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L'ARCH. GIUSEPPE DI BARTOLO MORSELLI

 

    Vogliamo qui ricordare un personaggio dell'Ottocento gelese, valido, prestigioso e autorevole: l'arch. Giuseppe Di Bartolo Morselli. Egli occupa nella storia dell'architettura ottocentesca siciliana un posto preminente, al pari di altri importanti architetti.

    Giuseppe Di Bartolo ebbe i natali a Gela il 12 dicembre del 1815 da una famiglia aristocratica, la quale, già da tempo, si vantava di aver dato alla nostra città figli illustri nel campo dell'ingegneria. Dopo aver compiuto qui gli studi, si trasferì a Palermo per frequentare la facoltà di architettura. Laureatosi a pieni voti, si stabilì nel capoluogo siciliano dove iniziò a esercitare la sua professione. Grazie alIe sue doti e alla sua preparazione, da subito ricevette diversi incarichi, tra essi quelli commissionati dalla Principessa di Butera e dal Principe di Radali per le progettazioni di una galleria e di una loggia cinese nella casina Olivuzza e di un palazzo fuori Porta Maqueda. Verso il 1840 chiamato a Gela realizzò diverse progettazioni come la facciata della chiesa Madre in stile neoclassico con doppio ordine di colonne (commissionata dal parroco Don Luigi Mallia e inaugurata nel 1844), e alcuni palazzi nobiliari, sicuramente quelli di De Maria (oggi Ciaramella), di Tedeschi (oggi Russello) e di Giusto (oggi Nocera) sul Corso e di La Mantia (oggi Savarino-Robilatte) sulla via Giacomo Navarra Bresmes. Anche nella vicina città di Vittoria ebbe diversi incarichi; sua è la cupola della chiesa di S. Giovanni e suo è il progetto del prospetto neoclassico del "Teatro Vittoria Colonna".

    Intorno al 1845 partecipò, e fu primo fra molti architetti, a un concorso per un "regio pensionato" di cinque anni a Roma, una borsa di studio per artisti, scultori, pittori e architetti affinché si perfezionassero nelle varie discipline; si ha notizia che, durante la prova grafica, ideò e realizzò il progetto di un grande teatro.

    E fu proprio durante il pensionato romano che il Di Bartolo affinò, fra l'altro, le sue doti di acquarellista e, a tal proposito, si ha anche notizia che nella casa di un suo erede, l'ing. Giovanni Di Bartolo di Acireale, si ammiravano magnifici acquerelli a colori con una serie di superbe tavole di un progetto di ripristino delle Terme romane di Caracalla e due dipinti raffiguranti rispettivamente Venezia e Siena.

    Ritornato a Palermo nel 1851 riprese a pieno la sua professione entrando a far parte dei cinque ingegneri comunali e realizzando, tra l'altro, i progetti dei palazzi Genuardi e Cataliotti, il prospetto del teatro di Santa Cecilia (su incarico del Marchese di Rudinì, Francesco Paolo Starabba) e l'androne d’ingresso del palazzo del Conte Lucio Tasca; nel 1852 ricevette il prestigioso incarico di progettare e dirigere la realizzazione degli addobbi per la visita di Ferdinando di Borbone. Della sua intensa attività di scenografo si segnalano i progetti del “Carro di Santa Rosalia”, dal 1851 al 1855, e le macchine dei fuochi artificiali del 1856 e 1857. Per qualche tempo fu anche architetto dei Gesuiti eseguendo il progetto dei decori marmorei dell'altare di S. Ignazio e del cornicione interno della chiesa di Casa Professa.

    Tra il 1855 e il 1860 fu chiamato a Caltanissetta per realizzare diverse progettazioni, la più importante quella del palazzo della Provincia (progetto ambizioso ma ampiamente ridimensionato da altri prima della sua costruzione terminata nel 1897); seguirono l'elegante palazzo Sillitti Bordonaro, uno dei casati più noti della Caltanissetta d'Ottocento, interamente realizzato con pietra rossa di Sabucina in piazza Umberto I, la sontuosa abitazione del barone Filippo Benintende e il palazzo Lanzirotti.

    Decorato più volte di “medaglie d'oro di prima classe” per meriti artistici e professionali, il Di Bartolo nel 1853 fu nominato componente la Commissione Lavori Pubblici di Sicilia e ancora, nel 1855, diventò socio collaboratore della rinomata Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo; qualche anno dopo ricevette anche il prestigioso incarico di docente di architettura presso l'Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, già Compagnia di S. Luca, fondata nel 1652.

    Tra il 1856 e il 1859 licenziò alla stampa diversi lavori; nella Biblioteca Universitaria di Catania ne abbiamo rintracciati tre. Dalla loro lettura si evidenzia un Di Bartolo molto erudito, virtuoso e analista nella impostazione della tematica artistica, analitico nella sua cultura e dotato di spiccate qualità di polemista brillante.

    Il Di Bartolo fu paladino della "Cinquecentistica, fondamento ai suoi tempi dell'accademia imperante e l'epigono intransigente dei regolisti dell'ultimo Rinascimento”. Gli elementi fondamentali dei suoi studi e delle sue opere furono quelli dell'architettura classica e quelli degli schemi rinascimentali con gli ordini; gli uni e gli altri furono sempre concepiti in modo ineccepibile: colonne e trabeazioni, frontoni ed archivolti furono trattati con grande sensibilità delle proporzioni e della plastica e con scrupoloso ossequio ai canoni degli antichi maestri.

    Giuseppe Di Bartolo non ebbe famiglia propria e visse una brillante vita da scapolo. Morì ancora cinquantenne il 23 ottobre del 1865 nella cittadina di Giarre. Sicuramente la sua precoce scomparsa non gli fece meritare un posto d'onore nella storia dei grandi dell'architettura. Posto d'onore che, però, ha occupato a pieno titolo nella cronaca architettonica nazionale del suo secolo.

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