
La Conchiglia
Cartolina doppia cm. 30 X 15; riproduzione
cartoline d’epoca, edizioni beni culturali di
Nuccio Mulè nel 2008.
Per circa vent’anni, dal 1958 al 1975, la
Conchiglia è stata, anche se impropriamente, il
simbolo della città di Gela; inoltre, è stato il
locale che tutti i forestieri venuti qui si sono
portati appresso nella loro memoria, tant’è che
ha costituito pure il soggetto più rappresentato
in cartolina con una cinquantina di vedute. Il
progetto della Conchiglia, così denominato
perché il corpo centrale è a forma di una valva
di mollusco, fu realizzato dai F.lli Ventura con
una spesa di 160 milioni di lire su progetto del
Geometra Filippo Trobia; l’inaugurazione avvenne
il 24 giugno del 1958. La Conchiglia fu il primo
stabilimento balneare a struttura stabile in
cemento armato che occupò il posto di quelli
temporanei a struttura lignea che, dalla seconda
metà dello scorso secolo e fino al 1957, erano
impiantati nel periodo estivo sulla nostra
spiaggia; tra essi si ricordano i “lidi” (o
chalet)
Grande Stabilimento Balneare Gela (1899), Gela,
Eden, Turistico, Elios, Mondarino, Royal, ecc.
Cosa
rimarrà della Conchiglia,
solo
sabbia ed una infinità di ricordi
E così la Conchiglia sarà
definitivamente liquidata. Quanto prima questa
struttura, ormai un relitto di cemento armato,
si auto-demolirà e con essa se ne andranno pure
i ricordi di chissà quante migliaia di persone
che negli anni Sessanta e Settanta frequentarono
questo stabilimento balneare che ha, come
caratteristica originale, il tetto a forma di
valva di conchiglia, un’ardita idea strutturale
di fine anni Cinquanta del geometra Filippo
Trobia. I due bracci, corrosi dall’usura del
tempo, non hanno più retto e così si sono
accartocciati fragorosamente su se stessi dando
inizio ad una auto-demolizione che,
inevitabilmente paventata già da più di diversi
lustri, non si è avuto forse il coraggio di
cominciare. Tempo fa, alla notizia clamorosa del
rovinoso crollo, riportato addirittura dai
massmedia in campo nazionale, ricordo che seguì
una passerella di affermazioni di diverse
persone che per intonarsi sull’accaduto si sono
lasciate andare a diverse elucubrazioni mentali
oltre a stracciarsi le vesti e a darsi pugni nel
petto recitando un improbabile
mea culpa.
Cari amici, troppo tardi per i rimpianti. Non si
è voluto riconoscere che la Conchiglia era diventata
nell’immaginario collettivo, non solo dei
gelesi, il simbolo della città oltre che un
esempio di archeologia balneare e quindi di
conseguenza un vero e proprio bene culturale. Mi
chiedo con costernazione se in questi tempi ci
sono persone che sappiano garantire i beni
culturali e la memoria collettiva di Gela. A me
sembra proprio di no! E allora siamo destinati
ad avere altri crolli, altre perdite di beni
culturali, altri connotati della nostra identità
che si perderanno per mere incuria ed ignoranza.
Ieri, quindi Porta Marina e la ciminiera di Via
Colombo, oggi la Conchiglia, domani quale
sarà il prossimo? Il pontile, prima struttura di
cemento armato del circondario, o forse
l’edificio ottocentesco della vecchia dogana o
forse ancora qualche pezzo di muro medievale dei
tempi di Federico II. Purtroppo nonostante gli
esempi di una quantità notevole di beni
culturali spariti dagli anni Cinquanta in poi,
non si assiste ancora al benchè minimo segnale
di inversione di rotta. Anzi le cose vanno
sempre a peggiorare. Purtroppo il seme del
degrado a Gela ha germogliato floridamente e,
vivificato dal lezzo del petrolio, ha dato
origine ad una pianta carnivora che con le sue
fameliche
foglie aculeate ha azzannato cose e uomini: per
acqua ha avuto l'ingordigia dei politici gelesi,
degli speculatori fondiarí ed edilizi e di tutti
quelli che si sono arricchiti rendendo lecita la
truffa alla gente comune E l’acqua è stata tanta
che il vegetale ha prodotto a iosa i suoi frutti
i cui semi poi, col vento dell'indifferenza e
della compiacente tolleranza, si sono sparsi sui
“campi
geloi”, dove sono attecchiti e
continuano indisturbati la malefica eredità
della pianta madre. Domani cosa
rimarrà della Conchiglia? Solo sabbia e
un’infinità di ricordi che, attraverso le
cartoline e le foto d’epoca, aleggeranno nella
nostra mente con forza come a voler rifiutare
l’inevitabile destino delle cose umane.
|