemente svolta. Così, dopo ben dodici anni dalla demolizione, il santuario di Maria Ss. d’Alemanna domenica 15 settembre 1985 fu benedetto e riaperto alla devozione.

    Nel 1996, venendo meno la presenza delle Suore Cappuccine, il santuario, pur sotto la gestione dei Salesiani, fu accudito dai fedeli fino al 2011 anno della sua chiusura. Infine, nel mese di settembre 2017, il rinato comitato riprese le attività di promozione e valorizzazione del luogo di culto, attivandosi per una rapida riapertura dello stesso anche grazie al fondamentale sostegno dell’intera popolazione. L’affezione dei gelesi per il luogo è confermata oltre che dalle numerosissime firme raccolte a supporto della petizione lanciata dal comitato e rivolta alle autorità per la riapertura del santuario, anche dal pressoché continuo via vai dei fedeli che si recavano e si recano quasi quotidianamente a pregare e a deporre candele votive e fiori sul sagrato della chiesa.

    In numerose circostanze il popolo ha potuto costatare l’efficace protezione della gloriosissima Madre di Dio. Ma é da segnalare lo scampato pericolo proprio dal terremoto dell’11 gennaio del 1693. Allora le scosse telluriche furono così violente che distrussero molte città dell’Isola specialmente nella sua parte orientale; Terranova e i suoi abitanti non ebbero nessun danno e ciò grazie alla protezione della Vergine a cui la popolazione in uno slancio corale di fede si rivolse in preghiera. Ancora il popolo ricorda i famosi versi coniati in quella tremenda occasione:

 

“ALL’UNNICI ‘I JNNARU A VINTUN’URA

SI VITTI E NUN SI VITTI TERRANOVA;

SE UNN’ERA PPI MARIA, NOSTRA SIGNURA,

PETRI SU PETRI FURRA TERRANOVA”

 

    Nel santuario oltre a diversi arredi, suppellettili e statue esistono due interessanti opere d’arte, due antiche pale dipinte di epoca incerta (XVIII-XIX sec.) riferite ad una rara versione della Madonna del Lume e alla Strage degli Innocenti. Oggi alle statue del santuario si è aggiunta quella della Madonna d’Alemanna con Bambino, opera lignea scolpita ad Ortisei donata dal nuovo rettore del santuario Don Rosario Sciacca.

Nuccio Mulè

 

 

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